Rapporto CENSIS 2024

Dal “Paese degli ignoranti” ad una scuola più efficace

Il Rapporto Censis, documento annuale giunto alla 58ª edizione nel 2024, si propone l’analisi e l’interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese, individuando i reali processi di trasformazione della società italiana e fornendo efficaci chiavi di lettura e interpretazione dei contesti di vita anche a chi si occupa di educazione e formazione. La prima parte del rapporto attiene alle «Considerazioni generali», note introduttive di carattere ampio e complessivo. Nella seconda parte, «La società italiana al 2024», vengono affrontati i processi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

Proponiamo una lettura agile delle tematiche contenute nel documento allo scopo di proporre ai lettori spunti di riflessione sul contesto complesso nel quale operano la scuola e i suoi operatori.

La “sindrome italiana” nella quale siamo intrappolati

“Intrappolati nella sindrome italiana” è la metafora con la quale inizia il rapporto. Il 2024 potrebbe essere ricordato come l’anno dei record con riferimento agli occupati, al turismo estero, ma anche alla denatalità, al debito pubblico e all’astensionismo elettorale. Questi fenomeni meritano un’analisi approfondita che inesorabilmente ci consegna un’immagine più aderente alla reale situazione sociale del Paese.

La sindrome italiana può essere descritta come “la continuità nella medietà”. Questa situazione sembra garantire al nostro Paese una stabilità intorno a una linea di galleggiamento che, pur garantendo di non incorrere in rovinose cadute nelle fasi recessive, limita, di fatto, anche le scalate rapide nei cicli economici e positivi della crescita.

Questa situazione è caratterizzata da una dialettica nella quale prevalgono sentimenti contrastanti come il disincanto, la frustrazione, il senso di impotenza, il risentimento, la sete di giustizia, la brama di riscatto e la smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole. Tuttavia, questi sentimenti che caratterizzano i nostri tempi in Italia, non sfociano in violente esplosioni di rabbia come avviene in altre zone del Mondo. Sembra che il popolo del Belpaese sia capace di piegarsi al vento e prendere di nuovo forma dopo ogni tempesta. Il rovescio della medaglia è l’attenuarsi o perfino il fermarsi della spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere. Il reddito disponibile lordo pro-capite nell’ultimo ventennio (2003-2023) rappresenta il rovescio della medaglia e, infatti, si è ridotto in termini reali del 7%. Nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%.

Quindi, la sindrome italiana non può essere interpretata come un modello prudenziale, capace di tutelare l’esistente compiendo scelte misurate e contenute, essa in realtà nasconde non poche insidie, come quella che attesta il dato dell’85,5% degli italiani convinto del fatto che sia molto difficile salire nella scala sociale.

Una questione di identitĂ 

Il Censis affianca all’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio, una corrispondente avversione verso i valori costitutivi dell’agenda collettiva del passato: il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto Atlantismo, per citare quelli che hanno caratterizzato il periodo costituzionale iniziato nel 1948.

Un dato allarmante è il tasso di astensione elettorale: alle ultime elezioni europee l’astensionismo ha segnato un record nella storia repubblicana pari al il 51,7%. Il dato è terrificante, considerato che alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si attestò al 14,3%. Un elemento per tutti ratifica il problema elettorale: il 71,4% degli italiani considera l’Unione europea come destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. A sua volta il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più. Questo indice si allinea al 66,3% che attribuisce all’Occidente la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Meno di un terzo degli italiani concorda sull’aumento della spesa, in termini di PIL, per le spese militari. La società ristagnante ha risvegliato i più dall’illusione che il destino dell’Occidente fosse di farsi guida e modello del mondo.

Le questioni identitarie, di riflesso, sono diventate centrali nella dialettica socio-politica sostituendo le istanze delle classi sociali tradizionali. Per questi motivi si ingaggiano competizioni a oltranza per accrescere il valore sociale delle identità individuali, delle differenze etnico-culturali, delle credenze religiose, degli orientamenti di genere o relativi all’orientamento sessuale, secondo una “ricombinazione” interclassista.

Il rischio della rivalità delle identità e la lotta che ognuno intraprende per il riconoscimento dell’identità propria e del proprio gruppo, implicano l’adozione della logica “amico- nemico”. Il 38,3% degli italiani si sente minacciato dall’ingresso nel Paese dei migranti mentre il 29,3% prova ostilità per chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale. E per altro verso il 21,8% vede il nemico in chi professa una religione diversa, il 21,5% in chi appartiene a una etnia diversa, il 14,5% in chi ha un diverso colore della pelle, l’11,9% in chi ha un orientamento sessuale diverso.

Il ceto medio si sfibra lasciando il Paese non più immune ai rischi delle trappole identitarie, spostando l’ago della bilancia dalle identità socio-economiche verso le appartenenze etniche, sociali e religiose, a loro modo più insidiose e ingannevoli. Una vera e propria mutazione morfologica della nazione.

Ogni incredulo è presto servito

Leggendo i dati finora esposti si provano, senza dubbio, sentimenti di incredulità, nonostante il dibattito politico sia fortemente intriso da queste contaminazioni. Tuttavia, come sempre accade, la politica è specchio fedele della società e i suoi rappresentanti quasi mai deludono questa specularità.

Per quanto attiene, ad esempio, all’acquisizione della cittadinanza, il 57,4% degli italiani ritiene che l’“italianità” debba essere cristallizzata e immutabile, definita dalla discendenza diretta da progenitori italiani. Una significativa rappresentanza pari al 36,4% ritiene che la cittadinanza debba essere connotata dalla fede cattolica e un preoccupante 13,7% la associa in via prioritaria a determinati tratti somatici. Cosa direbbero questi italiani se scoprissero che negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri, collocando l’Italia al primo posto tra tutti i Paesi dell’Unione europea per numero di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023)?[1] E il nostro Paese è primo anche per il totale cumulato nell’ultimo decennio (+112,2% tra il 2013 e il 2022).

Il Paese degli ignoranti?

Il Censis compie un focus anche sulla preparazione culturale, nella consapevolezza che il salto d’epoca imminente richieda una preparazione non comune. Peraltro, “la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. Un focus sulle conoscenze e sulle abilità, intesi come risultati del sistema scolastico, lascia piuttosto sconcertati.

  1. Non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano: il 24,5% degli alunni al termine delle primarie, il 39,9% al termine delle medie, il 43,5% al termine delle superiori (negli istituti professionali il dato sale vertiginosamente all’80%).
  2. In matematica stentano a raggiungere i traguardi: il 31,8% alle primarie, il 44% alle medie e il 47,5% alle superiori (il picco si registra ancora negli istituti professionali, con l’81%).
  3. Il 49,7% degli italiani non sa indicare correttamente l’anno della Rivoluzione francese, il 30,3% non sa chi è Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), per il 32,4% la Cappella Sistina è stata affrescata da Giotto o da Leonardo, per il 6,1% il sommo poeta Dante Alighieri non è l’autore delle cantiche della Divina Commedia.

Si discute animatamente di concetti come l’egemonia culturale anche per il pericolo culturale di cui il migrante potrebbe essere portatore; molti italiani si pongono invece il problema di una

cittadinanza culturale ancora non riconoscibile e diffusa, stante anche il difficile affermarsi dello ius culturae per l’acquisizione della cittadinanza italiana[2].

Nel limbo dell’ignoranza possono attecchire stereotipi e pregiudizi: il 20,9% degli italiani asserisce che gli ebrei dominano il mondo tramite la finanza, il 15,3% crede che l’omosessualità sia una malattia, il 13,1% ritiene che l’intelligenza delle persone dipenda dalla loro etnia, per il 9,2% la propensione a delinquere avrebbe una origine genetica (si nasce criminali, insomma), per l’8,3% islam e jihadismo sono la stessa cosa.

Possiamo dire con rammarico che i dati del Censis sono sovrapponibili a quelli che risultano dalle rilevazioni nazionali (INVALSI) e Internazionali (OCSE-PISA, PIRLS, TIMSS).

Eppure il livello di consapevolezza di questi dati da parte dei lavoratori della scuola appare visibilmente basso. I dati delle rilevazioni, in larga parte, sono sconosciuti alla maggior parte degli operatori della scuola. Si discetta piuttosto sulla loro utilità, sul fatto che siano basati sulle stesse prove somministrate a livello nazionale e internazionale ma, quasi mai, il dibattito si sofferma, a livello collegiale e individuale, sull’utilità dello strumento, costituito dalle prove standardizzate nazionali e internazionali, per la regolazione continua della progettazione curriculare individuale e collegiale.

Vola la spesa sanitaria privata (+23%) e cresce il disagio giovanile

Secondo il rapporto 2024, al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite, rinviando quello che ormai costituisce il primo elemento della salute che è la prevenzione. Il dato deve, a giudizio di chi scrive, far riflettere sulla necessità dell’educazione sanitaria alla prevenzione della salute che investe la scuola in maniera pregnante. Infatti, il dato che riguarda maggiormente la scuola è quello che attiene al 58,1% dei giovani di 18-34 anni, fascia di uscita dal sistema formativo secondario e terziario, che si sente fragile oppure si sente solo (56,5%) o dichiara di soffrire di stati d’ansia o depressione (51,8%), di attacchi di panico (32,7%) e di disturbi del comportamento alimentare (18,3%).

Ma c’è anche una maggioranza silenziosa fatta di giovani che mettono in gioco strategie individuali di restanza o rilancio per assicurarsi un futuro migliore, in Italia o all’estero. Dal 2013 al 2022 sono espatriati circa 352.000 giovani tra i 25 e i 34 anni (più di un terzo del totale degli espatri). Di questi, più di 132.000 (il 37,7%) erano in possesso della laurea. Negli anni i laureati sono aumentati: nel 2013 erano il 30,5% degli emigrati dall’Italia, nel 2022 erano diventati il 50,6% del totale.

Il turismo su, l’industria giù

La produzione delle attività manifatturiere italiane è entrata in una spirale negativa: meno l’1,2% tra il 2019 e il 2023. Il raffronto dei primi otto mesi del 2024 con lo stesso periodo del 2023 rivela una caduta del 3,4%. Invece le presenze turistiche in Italia hanno raggiunto i 447 milioni nel 2023, con un incremento del 18,7% rispetto al 2013. L’aumento più evidente nel decennio è attribuibile alla componente estera (+26,7%), che si colloca sui 234 milioni di presenze, ma il turismo domestico è comunque cresciuto del 10,9%. A Roma le presenze turistiche nel 2023 hanno superato i 37 milioni. In termini di produttività, nel periodo 2003-2023 le attività terziarie registrano però una riduzione del valore aggiunto per occupato dell’1,2%, mentre l’industria mostra un aumento del 10%. Il dato non deve essere letto necessariamente in maniera negativa poiché la filiera turistica non è seconda a quella manifatturiera, nella definizione del PIL e dell’assetto economico-produttivo ed occupazionale del Paese.

L’Italia inaspettata… dove mancano i lavoratori!

Nel 2023 la quota di figure professionali di difficile reperimento, rispetto ai fabbisogni delle imprese, è arrivata al 45,1% del totale delle assunzioni previste (era pari al 21,5% nel 2017).

Si parla sempre piĂą insistentemente delle figure difficili da reperire per esiguitĂ  dei candidati: dal 9,7% del totale delle assunzioni previste nel 2017 al 28,4% nel 2023.

Tra gli under 29 anni, sono di difficile reperimento per esiguità dei candidati il 34,1% delle professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione e il 33,3% delle professioni tecniche. Nel 38,9% dei casi non si riescono a trovare giovani che vogliano fare gli artigiani, gli agricoltori o gli operai specializzati. Il mancato rapporto di collaborazione emerso dalla lettura di questi dati con le filiere formative degli attuali ordinamenti dell’istruzione secondaria e terziaria è assolutamente evidente. Intanto nessuno parla seriamente di riforme strutturali incentrate su una reale forma di collaborazione tra le scuole e i territori con il loro tessuto produttivo, peraltro a loro volta riluttanti verso una collaborazione costruttiva, sebbene critici quando la domanda di lavoro non soddisfa l’offerta.

Specialisti e tecnici della salute sono ormai la primula rossa del mercato del lavoro. Il ridotto numero di candidati riguarda ben il 70,7% della domanda di lavoro per infermieri e ostetrici, il 66,8% per i farmacisti e il 64% delle posizioni aperte per il personale medico, e non collima con le assurde limitazioni all’accesso per la formazione di tale personale, sottoposto a rigidi e scoraggianti test di ingresso che, proprio a causa delle loro caratteristiche, non garantiscono affatto la qualità della selezione. Ristoratori e albergatori non riescono a trovare soprattutto cuochi (il tasso di irreperibilità per ridotto numero di candidati è salito al 39,1%) e camerieri (35,3%). La carenza di candidati riguarda anche gli idraulici (il 47,7% delle assunzioni previste) e gli elettricisti (40,2%).

Intanto, la carenza di iscrizioni agli indirizzi tecnici e professionali, in favore dei licei, è un altro paradosso italiano che non si riesce ancora a superare malgrado le politiche riformatrici sul settore degli ultimi due decenni.

La solitudine tra le pareti domestiche

Dopo l’esperienza traumatica della pandemia, è sempre più evidente il ritorno alla convivialità e alla frequentazione dei luoghi pubblici. Il 58,8% degli italiani incontra gli amici durante il tempo libero almeno una volta alla settimana. Il dato sale tra i giovani, con punte intorno al 90% tra chi ha dai 15 ai 19 anni, mentre è evidente una rarefazione delle relazioni tra le persone anziane. Nel 2023 si sono registrate più di 10 milioni di presenze alle 2.397 fiere organizzate in Italia: +16,3% rispetto all’anno precedente. Aumenta la partecipazione ai concerti, con oltre 28 milioni di presenze (+70,1% rispetto al 2019).

La casa invece può diventare il luogo della solitudine. Nel 2023 le persone sole hanno superato gli 8,8 milioni (+18,4% dal 2013). I vedovi (3,1 milioni) costituiscono il 34,8% delle persone sole, i single (celibi e nubili o separati e divorziati) sono il 65,2% (5,8 milioni).

Questi dati aiutano a riflettere sulla necessitĂ , per la scuola, di impostare le proprie scelte sulla creazione di coscienze volte a competenze che saranno sempre piĂą indispensabili nella gestione ma soprattutto nella prevenzione, delle situazioni di disagio e di svantaggio determinate dalla solitudine e dalla mancanza di relazioni sociali.

Il Censis e la scuola

La forbice, sempre più divaricata, tra l’offerta formativa delle scuole italiane e i risultati in termini di competenze in uscita, deve spingere le scuole ad allargare il più possibile i propri orizzonti nella capacità di lettura dei contesti che, di fatto, limita la loro efficacia formativa quando si ferma alle connotazioni locali, ignorando sviluppi e connessioni di natura globale, ormai alla base di ogni scelta efficace e non dispersiva.

In questo periodo dell’anno le istituzioni scolastiche sono alacremente impegnate a chiudere e pubblicare i documenti strategici per il prossimo triennio 2025-2028 e la loro azione si proietta in un orizzonte temporale che supera il primo quarto di secolo del XXI secolo toccando quasi il 2030.

Ricordare a tutti gli operatori dell’istruzione che ogni azione scientificamente fondata si avvale di dati, cognizioni e valutazioni che devono avere la caratteristica dell’oggettività e non della mera opinione non supportata in alcun modo, giova soprattutto di fronte agli allarmanti dati sulle competenze in uscita dall’istruzione secondaria di secondo grado.

Le raccomandazioni del MIM rispetto alla redazione ed al controllo dei documenti strategici non sfuggono a questa logica irrinunciabile, invitando implicitamente tutti gli operatori della scuola ad avvalersi di strumenti semplici, disponibili, efficaci ed ormai necessari come base di partenza per progettare e realizzare una scuola di qualità. Il Censis, dunque, può costituire uno strumento importante per la progettazione e la realizzazione di curricoli efficaci.


[1] Con un numero molto più alto delle circa 181.000 in Spagna, 166.000 in Germania, 114.000 in Francia, 92.000 in Svezia, le acquisizioni della cittadinanza italiana già nel 2022 ammontavano al 21,6% di tutte le acquisizioni registrate nell’Ue (circa un milione). Fonte Censis.

[2] Per il 5,8% degli intervistati il “culturista” è una “persona di cultura”.