Chi ha ragione sulla retribuzione dei docenti italiani?

Valditara e Schleicher la raccontano diversamente

Un ricordo in premessa: “Direttore, la verità è una sola: preferiamo guadagnare tutti poco piuttosto che affrontare il disagio della differenza retributiva”.

Questa frase mi risuona da anni in testa ogni volta che si parla di stipendio dei docenti. Mi fu detta quando ero dirigente scolastico in un istituto comprensivo di Roma da una docente bravissima, seria e impegnata nel suo lavoro. Ricordo anche che io le dissi: “Ma lei pensa che i suoi colleghi siano professionalmente equivalenti?” e che lei mi rispose più o meno così: “Assolutamente no! Ma quando si introducono differenze di stipendio il clima si guasta”.

Al di là di ogni altra considerazione, nella questione retributiva dei docenti questo tratto antropologico dei docenti italiani, che fa emergere una sorta di tabù sulla diversificazione retributiva, deve essere preso in carico pena il fallimento di qualsiasi politica per la valorizzazione della professione docente. Lo dimostra il sostanziale fallimento della valutazione dei docenti introdotta nella legge 107/2015 che, non dimentichiamolo, poneva le basi di una differenziazione retributiva sulla base del merito e dell’impegno individuale.

La recente presentazione del rapporto OCSE “Education at a Glance 2024” offre spunti interessanti per tornare a ragionare sul nodo stipendio/carriera/valutazione degli insegnanti.

Il Rapporto OCSE “Education at a Glance” 2024

Il Rapporto è stato presentato il 26 settembre 2024 nella Sala della Comunicazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito. Si è trattato di un incontro inusualmente breve e “succoso”. Poco più di un’ora durante la quale si sono succedute due sole voci: il Ministro Valditara e il direttore del settore Education & Skills dell’OCSE Andreas Schleicher, presentati e moderati in modo sobrio e discreto dal presidente dell’Invalsi Roberto Ricci.

Il Rapporto “Education at a Glance” è una ricerca comparativa molto ricca e complessa sui sistemi di istruzione nel mondo che l’OCSE svolge ormai da quasi trent’anni. Basti dire che il rapporto completo, di 498 pagine, è accompagnato da una “nota metodologica” di 384 pagine nella quale sono forniti tutti i dettagli tecnici sugli indicatori utilizzati e i metodi di stima.

Le decine e decine di indicatori elaborati dall’OCSE sono organizzati in 21 domande principali articolate in 4 aree: a) Esiti dei sistemi di istruzione; b) Accesso all’istruzione; c) Spesa per l’istruzione; d) Insegnanti e organizzazione scolastica (vedi riquadro).

Da questa vasta massa di dati vorrei estrarre quelli riferiti alla questione più controversa e, obiettivamente, complessa: la retribuzione dei docenti.

Le 21 domande principali cui risponde il Rapporto “Education at a Glance” 2024

a) Esiti dei sistemi di istruzione

  • Qual è il livello di istruzione della popolazione adulta?
  • Come avviene il passaggio dall’istruzione al lavoro dei giovani?
  • In che modo il livello di istruzione influisce sulla partecipazione al mercato del lavoro?
  • Quali sono i vantaggi dell’istruzione in termini retributivi?
  • In che misura gli adulti partecipano all’istruzione e alla formazione?
  • In che modo lo sviluppo sociale è correlato all’istruzione?

b) Accesso all’istruzione

  • In che modo la partecipazione all’istruzione e alla cura della prima infanzia differisce tra i paesi?
  • Quali sono le principali caratteristiche dell’istruzione primaria e secondaria inferiore?
  • Quali sono le caratteristiche principali dell’istruzione secondaria superiore generale e professionale?
  • Quali sono le differenze nell’accesso e nei risultati dell’istruzione terziaria?

c) Spesa per l’istruzione

  • Qual è la spesa per studente dei paesi Ocse?
  • Quale percentuale del Pil viene destinata all’istruzione?
  • Quanto è l’investimento pubblico e privato in istruzione?
  • A quanto ammonta la spesa pubblica totale per l’istruzione?
  • Quanto pagano gli studenti universitari e quale sostegno pubblico ricevono?
  • Per quali risorse e servizi vengono spesi i fondi per l’istruzione?

d) Insegnanti e organizzazione scolastica

  • Qual è il rapporto studenti-insegnanti e quanto sono grandi le classi e le scuole?
  • Quanto vengono pagati insegnanti e dirigenti scolastici?
  • Quanto tempo gli insegnanti dedicano all’insegnamento e ad altre attività?
  • Chi sono gli insegnanti e dove si collocano i paesi in termini di carenza di insegnanti?
  • Come vengono rappresentate formalmente le opinioni di genitori e studenti nel sistema educativo?[1].

Quanto sono pagati i docenti italiani?

Su questo aspetto del rapporto si sono espressi sia il Ministro Valditara che il Direttore Ocse Schleicher ponendo l’accento su aspetti diversi. Cerco di sintetizzare le loro considerazioni.

Il Ministro ha riconosciuto che la situazione della retribuzione dei docenti italiani è “molto negativa”. Citando testualmente la sintesi riportata nella “Nota Paese” relativa all’Italia[2] ha detto che dal 2015 al 2022 il salario dei docenti è diminuito del 6%in termini reali (cioè in rapporto al costo della vita) mentre, nello stesso periodo, il salario medio dei docenti dei paesi OCSE non solo non è diminuito ma è aumentato del 4%. Quello italiano è il peggior risultato, tra i 24 paesi esaminati, subito dopo quello della Grecia. Il Ministro ha attribuito questa preoccupante situazione al blocco dei contratti che si è protratto per undici anni, dal 2009 al 2020, seguito da un modesto aumento, pari al 3,4%, ottenuto con il contratto firmato nel 2020[3]. Ha poi ricordato di aver firmato nel gennaio 2024 un contratto che prevede un aumento del 4,5% e che in futuro intende incrementare le risorse complessive per la retribuzione del personale docente di tre miliardi di euro per ottenere un aumento del 5,8% che spera di poter incrementare ulteriormente portandolo al 6%. Lo stesso Ministro ha però riconosciuto che, a fronte del modesto salario dei docenti, l’orario annuale complessivo di lavoro degli insegnanti italiani, pari a 626 ore, è inferiore a quello della media OCSE che è di 706 ore (+13%).

È curioso osservare come la minore retribuzione degli insegnanti italiani corrisponda grosso modo al loro minore carico orario. Ancora una volta siamo di fronte alla logica cinicamente populista del salario basso in cambio di prestazioni altrettanto basse.

Retribuzione e rapporto docente/studente

Su questo stesso tema il direttore OCSE Schleicher ha, invece, scelto di evidenziare due aspetti diversi rispetto a quelli scelti dal Ministro. Il primo riguarda la correlazione tra il numero di docenti (rispetto al numero degli studenti) e la loro retribuzione. Più precisamente Schleicher ha sottolineato come i docenti italiani guadagnano meno anche perché sono di più in relazione al numero di studenti (11 studenti per ogni docente in Italia contro i 13 della media OCSE con riferimento alla scuola secondaria di primo grado. Grafico 1). In questo modo, infatti, l’ammontare complessivo degli stipendi dei docenti italiani si distribuisce su un numero maggiore di persone rispetto a quanto avviene in altri paesi. Dunque in Italia per far funzionare il sistema scolastico occorrono circa il 12% di docenti in più rispetto agli altri Paesi. Provo a quantificare molto grossolanamente l’osservazione di Schleicher. Se consideriamo lo stipendio di un docente di 1.500 euro netti al mese, aumentando il numero di studenti per docente da 11 a 13, e mantenendo la spesa totale disponibile per la retribuzione dei docenti, si otterrebbe un aumento mensile di 250-270 euro. È precisamente a questo effetto che Schleicher si riferisce quando parla di “prezzo da pagare” per mantenere un sistema con un elevato numero di docenti in rapporto agli studenti.

[Grafico 1 – Fonte: Rapporto OCSE Education at a Glance 2024]

Attenzione però a non confondere il numero di studenti per docente con il numero di studenti per classe. L’indicatore OCSE infatti si limita a dividere il totale degli studenti italiani per il numero di posti di insegnamento in organico senza alcun riguardo per l’organizzazione in gruppi classe più o meno numerosi.

Dinamica salariale

Il secondo aspetto evidenziato da Schleicher riguarda la dinamica salariale dei docenti italiani.  Nel commentare il Grafico 2, riportato sotto, Schleicher fa presente che la retribuzione dei docenti italiani non è molto diversa da quella dei docenti di altri Paesi a patto di considerare lo stipendio di ingresso (indicato dai pallini blu nel grafico). Quello che davvero distingue l’Italia da molti altri Paesi è il fatto che questo stipendio iniziale resta praticamente uguale lungo tutto l’arco della carriera del docente. Schleicher parla di quasi totale assenza di progressione della carriera e si sofferma sul confronto clamoroso tra Italia e Corea del Sud. In Corea, come in Italia, gli insegnanti ricevono uno stipendio iniziale inferiore a quello di altri lavoratori con livello di istruzione simile ma arrivano a percepire uno stipendio massimo che è il doppio di quello dei lavoratori laureati.

[Grafico 2 – Fonte: Rapporto OCSE Education at a Glance 2024]

La descrizione del Ministro è dunque fondamentalmente quantitativa: i docenti guadagnano poco e quindi bisogna fare uno sforzo per aumentare il loro stipendio. Al contrario la descrizione di Schleicher è di tipo qualitativo: i docenti italiani guadagnano poco perché il sistema scolastico italiano ha una bassa produttività (raggiunge risultati simili con un maggior numero di docenti) e anche perché la carriera dei docenti è praticamente piatta (“career in Italy is very flat”).

È evidente che le due prospettive non si escludono una con l’altra e, anzi, c’è da pensare che il Ministro abbia voluto basare le sue osservazioni sul proposito di aumentare in modo indifferenziato gli stipendi proprio perché attualmente la retribuzione è pericolosamente “sotto soglia”; cioè così bassa che sempre meno persone vogliono dedicarsi all’insegnamento e, in prospettiva, potrebbero determinarsi gravi carenze di organico, proprio come avviene già oggi nel nostro sistema sanitario.

Ma siamo sicuri che destinare più di 3 miliardi di euro ad un aumento tabellare a pioggia che, se tutto andrà bene, potrebbe arrivare al 6% di aumento, cioè a poche decine di euro in più al mese, sia sufficiente a rendere più appetibile la professione docente? Se la risposta a questa domanda è negativa allora è urgente ritornare al problema dei problemi, alla questione che per decenni ha impedito qualsiasi tentativo di differenziare la retribuzione dei docenti. E qui torniamo alla battuta della docente che riportavo in premessa. È una questione spinosissima che richiede un’analisi socio-culturale della categoria degli insegnanti italiani.

La trappola del pauperismo solidale

Per rendersi conto di quanto sia radicata e persistente l’avversione alla differenziazione retributiva dei docenti basta mettere in fila tre diversi fatti storici, molto diversi uno dall’altro, ma accomunati proprio da questa avversione:

  • la caduta del Ministro Berlinguer nei primi mesi del 2000 che aveva proposto un riconoscimento economico selettivo ai docenti ritenuti particolarmente meritevoli da una commissione appositamente istituita;
  • il clamoroso sostanziale fallimento del progetto “Valorizza” lanciato durante l’anno scolastico 2010-2011 dalla ministra Gelmini e contro il quale si espressero decine e decine di collegi docenti;
  • la già ricordata valutazione dei docenti (con bonus premiale) varata nel 2015-2016 con i commi 126-130 dalla legge 107/2015.

È vero che tutti e tre questi tentativi sono stati bloccati dalla forte contrarietà dei sindacati della scuola ma credo che sarebbe un errore di sopravvalutazione della forza persuasiva dei sindacati, pensare che i sindacati abbiano vinto queste battaglie semplicemente perché sono forti e hanno legami stretti con larga parte della dirigenza politica italiana.

In realtà la differenziazione economica dei docenti si è scontrata con un sentimento ideologico genuino degli insegnanti. Molti di loro hanno scelto l’insegnamento anche per sfuggire alle logiche della competizione aziendale e ad una idea distorta ed esasperata del merito individuale che cozza violentemente con la visione cooperativa e solidale tipica del lavoro educativo. Credo sia giunto il momento di riconoscere che se la stragrande maggioranza dei docenti vede con diffidenza qualsiasi proposta di premialità individuale è in parte anche perché la cultura valutativa italiana è estremamente antiquata. Mentre in campo accademico internazionale si parla di performance collettiva, di apprendimento organizzativo e di performance management, cioè di valutazione non orientata ad un giudizio e a un premio ma al miglioramento della professionalità, in Italia il peso della tradizione valutativa vista come sanzione inappellabile è ancora molto forte. D’altra parte sono gli stessi docenti, ahimè, soprattutto quelli delle scuole secondarie, che praticano una valutazione scolastica di tipo sanzionatorio (o premiante, è lo stesso) e, per quanto ne avvertano tutti i limiti, hanno difficoltà a liberarsene.

Questa distorsione dell’idea di valutazione spinge spesso le persone a rifiutare in blocco qualsiasi idea di valutazione professionale, anche perché nessuno ha loro prospettato altri modelli di valutazione, basati sullo sviluppo della professionalità. E così se, in cuor suo, ogni insegnante avverte il carico di umiliazione (o esaltazione) legato all’uso del voto numerico, non è certo nelle condizioni ideali per guardare con fiducia alla valutazione del proprio modo di lavorare.

Essere solidali significa essere tutti uguali?

Occorre dunque rinunciare per sempre ad una retribuzione differenziata costruita in modo ragionevole e condiviso? Non avendo al momento una visione particolarmente ottimista delle possibilità di riforma dell’organizzazione del lavoro docente sarei tentato di dire che, effettivamente, è meglio lasciar perdere, consapevole che ben difficilmente una proposta in tal senso potrebbe avere una sorte migliore di quelle passate. Ma c’è un problema: i docenti sanno benissimo che così non può funzionare. Sanno bene che l’intera questione del recupero della considerazione sociale degli insegnanti non può essere affrontata senza un qualche tipo di modello della “qualità professionale” del docente. Perché i docenti sono a loro volta genitori e sanno bene che i docenti non sono tutti uguali. Perché i docenti sono a loro volta persone normali che vivono nel mondo e sanno bene che differenza ci sia tra un professionista competente e uno che non lo è, vuoi per inesperienza, vuoi per disimpegno o altro.

Se le cose stanno così la strada da percorrere non sarà breve. Bisognerà rendersi conto che il “pauperismo solidale” portato avanti finora è in realtà una trappola. Perché spinge a pensare che per essere solidali bisogna negare ogni differenza professionale. Non è così. Se io ho un collega di italiano che si è guadagnato sul campo una speciale competenza non solo a gestire bene le sue classi ma anche a realizzare progetti di didattica dell’italiano a beneficio dei suoi studenti e dei colleghi; se io ho una collega che da anni si occupa brillantemente di fare il tutor dei docenti di nuova nomina; se ho un assistente di laboratorio che, grazie alla sua competenza e alla sua passione, sistema le attrezzature di tutta la scuola… ebbene vuol dire che questi colleghi hanno raggiunto quella che potremmo definire seniority o seniorità nella propria professione. E credo che potrei accettare serenamente se, attraverso un procedimento trasparente, ognuno di questi colleghi acquisisse la qualifica, mettiamo, di “docente senior” e guadagnasse un po’ più di me.

Qualcuno dice: ma perfino i medici ospedalieri hanno tutti lo stesso stipendio. Non è vero: i medici possono diventare primari e lo stesso vale per i docenti universitari: hanno tutti pari dignità ma alcuni diventano ordinari e altri no. Quello che voglio dire è che anche nelle professioni nelle quali è fondamentale la capacità di cooperare e l’assenza di gerarchie rigide, dovremmo essere in grado di far emergere profili di seniorità che siano in grado di valorizzare gli operatori con competenze particolarmente solide ed evidenti.

Concludo. Se il Ministro Valditara sarà in grado di riportare lo stipendio base dei docenti ad un livello accettabile ne saremo tutti contenti, ma il richiamo di Schleicher alla qualità del sistema retributivo degli insegnanti è altrettanto urgente per impedire il decadimento del nostro sistema scolastico.


[1] Si può scaricare il rapporto completo qui

[2] La Nota Paese per l’Italia è disponibile in italiano qui.

[3] In effetti il primo contratto nazionale dopo il blocco dei rinnovi contrattuali risulta firmato il 6 settembre 2018 [Fonte: Aran].