Demotivazione e abbandono scolastico

La grande sfida della scuola e della comunità

L’obiettivo a cui ogni scuola tende è sicuramente il successo formativo di tutti gli studenti, tuttavia non sempre e non tutti riescono a raggiungerlo. Ce lo testimoniano le rilevazioni internazionali OCSE e IEA quando evidenziano le cifre impietose di molti Paesi, nonostante i cospicui investimenti e nonostante lo sforzo di tanti bravi insegnanti e dirigenti e delle diverse compagini impegnate nel lavoro organizzativo e amministrativo.

Una delle cause principali è sicuramente ascrivibile alla demotivazione che spesso contribuisce ad aumentare la percentuale dei NEET (Not in Education, Employment, or Training).

Parliamo di un acronimo che si riferisce alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni non occupata e né inserita in un percorso di istruzione o di formazione. Ridurre la percentuale dei NEET costituisce una sfida significativa per la scuola.  Avere una percentuale alta di NEET per qualsiasi Paese significa una grande perdita di capitale umano e costi sociali elevati, proprio per la loro esclusione dal mercato del lavoro e dai percorsi formativi.

Un problema che investe tutti i paesi

Questo fenomeno complesso influisce negativamente non solo sulla società, ma anche sul benessere psicologico dei giovani, spesso demotivati, apatici e senza prospettive future.

Non è facile esaminare le cause della demotivazione seppure tale analisi sia di grande importanza per trovare le strategie di contrasto e le possibili soluzioni. A livello europeo ci sono Paesi che riescono a mantenere tassi di abbandono scolastico relativamente bassi, mentre altri lottano costantemente per bloccare la dispersione e non sempre con esiti positivi.

Secondo i dati Eurostat, il tasso di abbandono scolastico nell’UE è stato del 9.5% nel 2023, con notevoli variazioni tra i Paesi membri. I tassi più bassi sono stati registrati in Croazia (2%), Grecia, Polonia e Irlanda, mentre i tassi più alti si sono osservati in Romania (16.6%) e Spagna (14%). Gli studenti hanno una probabilità maggiore di abbandonare precocemente gli studi rispetto alle studentesse, con una differenza media di 3.6 punti percentuali nell’UE. Paesi come Italia, Germania e Spagna mostrano le differenze più marcate tra i sessi. Il fenomeno della dispersione scolastica è legato anche alla situazione lavorativa dei giovani: nel 2023, il 47.4% degli early leavers (giovani che abbandonano prematuramente) era occupato, mentre il 30.5% non era impiegato ma cercava lavoro e il 22.1% non lavorava né cercava occupazione. Inoltre, l’analisi della dispersione per grado di urbanizzazione rivela che le città presentano tassi di abbandono inferiori rispetto alle aree rurali e ai sobborghi.

Le neuroscienze ci aiutano a capire

Le neuroscienze possono aiutare a comprendere il fenomeno, perché mostrano come il cervello reagisce ai vari stimoli e ai vari contesti educativi.

La dopamina, per esempio, che viene definita come un neurotrasmettitore del piacere, sembrerebbe giocare un ruolo cruciale nella motivazione: è la sostanza, infatti, che regala quella sensazione di benessere e che viene rilasciata come una sorta di ricompensa. Quando gli studenti non trovano gratificazione o riconoscimento, la loro motivazione può diminuire, con ricadute dannose sull’apprendimento. Quando gli studenti riescono a raggiungere gli obiettivi, i livelli di dopamina aumentano e conseguentemente anche la motivazione.

L’amigdala, che è un complesso nucleare situato nella parte dorsomediale del lobo temporale del cervello, si associa alle emozioni, è coinvolta nello stress e nell’ansia; attribuisce cioè significato emotivo a informazioni provenienti da stimoli esterni, come pensieri e ricordi. Situazioni di stress cronico o ansia non gestita possono interferire con le funzioni cognitive superiori, come l’attenzione e la memoria, riducendo conseguentemente sia la capacità di apprendere sia la motivazione.

Il cervello umano è altamente plastico, soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza. Ambienti stimolanti e positivi possono promuovere la crescita neurale e migliorare la motivazione e l’apprendimento. Al contrario, ambienti negativi possono limitare la plasticità e compromettere lo sviluppo cognitivo. La corteccia prefrontale è responsabile delle funzioni esecutive, come la pianificazione, l’organizzazione e il controllo degli impulsi. Difficoltà in queste aree possono provocare atteggiamenti passivi e compromettere la stessa capacità di eseguire i compiti scolastici.

Dispersione Scolastica, tra abbandoni e resistenza passiva

La demotivazione sembra essere la cifra distintiva dei NEET. Anche se le neuroscienze ci aiutano a capire alcune cause di origine cognitiva, bisognerebbe tuttavia indagare più in profondità per cercare di arginare il fenomeno con maggiore efficacia e celerità. Sicuramento non guastano i supporti psicologici che a scuola generalmente si mettono in atto come gli sportelli, le azioni di mentoring e programmi di orientamento, ma per reintegrare questi giovani nel sistema educativo o nel mercato del lavoro, forse, occorrono interventi di politiche sociali più articolate e con maggiori investimenti.

Come è noto, quando parliamo di dispersione ci riferiamo a quella esplicita, ma ancor più a quella implicita. La prima riguarda l’abbandono vero e proprio del percorso scolastico, cioè agli studenti, che smettono di frequentare la scuola prima di completare il ciclo di studi. Essendo una forma di dispersione visibile e facilmente quantificabile, permette di intervenire direttamente sugli studenti coinvolti. La dispersione implicita, invece, riguarda gli studenti che, pur frequentando la scuola e pur conseguendo un diploma, non raggiungono le competenze minime richieste e, pertanto, risultano comunque inadatti sia al mondo del lavoro sia al proseguimento di studi superiori, rimanendo di fatto esclusi dalla società. È una forma di dispersione più subdola e più difficile da individuare.

Purtroppo gli studenti che affrontano le attività scolastiche dedicandovi il minimo sforzo necessario, tendono ad aumentare.  Sono studenti che partecipano alle lezioni senza interesse, che svolgono i compiti al minimo delle proprie capacità, che non intervengono mai e non rispondono ad alcun tipo di sollecitazione, che si sottraggono quando devono lavorare nei gruppi di studio, che evitano le attività extracurriculari.

Soldiering, quando il problema sta dentro le scuole

Questa forma di resistenza passiva, viene chiamata con il termine soldiering: è una parolainglese che letteralmente significa “saldatura”, ma che veniva usato nel gergo operaio americano dei primi del 900 per indicare un comportamento elusivo: “battere il passo”, “tirarla per le lunghe”, “andare a rilento” ossia quel modo di operare per cercare di dilatare il tempo di lavoro di una data mansione. Con il termine soldiering, in ambito scolastico, si indica la manifestazione della demotivazione.

Le ragioni che sottendono questo fenomeno possono essere molteplici e complesse, spesso derivano da una combinazione di fattori individuali, familiari e scolastici. Una delle cause potrebbe risiedere, infatti, anche nello stesso ambiente scolastico, quando è poco stimolante e incapace di coinvolgere gli studenti e di sollecitarli adeguatamente. Le lezioni monotone e poco interattive, la mancanza di feedback positivo, il mancato riconoscimento degli sforzi, sono situazioni che possono contribuire significativamente a consolidare il disinteresse. Ma anche un carico eccessivo di lavoro, insieme a elevate aspettative da parte di insegnanti e genitori possono portare gli studenti a sentirsi sopraffatti. Il soldiering potrebbe costituire perfino un meccanismo di difesa per ridurre il livello di stress e di ansia. Gli studenti che non sono in grado di prendere decisioni autonome sul proprio percorso di apprendimento possono sentirsi distanti da ciò che viene proposto in classe e, quindi, inadeguati ad affrontare il percorso educativo. La mancanza di coinvolgimento personale e di responsabilità può ridurre la loro motivazione intrinseca. Il sentirsi esclusi o non supportati, ma anche le relazioni difficili con insegnanti o compagni di classe possono creare un ambiente negativo che scoraggia l’impegno attivo e fa aumentare il disinteresse e la passività.

Soldiering, il potere delle scuole

Non è facile, comunque, per i docenti che hanno in classe studenti demotivati, riuscire a coinvolgerli. Affrontare il fenomeno del Soldiering richiede un approccio multifattoriale che coinvolga tutto l’ambiente scolastico e oltre. Sicuramente ci deve essere un impegno maggiore nel creare un contesto di apprendimento stimolante; vanno, per esempio, utilizzati metodi didattici interattivi e coinvolgenti; le attività di gruppo potrebbero aiutare a motivare maggiormente, ma bisogna sapere bene come organizzarle e gestirle; potrebbe altresì aiutare lo studente demotivato l’attenzione del docente a cogliere, ad incoraggiare e a premiare ogni suo minimo tentativo. Ciò che fa la differenza è la capacità di creare un ambiente di classe inclusivo dove ognuno si senta rispettato e ascoltato; è il modo migliore per aiutare gli studenti a prendere decisioni autonome, ad acquisire, quindi, le competenze che servono.

Ma anche gli insegnanti devono essere supportati attraverso assistenza e consulenza pedagogica e psicologica. Non è sempre facile adattare i metodi di insegnamento alle esigenze specifiche di ciascuno sapendo utilizzare in maniera proficua tecniche didattiche innovative e coinvolgenti.

La scuola è consapevole di quanto siano determinanti le proprie risorse per affrontare il problema, ma sa anche che sarebbero pressoché ininfluenti senza l’aiuto delle famiglie, del territorio e delle altre istituzioni.

La demotivazione può avere cause divere

Abbiamo detto che alla base della demotivazione ci possono essere ragioni di varia natura e diverse da individuo a individuo. Molto spesso influiscono anche le situazioni domestiche. Per esempio se una famiglia attraversa periodi di difficoltà economica, lo studente può sentirsi obbligato a lavorare per sostenerla, riducendo in tal modo tempo e energie da dedicare allo studio. Oppure possono essere i conflitti familiari e un ambiente domestico stressante ad ostacolare la concentrazione e la motivazione nello studio. La situazione può essere, poi esacerbata anche dalla mancanza di attenzione che si riceve a scuola.

Sono situazioni che possono causare problemi di natura relazionale, proprio per via del sentimento di solitudine e di inadeguatezza. Da qui è facile sentirsi esclusi e, nel peggiore dei casi, diventare vittime dei tanti fenomeni di bullismo. Non a caso, sono proprio queste le caratteristiche delle vittime del bullismo: insicurezza, disagio, bassa autostima, incapacità di difendersi.

Un altro fattore che può portare alla demotivazione potrebbe essere l’ansia, spesso accompagnata dalla depressione. Per gli allievi che soffrono di questi disturbi diventa impossibile qualsiasi forma di concentrazione, tanto meno partecipare attivamente alla vita scolastica e mantenere un atteggiamento positivo verso lo studio.

C’è ancora, specialmente per gli studenti delle classi superiori, una forma di demotivazione che potrebbe nascere dalla percezione di non avere prospettive per il futuro. Quando non è chiaro il percorso verso una carriera gratificante né si intravedono opportunità concrete per una buona realizzazione nel mondo del lavoro, la strada della demotivazione è quella più facile da percorrere.

In sintesi

La demotivazione degli studenti è un problema complesso che richiede un approccio integrato e multifattoriale. Le cause sono varie e spesso interconnesse, le soluzioni devono coinvolgere tutti gli attori del sistema educativo. Le neuroscienze offrono una comprensione più profonda dei meccanismi alla base della motivazione e della demotivazione, suggerendo interventi mirati per promuovere un ambiente di apprendimento positivo e stimolante. A livello europeo, il fenomeno è particolarmente preoccupante in alcuni Paesi, ma l’UE e gli Stati membri stanno cercando di implementare strategie efficaci per affrontare la questione. Solo attraverso un impegno collettivo e continuativo sarà possibile ridurre la dispersione scolastica, il numero di NEET, e garantire a tutti gli studenti un futuro migliore.

Alcune fonti