“La disabilità in sé stessa non costituisce né un destino né un’identità. Prima di essere disabile, la persona semplicemente esiste” (C. Gardou, 2006).
Com’è noto la cultura della diversità nel nostro Paese passa attraverso alcune tappe specificamente culturali, che evidenziano finanche nei dettagli semantici un’evidente evoluzione: dalla segregazione dei “minorati” psico-fisici (basti pensare alle scuole speciali) all’integrazione dei “portatori di handicap”, in un primo momento, e successivamente dei “diversamente abili”, per giungere infine all’inclusione sociale, che si compie nel diritto all’autodeterminazione e alla migliore qualità di vita dei bambini, degli alunni e degli studenti con “disabilità certificata” (art. 2 del D.lgs. 13 aprile 2017, n. 66).
Modello sociale della disabilità
Con la legge 3 marzo 2009, n. 18, il Parlamento italiano ratifica la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (2006) e propone per la prima volta un “modello sociale della disabilità” orientato al miglioramento della vita sociale di tutti. Ed è una svolta epocale, poiché lo slittamento dal concetto di integrazione (dalla legge 517/1977 alla 104/1992, passando per la sentenza costituzionale n. 215/1987) a quello d’inclusione (D.lgs. 66/2017 poi novellato dal D.lgs. 96/2019) può considerarsi di fatto compiuto.
Si tratta di un cambio di paradigma essenziale in quanto la disabilità viene ponderata come una condizione di salute in ambiente sfavorevole; pertanto la salute della persona si lega inscindibilmente al contesto socio-culturale di vita, alle potenzialità individuali e al raggiungimento dell’autonomia attraverso il superamento di ogni potenziale barriera (D. Scarampi, 2019). La diversità termina così d’esser considerata null’altro che un deficit; al contrario diventa un importante elemento in grado di costruire un progetto di vita duraturo, capace di superare la dimensione scolastica e di concretizzarsi in ogni contesto: il disabile non si limita a far parte d’un tessuto sociale, ma è protagonista all’interno dello stesso.
Definizione della condizione di disabilità
In tempi recenti, con la pubblicazione del D.lgs. 3 maggio 2024, n. 62[1], attuativo della legge 227/2021 e recante – in primis – una nuova definizione della condizione di disabilità, il Governo è intervenuto con l’intenzione di revisionare e riordinare le disposizioni vigenti in materia di disabilità, tenuto conto di un ampio combinato disposto: il dettato costituzionale, la già citata legge 18/2009, la strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030[2] ad opera della Commissione europea e infine la risoluzione del Parlamento europeo sulla protezione delle persone con disabilità del 7 ottobre 2021 (Monaco/Falabella, 2024)[3].
Il decreto legislativo in parola, mediante i suoi quaranta articoli volti a individuare, tra l’altro, definizioni generali, procedimenti valutativi multidimensionali, accomodamenti ragionevoli nonché un progetto di vita personalizzato e partecipato, va a novellare non solo alcuni passaggi della Legge Quadro 104/1992, ma dà piena attuazione al disposto della legge 328/2000 che, illo tempore, si proponeva di incentivare le migliori condizioni possibili al raggiungimento di una completa autonomia per le persone con disabilità.
Dal modello assistenziale al modello biopsicosociale
In altri termini l’intenzione governativa è quella di valicare il vecchio “modello assistenziale e biomedico” e dare attuazione a un nuovo “modello biopsicosociale”[4], che anzitutto chiarisca anche dal punto di vista semantico chi sia la “persona con disabilità” e, soprattutto, cosa s’intenda esattamente per “condizione di disabilità”.
Da tutto ciò consegue la forte necessità di un approccio socio-culturale (che peraltro ha le sue radici nel Profilo di Funzionamento, nato a sua volta dall’ICF dell’OMS) che promuova l’utilizzo di un linguaggio alternativo a quello desueto e penalizzante facente capo a locuzioni del tipo “portatore di handicap” o “diversamente abile”, altamente stigmatizzanti.
Come ben ha arguito Maria Paola Monaco (2024), Il D.lgs. 62/2024 trascende la stretta e asfittica correlazione fra disabilità e gravità della menomazione, per promuovere una nuova correlazione tra disabilità e intensità dei sostegni necessari ad assicurare la partecipazione delle persone in un contesto di “uguali”.
Progetto di vita
Non a caso il Decreto 62/2024 delinea con dovizia di particolari la procedura partecipata che conduce, per il tramite della valutazione multidimensionale, alla definizione di un progetto di vita individuale: al centro del sistema non c’è più il servizio standardizzato, ma ci sono la persona e la sua dimensione psico-sociale. Il diritto a un progetto di vita efficace e coerente sfocia – o dovrebbe sfociare – nel miglioramento delle condizioni della persona con disabilità, a giovamento dell’inclusione e dell’uguaglianza.
Le parole contano
Ora, l’aspetto sul quale il legislatore indugia maggiormente all’interno del disposto normativo si concentra sul corretto utilizzo delle terminologie inclusive; d’altronde, come ben ha argomento l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte con la pubblicazione di un recente Glossario, Di’ la cosa giusta – Le parole per l’inclusione, nelle nostre scuole sopravvivono spesso espressioni infelici e immature che implicano convinzioni vetuste e limitanti della disabilità.
Ma le parole contano, hanno un peso ed esprimono il significato che attribuiamo alla realtà che ci circonda, orientando in profondità il nostro comportamento, le nostre attitudini e la nostra percezione dell’altro.
Le parole infatti condizionano il nostro agire e, inevitabilmente, possono creare ponti o muri nei rapporti interpersonali. La scelta delle parole, quindi, finisce per orientare la nostra percezione del mondo e soprattutto condiziona la qualità delle relazioni che instauriamo; ed è in questo contesto ideologico – proposto dal Decreto 62/2024 – che l’individuo può precedere, anche nella dimensione comunicativa, la disabilità stessa.
In conclusione, come già ebbe a dire il grande pedagogo Andrea Canevaro, attraverso il linguaggio la persona con disabilità può considerare la presenza della propria vulnerabilità non solo come un deterrente, ma anche come una possibilità d’emancipazione.
Indicazioni di lettura
1) M.P. Monaco, V. Falabella, Prima analisi del decreto legislativo 3 maggio 2024, n. 62, in materia di disabilità: una “rivoluzione copernicana”.Vedi anche L’inclusione sociale e lavorativa delle persone con disabilità nel D.lgs. n. 62/2024
2) G. Lakoff, USR Piemonte, Di’ la cosa giusta – Le parole per l’inclusione, Glossario e abbreviazioni delle parole della disabilità (Il linguaggio inclusivo non è solo una questione di correttezza, ma di dignità umana).
3) D. Scarampi, Il valore del “diverso” e la percezione dell’inclusione scolastica nella recente evoluzione normativa, in Dirigere la Scuola, 2019.
[1] D.lgs. 3 maggio 2024, n. 62. Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato.
[2] Un’Unione dell’uguaglianza: Strategia sui diritti delle persone con disabilità 2021-2030. Nel marzo 2021 la Commissione europea ha adottato la strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030. Con questa strategia decennale la Commissione europea intende migliorare la vita delle persone disabili in Europa e nel mondo.
[3] Cfr. Testi approvati a Strasburgo il 7 ottobre 2021, La protezione delle persone con disabilità attraverso le petizioni: insegnamenti appresi.
[4] Il modello biopsicosociale è una strategia di approccio alla persona, che attribuisce il risultato della malattia, così come della salute, all’interazione intricata e variabile di fattori biologici (genetici, biochimici, ecc.), fattori psicologici (umore, personalità, comportamento ecc.) e fattori sociali (culturali, familiari, socioeconomici, ecc.). Il modello biopsicosociale si contrappone al modello biomedico, che attribuisce la malattia principalmente a fattori biologici, come virus, geni o anomalie somatiche, che il medico deve identificare e correggere.