Settembre è il mese della ripresa delle scuole e come sempre è anche un tempo per le riflessioni, per riformulare buoni propositi, per riprogettare attività di vario genere, a livello personale, professionale, istituzionale. Anche il Ministero dell’istruzione e del merito, gli Uffici scolastici regionali, gli ambiti territoriali e le istituzioni scolastiche si preparano al nuovo anno.
Ogni volta che la scuola riparte, dirigenti, docenti e tutti coloro che direttamente o indirettamente sono coinvolti nei processi educativi, si interrogano sui propri compiti e sulle proprie responsabilità, riprendendo quel fil rouge momentaneamente accantonato nel periodo delle vacanze estive.
I fatti di cronaca
In questa fase di riavvio delle attività, non possono passare inosservati i fatti di cronaca, che coinvolgono con regolare persistenza giovani in età scolare, protagonisti di fatti efferati, di violenze nei confronti di genitori e fratelli (fino alle estreme conseguenze), di liti tra pari con uso di armi micidiali, di rese dei conti, di violenti riti di iniziazione, di baby gang contro coetanei e coetanee…
Siamo in una fase difficile della nostra società, siamo nel mezzo di guerre tra popoli: Russia-Ucraina, Israeliani-Palestinesi, giusto per citare quelle a noi più vicine.
Sono oramai da molti anni che, da più parti, si denunciano tali situazioni, ma non si avverte alcuna soluzione; il rischio che stiamo correndo è quello di abituarci a percepire la violenza come condizione di vita naturale, come la via ordinaria per risolvere non solo i conflitti profondi, ma anche le semplici situazioni critiche che hanno sempre caratterizzato la vita di tutti i giorni.
Questo scenario porta la scuola a riflettere se ci sono collegamenti tra ciò che si insegna dentro le aule e ciò che accade fuori. Il timore è quello di con riuscire a frenare questi comportamenti, a non influire sulle profonde criticità di molti studenti, a non essere capaci di prevedere e riorientare nei giusti binari.
Se alle istituzioni scolastiche non può essere addebitata alcuna responsabilità, se non quella si svolgere il proprio mandato con competenza e attenzione educativa, allora perché non si riesce ad essere più incisivi? Qual è il vero “core curriculum” della scuola, quali sono i paradigmi di riferimento?
I paradigmi educativi
Siamo consapevoli che i paradigmi educativi non si fermano in classe e nei “recinti scolastici”, ma seguono gli studenti a casa, dove, in genere, praticano ciò che hanno imparato a scuola. I modelli scolastici, influiscono sulle loro azioni: gli alunni vanno a scuola per ascoltare, per vedere e per provare ad imitare. Ciò che accade a scuola diventa la lente attraverso cui gli studenti vedono e percepiscono il loro ambiente. Contestualmente, è il comportamento degli studenti, a partire dalla più tenera età, che aiuta l’adulto (educatore, docente) a riorientare le proprie condotte educative proprio per esercitare una influenza più efficace su di loro. Ma se la società è intrisa di violenza, a cominciare dal linguaggio della politica, della musica trap, dei videogiochi, come fa la scuola da sola, a porvi rimedio? Sicuramente non bastano le lezioni di educazione civica, anche se rinnovate attraverso nuove Linee guida.
La scuola fa la sua parte attraverso il processo di insegnamento-apprendimento calibrato sulla cultura, sulla didattica e sulla relazione. Tali ambiti si possono leggere anche come elementi di un paradigma che soggiace alla professionalità docente e dirigente. Sono indicatori indiretti del buon funzionamento della scuola e sono la garanzia per i soggetti piùfragili. Certamente attraverso tali paradigmila scuola può creare un ambiente aperto e inclusivo dove gli studenti possono trarre stimoli dal contatto con gli altri e possono trovare le loro coordinate per crescere e orientarsi. Resta il fatto che la scuola non può risolvere i problemi da sola ma ha bisogno che tutta la società, nelle diverse sue articolazioni, si assuma la propria responsabilità.
La cultura
Con il termine cultura si vuole intendere il bagaglio di conoscenze teoriche e sperimentate che chi insegna deve possedere.
L’insegnante è un professionista che deve mantenere un rapporto vivo e dinamico con tutte le dimensioni culturali (umanistiche, scientifiche, tecnologiche, artistiche). Deve aggiornare le sue conoscenze partecipando agli eventi culturali anche per testimoniare alle nuove generazioni il valore della conoscenza, il piacere del dubbio, il rigore dello studio e della interpretazione critica delle informazioni
Un insegnante è colto se è riconosciuto come persona ricca di umanità, se sa padroneggiare in maniera appropriata la lingua italiana nelle forme orali e scritte, se sa esprimersi correntemente in almeno una lingua comunitaria, se conosce l’evoluzione e le potenzialità delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Rispetto alle discipline di insegnamento, deve essere in grado di cogliere gli elementi essenziali, la loro evoluzione storica, le connessioni interdisciplinari, le chiavi interpretative. Deve anche saper padroneggiare i repertori, le riviste scientifiche, le risorse digitali per utilizzarle nella organizzazione del proprio insegnamento[1].
La didattica
La didattica rappresenta il saper insegnare, il saper progettare, il saper valutare, il sapersi relazionare con bambini, alunni e studenti. È una competenza che si costruisce con l’esperienza di insegnamento, soprattutto attraverso il contatto con le sezioni della scuola dell’infanzia, con le classi difficili, con i soggetti fragili e in difficoltà.
L’insegnante, per poter incidere in maniera significativa, deve essere in grado di pianificare e svolgere un insegnamento in modo strutturato, coerente con gli obiettivi e i contenuti dell’insegnamento di sua competenza. Deve saper applicare le conoscenze disciplinari, stabilendo vincoli con altre discipline, come pure proporre, svolgere e gestire le attività. Deve sapere utilizzare mediatori didattici per strutturare i contenuti e favorire il coinvolgimento degli studenti. Deve saper riconoscere i diversi bisogni degli studenti e adattare l’insegnamento e le attività in base alle loro differenze motivazionali, cognitive e metacognitive. Conseguentemente la formazione deve essere bene strutturata, continua e di tipo riflessivo.
Potremmo dire che maturare competenze didattiche per saperle gestire nelle attività educative e di insegnamento qualifica il docente come persona in grado di compiere le azioni giuste per avvicinare tutti i soggetti alla conoscenza e ai saperi utili per ogni progetto di vita personale e professionale.
Le stesse competenze dirigenziali non possono prescindere da tali saperi dovendo accompagnare i docenti nelle loro scelte progettuali, operative e valutative.
La relazione
Sapersi relazionare in modo positivo, incoraggiante e aperto al dialogo è una vera arte che necessita sia di una predisposizione al rapporto con bambini e ragazzi, sia anche di tecniche e di capacità riflessiva. Occorre un atteggiamento motivante, di ascolto attivo e ricerca continua delle modalità più idonee volte a fare emergere ciò che serve per facilitare l’apprendimento e la crescita.
Per gestire gruppi, sezioni numerose o classi difficili occorrono competenze di alto profilo. Sono tante e complesse le dinamiche che si manifestano normalmente nella vita delle classi tra gli studenti: competizione, rivalità, emozioni, affettività, complicità…
È proprio in questo ambito che si possono fornire gli ‘anticorpi’ necessari per evitare che alcuni problemi impediscano la costruzione di un clima favorevole e limitino il dialogo. È importante fare emergere attraverso una buona relazione le proprie debolezze e fragilità: il modo più efficace per acquisire coscienza e consapevolezza e per superarle. Attraverso il dialogo, in un contesto inclusivo ed affettivo, è anche possibile garantire la vicinanza psicologica dell’insegnante, come pure far crescere negli allievi un senso di fiducia e protezione, soprattutto quando ci si sente vittime di ingiustizie, soprusi, o derisioni.
L’attenzione alle relazioni costituisce una componente essenziale anche del profilo professionale del dirigente scolastico. Laddove c’è un clima tranquillo, orientato al compito e al rispetto di tutti, risulta più agevole veicolare messaggi costruttivi ai docenti, al personale ATA e ai genitori, costruire contestualmente un dialogo autentico per il benessere di ognuno e per ottimizzare i processi di insegnamento e apprendimento.
La leva della formazione
Solo la formazione continua può alimentare professionalità ad alto profilo a livello culturale, didattico e relazionale. Oggi sappiamo che i processi formativi per essere efficaci devono essere molto articolati: percorsi di ricerca-azione, seminari immersivi, studio individuale e in gruppo, laboratori di esperienze, world cafè, webinar interattivi, ecc.
Resta tuttavia un problema la questione dell’obbligatorietà: se da un lato è indiscutibile che senza questa leva le professionalità, anche migliori, finiscono per affievolirsi, dall’altro il vincolo dell’obbligatorietà non sempre è sinonimo di risultati efficaci. Nei rinnovi contrattuali questo aspetto dovrebbe trovare ampia discussione e una soluzione sostenibile.
[1] Vedi “sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio” Documenti di lavoro.