La scuola, bene della Nazione
La Scuola della Repubblica è il bene comune della Nazione e di tutti
i suoi figli. Il confinamento imposto dalle circostanze di salute rivela più
che mai l’importanza del legame concreto tra lo studente e l’insegnante.
Queste parole aprono la circolare del Ministro dell’educazione francese, il quale in una circolare del 4 maggio 2020 indicava alcune essenziali linee guida in vista della riapertura delle scuole dopo la forzata chiusura dovuta al Covid 19.
In Francia le leggi che hanno apportato mutamenti strutturali al sistema scolastico ripropongono quasi sempre il tema dell’istruzione come bene comune della Nazione.
Nel nostro Paese un’espressione simile è del tutto assente nella cultura giuridica.
Eppure, a differenza dei cugini d’Oltralpe, negli anni Settanta l’Italia ha avuto il coraggio di aprire la scuola a tutti, in particolare agli alunni con disabilità. In Francia invece esistono tuttora le scuole speciali. Dunque, anche qui la scuola è un bene universale.
Penso allora che la catastrofe che si è abbattuta, a seguito dell’emergenza sanitaria, potrebbe essere l’occasione per fare realmente (non a parole!) della nostra scuola il perno di sviluppo dell’intera società.
La clausura surreale che ha costretto milioni di ragazzi e giovani a restare chiusi in casa dovrebbe indurre tutti (decisori politici, amministratori locali, genitori, docenti, singoli cittadini) a fare quel cambio di passo tanto retoricamente auspicato quanto scarsamente praticato, a cominciare da un’edilizia scolastica che si lasci definitivamente alle spalle il modello ottocentesco di “fare scuola”.
L’insegnamento del diluvio biblico
Non voglio partire da un tempo in cui la storia si perde nella notte dei tempi. Il racconto biblico del diluvio però ha una suggestione tale che può rappresentare un’utile metafora per ripensare, oggi, un nuovo inizio.
Dopo quaranta giorni di piogge ininterrotte, finalmente la colomba rientrò sull’arca serrando nel becco un ramoscello di ulivo. La terra stava nuovamente emergendo e le acque avevano iniziato a ritirarsi. Un po’ come il virus, almeno si spera!
Che cosa annuncia la fine del diluvio universale? Un enorme arcobaleno che abbraccia il cielo e la terra. Il Cielo per i credenti è Dio; per tutti è comunque la visione di un’immensità percepita come un abbraccio che protegge il mondo e l’umanità.
La Terra siamo noi. L’arcobaleno dunque suggella la nuova alleanza tra il Creatore da un lato e l’uomo dall’altro. Dio si erge a Protettore e Custode di questa ri-creazione. Anch’Egli cambia registro. Non è più il Signore che giudica e punisce. No. E’ il Dio della vita, di una vita completamente nuova!
Dopo il diluvio universale, dunque, il mondo cambia direzione. L’arca è il grembo dal quale rinasceranno a vita nuova donne, uomini, bambini, animali, piante, … L’arca, costruita da mani artigianali, non affonda come il Titanic dove si canta e si balla mentre la morte è in agguato.
Le macerie della pandemia impongono a tutti una sterzata radicale: come il diluvio, anche il virus può trasformarsi in uno strumento di un pensiero nuovo e di un “dopo” migliore. Più umano e meno calcolante! La storia non sarà “maestra di vita”, ma sicuramente uno strumento per capire la vita.
Non dunque la fine, ma l’inizio! A patto però che tutti si voglia questo cambio!
Il mondo siamo noi
Abbiamo imparato tutti che il tempo della convivenza con il virus sarà duro e doloroso. Inizia una nuova era, in cui ci viene richiesta una fase di preparazione in vista di una società più fraterna.
Nel nostro piccolo dobbiamo sostenere lo sforzo titanico che Noè si caricò sulle proprie spalle: un moderno patto tra cielo e terra; una vera e propria mutazione antropologica tra uomo e uomo, tra creato e costruito.
Come con acutezza ha sottolineato Massimo Recalcati (La Stampa, 7 maggio 2020),”la riapertura non è la semplice antitesi della tesi della chiusura”. Dobbiamo far sì che il nuovo “traumatismo” consolidi un diverso modo di concepire le nostre vite.
Non so se “andrà tutto bene”! Ognuno di noi, dai bambini ai vecchi canuti, deve fare la propria parte. Molti segnali purtroppo vanno in una direzione opposta a quella auspicata.
La liberazione di Silvia Romano ha scatenato uno stato di ferocia primitiva da fare rabbrividire.
La stessa ferocia che ha costretto, prima del virus, una senatrice della Repubblica, sopravvissuta allo sterminio nazista, a vivere sotto scorta.
Venendo ai comportamenti quotidiani (che sono ‘essenza della democrazia), basta passeggiare nei parchi, nei luoghi pubblici dopo questa “simil-ripartenza” per rendersi conto che non è cambiato proprio niente. C’è una significativa minoranza di connazionali che considera i beni pubblici terra di nessuno. Il dissidio tra “I care” e “Non m’importa” dei ragazzi di Barbiana ostenta la sua cruda attualità.
Ri-partire dalla scuola
Una nuova alleanza tra gli uomini e tra questi ultimi e il pianeta deve ripartire dalla scuola, cominciando dall’educazione dei bambini dei nidi e delle scuole dell’infanzia.
Ai piccoli dobbiamo affidare il messaggio di costruire un “modo nuovo di essere liberi”. Un orizzonte di libertà in grado di sostituire il vecchio mondo, in cui una minoranza di usurpatori, con la complicità degli Stati, ha portato l’umanità a sprofondare nel baratro della pandemia.
La scuola, come tutte le altre istituzioni, è chiamata ad un esame senza appello.
Quali le possibili direzioni?
Sarebbe oltremodo bello che anche in Italia si affermasse, come hanno fatto i “cugini” francesi, che, la “Scuola è il bene comune della Nazione e di tutti i suoi figli”.
Mai come in questo periodo, bambini, genitori, docenti, … hanno avvertito un enorme bisogno di scuola.
Il nuovo curricolo: leggerezza e profondità
Secondo me, il curricolo (identità delle singole scuole) dovrà avere due fondamentali caratteristiche: la leggerezza e la profondità.
Leggerezza, nel senso dell’irrinunciabilità dei saperi che contano nell’esperienza di crescita dell’alunna/o. Dovrà essere essenziale (non minimale!) ed esplicitare i nuclei generativi del conoscere, del comprendere e dell’agire attraverso gli strumenti della mente etica, del cuore rispettoso e della mano creativa.
Profondità: l’alleggerimento dei contenuti dovrà essere accompagnato dalla possibilità di imparare fuori dalle aule scolastiche, nei luoghi dove le conoscenze e le competenze ogni giorno si costruiscono e si rinnovano. Una scuola che finalmente sappia dispiegare la propria azione educativa e didattica nelle numerose “aule decentrate” che i nostri territori custodiscono. “Sussidiari più leggeri” e percorsi di apprendimento più frequenti: “il cammino si fa camminando”, recita Antonio Machado!
La contestualità intesa come rampa di lancio per “naufragare” nella complessità dei problemi e dei saperi.
Potremo così dare vita ad una nuova progettualità che sappia rispettare il distanziamento nel reale, non dal reale! Nella realtà, anche la cultura digitale troverà la sua “anima educativa”.
Un curricolo del Bello
La bellezza è una parola poliedrica. Tiene insieme il senso delle nostre vite. Non so se, come ha affermato il principe Miskin nell’Idiota di F.Dostoiewskj, la bellezza salverà il mondo. Sicuramente ci darà una grossa mano!
Abbiamo la fortuna di vivere in un paese nel quale ogni giorno inciampiamo in cose belle!
La bellezza è nelle persone, nelle cose, nelle relazioni. Papa Francesco ci suggerisce di “ritrovare i piccoli gesti concreti di vicinanza e concretezza verso e persone”. Sta in Il mondo che sarà. Il futuro dopo il virus, la Repubblica, GEDI, Roma, 2020.
Un bambino che aiuta un compagno di classe a fare i compiti esprime un sentimento infinito di servizio. Potrà capire quanto sia importante cominciare ad aiutare un amichetto per approdare al sostegno di bambine/i lontane/i.
Una classe che inforca guanti e stivali e ripulisce il cortile della scuola, un parco cittadino, … compie un gesto di enorme valore estetico. Quegli alunni proveranno disgusto quando una persona si soffierà il naso e getterà il fazzoletto per terra.
Un gruppo di ragazzi che si prende cura di un bosco, sia ripulendolo che studiando le infinite conoscenze che nasconde, esprime un concreto esempio di cittadinanza responsabile. Questi ragazzi hanno già compiuto una grande conquista: i beni comuni vanno custoditi e protetti come gli spazi della casa in cui vivono.
Un viaggio con occhi nuovi
Gli alunni di una classe quinta “elementare” (nel senso che fornisce gli elementa) che sanno leggere L’albero rosso di Mondrian hanno raggiunto un’elevatissima capacità contemplativa. Potranno essere domani operatori nel campo artistico, del design …, delle cose inimitabilmente belle che gli italiani sanno proporre al mondo.
Gli studenti di una scuola secondaria che sanno abbinare l’Infinito di Leopardi ad un brano musicale sono già entrati nell’olimpo del Bello. Alla stessa stregua opereranno gli alunni che sanno apprezzare la leggerezza del ponte sul Polcevera, progettato da Renzo Piano. L’idea dell’architetto è stata quella di creare una struttura “pesante” immaginando una nave sospesa. Ingegneria, architettura, geologia, meccanica, fisica, arte … vanno a braccetto! Il grande progettista genovese ha confessato sulle colonne dell’inserto domenicale del Sole 24 ore (10 maggio 2020) che ha ideato inizialmente questa creatura aiutandosi con il palmo della mano. Proprio come fanno i bambini!
E che dire di quegli studenti che sono in grado di riscrivere il primo canto dell’Inferno di Dante, pensando alla tragedia che il mondo sta vivendo nel tempo del coronavirus?
L’elenco potrebbe continuare all’infinito.
La scuola che ripensa il curricolo (a cominciare dal prossimo anno) può sostituire tanti contenuti inerti (che non lasciano tracce nei vissuti dei ragazzi) con percorsi e saperi volti a creare risonanze destinate a durare nel tempo e a far capire il senso non tanto della scuola (anche, s’intende!), ma del senso della vita. Dobbiamo educare i giovani a gesti concreti, a maturare un’intelligenza “etica e rispettosa”, ad inforcare occhiali a più lenti per scrutare gli orizzonti del dopo pandemia. Possiamo ripensare al curricolo con le parole di Marcel Proust: ”Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.