L’attuale vicenda che ha visto bloccata, almeno fino al mese di ottobre, l’assunzione di 519 dirigenti scolastici (quelli che hanno superato la procedura riservata) e il rallentamento dello stesso concorso ordinario ripropongono alcuni problemi mai risolti: le reggenze, la diversa distribuzione di tali figure nel Paese, lo stesso profilo professionale della dirigenza.
Se sul piano teorico si è propensi a condividere le indicazioni delle più accreditate scuole di pensiero, sul piano fattuale continua a prevalere, non sempre per scelte personali, un modello di dirigenza radicato nella cultura dell’adempimento. Noi siamo fermamente convinti che le azioni e le responsabilità del dirigente scolastico, seppure non incidano direttamente sui processi di apprendimento degli studenti, abbiano una importanza fondamentale per la qualità della scuola e che le reggenze e i ritardi nelle assunzioni costituiscano un grave danno per gli esiti formativi dei nostri studenti.
La responsabilità di prendere decisioni
In una situazione scolastica in continua emergenza, i dirigenti, sollecitati dai contesti sociali e istituzionali a dare risposte immediate, molto spesso si sentono costretti, proprio dall’urgenza, a prendere decisioni in maniera monocratica.
Prendere decisioni è una responsabilità che attiene a qualsiasi persona messa a capo di una organizzazione. Ma la scuola è una organizzazione particolare in cui non possono essere applicate le stesse regole. Chi la dirige ha sicuramente l’obiettivo di arrivare ad una sintesi, ma nel rispetto della collegialità e dei valori della comunità scolastica. Per fare scelte in tal senso, e portare sempre a buon fine i processi, bisogna avere una grande autorevolezza e una riconosciuta credibilità.
La buona conduzione
Ciò che si chiede al dirigente è, quindi, la capacità di coinvolgere e convincere le persone a credere nel progetto di scuola che si vuole realizzare affinché diano il massimo per attuarlo. Ma questo è possibile se le persone che fanno parte di una organizzazione sono messe nelle condizioni di condividere non solo gli obiettivi, ma anche i processi. È questo che distingue un buon leader da un semplice capo ufficio. La leadership è infatti definita come la capacità di una persona di guidare un gruppo di cui è responsabile, guadagnandosi la sua fiducia e raggiungendo gli obiettivi prefissati[1].
Un dirigente scolastico deve possedere, quindi, le qualità necessarie per garantire una buona conduzione, sia quando si ha bisogno di governare gruppi di lavoro, sia quando ci si rapporta alle singole persone. Le stesse norme di riferimento parlano di compiti di direzione, di gestione, di organizzazione e coordinamento di responsabilità nella gestione delle risorse finanziarie, strumentali, di responsabilità dei risultati del servizio, nonché di valorizzazione delle risorse umane (D.lgs. 165/2001, art. 25 e Legge 107/2015, art. 1, comma 88).
È pur vero che i gruppi possono governarsi anche in maniera autonoma, ma, in genere, l’autogoverno può funzionare solo in presenza di finalità specifiche e limitate nel tempo. Se gli obiettivi sono molto complessi e distribuiti su un asse temporale lungo, per ottenere risultati, come pure per superare difficoltà e conflitti, i gruppi hanno bisogno di un coordinatore che abbia capacità di leadership.
Quante sono le definizioni di leadership
Nell’Oxford Dictionary la leadership è definita “the action of leading a group of people”, dove “to lead” significa condurre (dalla terminologia latina di cum-ducere), cioè portare con sé. Da qui emerge subito un primo concetto che implica la relazione con altri e le influenze di un soggetto sugli altri. Paul Hersey e Kenneth Blanchard, gli studiosi che hanno teorizzato per primi nel 1969 “il ciclo di vita della leadership”, ridenominato poi “Leadership situazionale”, hanno definito la leadership “come il processo volto ad influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi comuni in una determinata situazione”.
Ma quante definizioni di leadership esistono? Forse infinite, se già oltre trent’anni fa, nel 1993, in occasione di un convegno proprio sulla leadership, Joseph C. Rost (1931)[2] ne ha elencate 221 individuate in 587 pubblicazioni da lui esaminate. Ancor prima, nel 1974, Ralph Stogdill (1904-1978), pioniere degli studi sulla leadership, aveva affermato che esistono tante definizioni di leadership quante sono le persone che si sono occupate della materia e hanno tentato di definire il concetto. Gli studi sulla leadership, dunque, anche se con tutta probabilità sono i più copiosi nell’area del comportamento organizzativo, non hanno prodotto definizioni riconosciute ufficialmente, e neanche un catalogo circoscritto di descrizioni a carattere settoriale.
Leadership e potere: classificazioni
È abbastanza diffuso, comunque, il collegamento tra leadership e potere, inteso non necessariamente nel senso di coercizione (termine a cui comunemente il potere viene associato) ma, come abbiamo già detto, come capacità di influenzare un individuo o un gruppo attraverso il proprio potenziale. In altre parole, è la capacità di un attore sociale di determinare la condotta di un altro attore, in tal senso il potere assume la forma di causazione sociale[3]. Va, tuttavia, ricordato che secondo la teoria organizzativa le fonti del potere sono diverse. Alcuni autori hanno prodotto alcune classificazioni, come la seguente[4].
Coercitivo. È costruito sul timore: la mancata ottemperanza alle disposizioni del leader può comportare conseguenze sgradevoli. L’uso eccessivo di tale potere crea un clima lavorativo poco gradevole con la conseguenza che, in assenza del leader, le persone tenderanno a rilassarsi.
Legittimo. È basato sulla posizione formale che il leader ha all’interno dell’organizzazione: è la cosiddetta “autorità”. I subordinati riconoscono al leader il potere da cui deriva obbedienza e rispetto. Perché ci siano buoni risultati è necessario, però, che il leader dia prova di avere competenze reali, non basta la legittimazione formale.
Specialistico. Si fonda sul possesso da parte del leader di esperienza, di conoscenze e di competenze. Sono capacità che lo fanno ritenere in grado di agevolare le attività degli altri.
Premiante. È quella leadership che fonda il proprio potere prevalentemente nella capacità di offrire ricompense di varia natura, promozioni, gratificazioni, aumenti stipendiali.
Esemplare. È un potere che fa capo alla personalità del leader. È il carisma che riesce a trascinare ed influenzare. L’osservazione del comportamento del leader influenza il comportamento dei follower.
Informativo. La solidità della leadership trae consistenza dal possesso di informazioni considerate preziose e ottenibili solo dal leader.
Connettivo. Risiede nei contatti che il leader ha sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione.
La parola “potere” ha, quindi, accezioni assai diverse. In sintesi: ha potere quel soggetto che riesce a determinare un comportamento su un altro soggetto. Il potere, comunque, non è mai assoluto perché un leader può chiedere ed ottenere risposte in relazione alla propria sfera di azione e non oltre. La “sfera di potere” costituisce, infatti, il confine entro cui è possibile esercitare l’azione.
Quali sono le funzioni del leader
In qualsiasi organizzazione la leadership implica diverse funzioni che secondo Wagner e Hollenbeck[5] possono essere così riassunte:
- generare e mantenere il livello di impegno e di tensione richiesto ai singoli individui che compongono un gruppo;
- direzionare lo sforzo del gruppo lungo prospettive che promuovono la sopravvivenza del gruppo e il raggiungimento degli obiettivi;
- gestire i compiti del gruppo e le dinamiche relazionali;
- facilitare e mantenere l’appartenenza al gruppo, tenendo uniti gli individui, centrandoli sul compito e sugli obiettivi e soddisfacendo i bisogni dei membri del gruppo.
Il leader è quindi un promotore, un attivatore, un gestore orientato al compito e agli obiettivi, ma è anche un portatore di valori, un punto di riferimento per le tensioni emotive e per i conflitti che inevitabilmente accompagnano qualsiasi attività organizzativa. Il leader è chiamato spesso a semplificare, a rendere leggibili i processi complessi, ad esplicitare le analisi e ad indirizzare verso sintesi che permettono di raggiungere più facilmente gli obiettivi.
È un ruolo professionale cruciale da cui dipendono le sorti di più soggetti e la stessa evoluzione della convivenza interumana. Ma le variabili per il successo di un percorso non risiedono solo nelle capacità, nei comportamenti e negli stili del leader, molto deriva anche dalle caratteristiche del gruppo e in particolare dalla situazione, dal contesto, dalla natura del compito, non meno dalle risorse disponibili.
Leader e società
Il concetto di leadership ha avuto, a partire dalle origini, una sua evoluzione strettamente collegata con l’evoluzione della società. A titolo esemplificativo e molto approssimativo, possiamo rappresentare un secolo di storia attraverso uno schema, che va letto, però, solo a titolo orientativo.
Evoluzione del concetto di leadership: uno schema a grandi linee
Decennio | Caratteristiche |
---|---|
1920 | Il ruolo principale del leader è quello di esigere obbedienza, rispetto e lealtà nei subordinati. |
1930 | La leadership è intesa come processo per organizzare le persone verso un obiettivo comune. |
1940 | La leadership è vista come l’abilità di persuadere, al di là di quanto permesso dal potere e dal ruolo. |
1950 | Il leader inizia a prestare attenzione al ruolo del gruppo in quanto si rende conto che è proprio il gruppo a conferirgli autorità. |
1960 | La leadership diventa la capacità di influenzare il gruppo verso una meta condivisa. |
1970 | Il leader incomincia a capire che l’influenza non è sempre esercitata alla stessa maniera su ogni persona. |
1980 | La leadership diventa la capacità di ispirare gli altri per portarli ad agire. |
1990 | L’enfasi cade sull’interazione tra il leader e i collaboratori che vogliono cambiare qualcosa perché ci sono interessi comuni. |
Dal 2000 in poi | Si approfondisce la leadership che si esercita nelle scuole e nelle comunità. Assumono rilevanza le teorie di leadership comunitaria, si parla di leadership distribuita, di leadership culturale e morale, di leadership educativa e per l’apprendimento. |
In tale iter storico, l’attenzione è transitata dalle qualità del leader, più o meno innate, alla sua capacità di costruire processi, all’attenzione ai contesti e soprattutto alle esigenze e competenze delle persone che fanno parte dell’organizzazione. Si è passati, quindi, da una visione ‘leader-centrica’ ad una visione basata sull’interazione leader-gruppo.
Ma in questi lunghi decenni sono emerse alcune importanti considerazioni, tra cui:
- la leadership non è più un’esclusività della persona che comanda;
- la leadership deve facilitare le migliori prestazioni di tutti;
- la leadership e il management non sono la stessa cosa;
- la leadership ha anche un aspetto empatico e umanistico;
- i leader devono integrare diverse qualità, competenze e conoscenze;
- un buon leader deve saper anticipare il futuro e implementare il cambiamento[6].
Un libro per chi vuole approfondire
La seconda parte del libro “Pensiero organizzativo e modelli di leadership”[7] è dedicata ad una ricognizione dei modelli di leadership: dalle teorie universalistiche e carismatiche alle teorie comportamentali, dagli approcci situazionali alle teorie dello scambio e alla leadership trasformazionale. Una particolare attenzione è dedicata alla leadership educativa (leadership emotiva, leadership comunitaria, leadership per l’apprendimento e leadership distribuita).
È una ricognizione che riteniamo particolarmente utile non solo per i dirigenti scolastici, ma anche per coloro che ricoprono nella scuola particolari posizioni organizzative (middle management, figure di sistema, referenti e responsabili).
[1] È una definizione generica rinvenibile in molte trattazioni sulla materia.
[2] Si ricorda Rost Joseph C. (1991), Leadership for the Twenty-First Century, Praeger Pub Text.
[3] In sociologia il termine causazione sta ad indicare il processo per il quale un cambiamento da un ipotetico stato iniziale di equilibrio provoca cambiamenti complementari, i quali spingono il sistema nella stessa direzione del cambiamento primario (Treccani.it).
[4] Vedi Decastri M., Lilov Z.A. (2011), Leadership. Dalla letteratura alla teoria manageriale, Guerini e associati, Milano, pp. 142.
[5] Wagner J.A., Hollenbeck J.R. (1992), Management of Organizational Behavior, Prentice-Hall, Englewood Cliffs (NJ), in Decastri M., Lilov Z.A., cit. p. 483.
[6] Cfr. anche “Cos’è la leadership? Storia, teorie e modelli” in: studiosanavio.net.
[7] Spinosi N. (2024), Pensiero organizzativo e modelli di leadership, Tecnodid, Napoli.