Con la nuova Ordinanza del MIM firmata, il 10 gennaio 2025, le scuole sono state chiamate ancora una volta a rivedere le modalità di valutazione utilizzate negli ultimi anni. Tale scelta reca in sé la riapertura del puzzle di quel dibattito storico, mai ricomposto attraverso scelte normative condivise e durature, e ancora una volta si cerca di riposizionare alcuni tasselli che nel tempo hanno subito, con molta frequenza, spostamenti e limature.
Infatti, la tematica della valutazione è stata sempre caratterizzata da visioni contrastanti. È stata sempre oggetto di grandi dibattiti che hanno animato genitori, professionisti della scuola, pedagogisti e non addetti ai lavori. Tutti si sono sempre sentiti esperti e in grado di orientare le scelte istituzionali. Certo nessuno entrava mai nel merito dell’ambiziosa valenza formativa delineata dall’articolo 1 del D.lgs. 62/2017[1]
Una storia di “stop and go”
Come preannunciato dalla legge 1° ottobre 2024, n. 150, che ha novellato il D.lgs. 13 aprile 2017 n. 62 (art. 2, comma 1), a partire dal secondo periodo del corrente anno scolastico, nella scuola primaria ritorneranno in scena i giudizi sintetici, mentre nella scuola secondaria di primo grado i riflettori si riaccenderanno sul voto in decimi per la valutazione del comportamento degli studenti.
Questi strumenti non costituiscono una novità in quanto in passato sono stati utilizzati a più riprese, forse perché, voti e giudizi sintetici, rientrano in quel linguaggio universale percepito da tutti come più facile da comprendere. Ricordiamo, infatti, che i giudizi sintetici sono stati ri-adottati nella metà degli anni ‘90 (C.M. 7 agosto 1996, n. 491) dopo una fase di sperimentazione molto impegnativa attraverso la quale si cercava di integrare due approcci culturali: quello tecnologico-docimologico e quello formativo. Nello strumento proposto allora si richiedeva ai docenti di utilizzare cinque lettere alfabetiche (A, B, C, D, E) per rappresentare i risultati di apprendimento. Ma, volendo fare un ulteriore passo indietro, va ricordato che negli anni 40 del secolo scorso i giudizi sintetici sono stati fortemente caldeggiati perfino dal Ministro Giuseppe Bottai[2]. Il sistema decimale, invece, ha accompagnato la valutazione dalla nascita fino alla legge 517/1977 per poi essere ripreso dalla legge 169/2008, ribadito tanto dal D.lgs. 62/2017 quanto, a proposito di Educazione civica, dalla legge 92/2019 (art. 2, comma 6).
Non sfugge, inoltre, che tra i giudizi sintetici e i voti scatta quasi automaticamente un facile parallelismo. È così anche per gli aggettivi suggeriti nell’allegato A dell’O.M. 2024: ottimo si fa corrispondere a dieci, distinto a nove, buono a otto, discreto a sette, sufficiente a sei e non sufficiente a cinque.
Cambiamento in corso d’opera
Sebbene nell’opinione pubblica sia radicata la convinzione che i voti costituiscano lo strumento per eccellenza per impegnare gli studenti nello studio, è pur vero che, se mal utilizzati, rischiano di diventare veicolo di competizione e anche motivo di facile contenzioso tra docenti e genitori. Oltre ciò, il limite più grande, sia dei voti sia dei giudizi sintetici, è quello di non rappresentare, per loro natura, i processi di sviluppo personale dello studente. Del resto, anche i genitori sono consapevoli che il “sei” attribuito da un determinato insegnante non è identico a quello assegnato da un docente più selettivo, che magari “per principio” concede il “sudato dieci” solo in casi “rari ed eccezionali”.
Probabilmente è sulla discrezionalità delle attribuzioni dei docenti, troppo spesso confusa con la libertà d’insegnamento, che una qualche riflessione andrebbe ancora sollecitata.
È giusto allora ipotizzare un ritorno alla “moda vintage” nell’era dell’Intelligenza artificiale? Certamente sì, dice il Ministro Valditara in una recente intervista in cui invita a non arrendersi, a non aver paura di “tornare indietro”. Ma il tornare indietro è un “reculer pour mieux sauter” o è un sentiero che allontana dalla meta?
I docenti della scuola primaria sono quelli più frastornati. Sono i professionisti che hanno vissuto più degli altri il turbinio dei continui cambiamenti nei decenni passati. Questa ordinanza, inoltre, cambia le regole del gioco in corso d’opera mentre, tra l’altro, è in dirittura d’arrivo la pubblicazione del PTOF-triennalità 2025/2028, ritardata solo dalla inaspettata proroga disposta dal Ministero per le iscrizioni all’anno scolastico 2025/2026. Ciò inevitabilmente ha posto anche l’interrogativo inerente all’aggiornamento della sezione valutazione degli apprendimenti. Fortunatamente la scuola è sempre disposta a trovare soluzioni ai continui mutamenti. Lo ha evidenziato anche la recente crisi pandemica: i docenti si sono velocemente rimodulati in “artigiani della transizione digitale” onorando la scelta di quella mission che è alla base di un mestiere difficile e impegnativo, ma che non corrisponde, purtroppo, ad un dignitoso riconoscimento economico e sociale.
Le risorse dei docenti e le buone prassi
Dopo un turbinio di trend tra lettere alfabetiche, livelli, giudizi descrittivi, il ritorno alla “moda vintage” può trovare la sua significatività nella consapevolezza che occorra forse rinunciare alla ricerca dello strumento “idealtipo” della valutazione. Certo, c’è una responsabilità etica nel cercare la strada più adeguata per i giovani di oggi, considerando la mutevolezza del presente e la rapida obsolescenza del nostro “passato prossimo”, considerando le distanze ravvicinate nel virtuale, i fatti di cronaca, ma anche le indagini internazionali che disegnano scenari inquietanti.
Al di là di ogni scelta politica, tutti gli strumenti sperimentati nel corso della storia scolastica offrono un ventaglio di opportunità, accompagnato però da una serie di rischi che devono sempre essere posti in primo piano. Del resto, nel testo dell’Ordinanza 2025 si dice che “la valutazione in itinere resta espressa nelle forme che il docente ritiene opportune e che restituiscano agli alunni, in modo pienamente comprensibile, il livello di padronanza dei contenuti verificati, in conformità con i criteri e le modalità definiti dal Collegio dei docenti e inseriti nel PTOF”. Sono righe di saggezza pedagogica che sono alla base della professionalità del docente e costituiscono la strada per garantire il successo formativo dello studente. Nessuna disposizione normativa potrà, infatti, cancellare la storia della nostra scuola: la riflessione costruttiva e collaborativa è oramai una prassi quotidiana, anche se a volte sofferta. Probabilmente, è nella discontinuità dello “stop and go” che dovremmo iniziare a cogliere la continuità delle buone prassi, tutte legate con unico file rouge al valore non giudicante ma formativo, proattivo e regolativo di una valutazione autentica; di una valutazione che continui a precedere, accompagnare e seguire i progressi tanto negli apprendimenti quanto nel comportamento degli studenti.
Ma le difficoltà non si possono ignorare
Considerato che il miglioramento resta sempre un orizzonte e mai un punto di arrivo, la speranza è che le prossime riforme non avvengano in corso d’anno perché causano inevitabili problemi: non ultimo, in questo caso, lo stesso riadattamento terminologico dei valori docimologici. Un cambiamento per essere fecondo deve avvenire attraverso riflessioni comuni e azioni condivise. Tutti, per migliorare, abbiamo la necessità di metabolizzare le esperienze e la comunità scolastica non prevede eccezioni a questa regola essendo costituita, appunto, da persone!
A parte le scelte istituzionali dello strumento valutativo, a lasciare perplessi ci sono anche altri aspetti. Per esempio, nel testo leggiamo che “le istituzioni scolastiche possono riportare nel documento di valutazione i principali obiettivi di apprendimento previsti dal curricolo di istituto per ciascuna disciplina”. Ancora una volta il dialogo tra le discipline non ha guadagnato il meritato e fondamentale riconoscimento. Cosa accadrà della certificazione delle competenze? Non si evidenzia già un chiaro disallineamento con la valutazione degli apprendimenti? Sarà sufficiente il recente D.M. del 30 gennaio 2024 n. 14 che ha finalmente prodotto un modello unitario di certificazione per il primo e per il secondo di istruzione? Non sarebbe stato opportuno offrire qualche spiraglio in più alla personalizzazione degli apprendimenti e anche alla valorizzazione dei talenti?
Probabilmente è meglio affidare al tempo la risposta a questi nuovi quesiti e concentrarsi tempestivamente sul lavoro da intraprendere: “adeguare i criteri di valutazione, i registri elettronici e i documenti di valutazione per la scuola del primo ciclo, nonché fornire opportuna informazione alle famiglie degli alunni”.
[1] D.lgs. 62/2017, art. 1: “La valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione e formazione, ha finalità formativa ed educativa e concorre al miglioramento degli apprendimenti e al successo formativo degli stessi, documenta lo sviluppo dell’identità personale e promuove la autovalutazione di ciascuno in relazione alle acquisizioni di conoscenze, abilità e competenze.
[2] Art. 17, legge n. 899 del 1° luglio 1940: “Al termine delle lezioni rispettivamente del primo e del secondo anno scolastico, il consiglio di classe, sotto la guida del preside, presa visione dei giudizi trimestrali complessivi di cui all’art. 16, li discute e li definisce in un giudizio finale. Da tale giudizio il consiglio stesso desume la classificazione degli alunni nelle seguenti categorie: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente, affatto insufficiente”.