Governare la scuola con l’intelligenza artificiale

La nuova linea di confine: tra preoccupazioni e opportunità

Quale sarà la nuova linea di confine per la governance della scuola con l’intelligenza artificiale (IA)? La maggiore preoccupazione di oggi è quella che l’IA possa togliere sia ai dirigenti sia ai docenti la piena capacità di esercitare bene il potere di direzione e il potere di influenza che, secondo Kenneth Leithwood[1], costituiscono le due funzioni fondamentali della leadership.

Tali poteri, per le persone di scuola, si traducono nella capacità e nella responsabilità di condurre gli studenti verso scelte efficaci, verso il miglioramento continuo delle proprie competenze, verso il successo formativo. Paolo Crepet ci ricorda tuttavia, in maniera quasi ossessiva, che la scuola oggi non viene vissuta dagli studenti come luogo in cui si impara e ci si diverte, ma solo come contesto «che si subisce». Da qui le sue ricette, che non sempre però tengono conto della complessità con cui bisogna costantemente rapportarsi per avere qualche garanzia di successo.

Preoccupazione o fiducia?

Accanto ad una inquietudine assai diffusa che vede il futuro, nonostante i tanti progressi materiali, come un periodo oscuro, c’è anche la speranza che sia proprio l’IA lo strumento più efficace per migliorare la qualità degli apprendimenti e soprattutto per ridare alla nostra scuola la credibilità e l’attrattività che sembra aver perso.

Umberto Eco, in un saggio pubblicato sessanta anni fa (1964)[2], analizzando le risposte degli intellettuali di fronte all’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa parlava di apocalittici e di integrati. Nella prima categoria inseriva i critici aristocratici che vedevano nella cultura di massa solo aspetti negativi, nella seconda inseriva invece coloro che avevano una visione ingenuamente ottimistica.

Eco cercava di creare positività intorno al termine “cultura di massa”, spesso usato con una accezione negativa. Metteva in evidenza che non si poteva fare a meno dei media se si voleva vivere nella società contemporanea. Negli anni Sessanta si stava avviando la terza rivoluzione industriale che stava incidendo profondamente sulla cultura e sulla società. L’industria culturale – diceva Eco – di per sé non è negativa, ma lo è il consumismo, che vede il libro come oggetto di merce: quando però esso veicola dei valori diviene strumento efficace per la sua diffusione.

Siamo dell’avviso che, fatti i debiti mutamenti, lo stesso ragionamento possiamo farlo oggi per l’avvento dell’Intelligenza artificiale.

Rischi o opportunità?

C’è una ulteriore preoccupazione che impatta notevolmente sulla vita materiale di molte categorie di lavoratori: si parla di rischio di contaminazione o anche di sostituzione. Possono i docenti e i dirigenti scolastici essere contaminati dalle scelte provenienti dalla massa dei dati che solo l’IA è in grado di elaborare? Possono, addirittura, essere sostituiti da robot umanoidi di nuova generazione?

Su questo tema possono essere utili le informazioni del Forum PA (FPA), cioè della società di servizi che accompagna amministrazioni e aziende interessate ai processi di cambiamento e innovazione.

Ogni anno l’FPA realizza una ricerca. La più recente è quella presentata a Roma a Palazzo dei Congressi nel maggio scorso[3]. Alcuni dati:

  • tutto il settore pubblico è fortemente influenzato dall’adozione dell’IA, con circa il 57% dei dipendenti (1,8 milioni di lavoratori coinvolti);
  • di questi, il 12% (pari a circa 218 mila persone) rischia di essere sostituito;
  • un ulteriore 8% dei lavoratori (circa 154 mila dipendenti), tra cui molti del settore sanitario e diplomatico, si trova in una situazione incerta tra possibili sinergie e rischi di sostituzione.

La ricerca evidenzia, tuttavia, che tra i dipendenti pubblici altamente esposti l’80% potrebbe integrare l’intelligenza artificiale nel proprio lavoro, migliorando notevolmente le proprie prestazioni. Circa 1,5 milioni di lavoratori con ruoli di leadership e gestione, tra questi i dirigenti scolastici e anche i DSGA, potrebbe operare in modo complementare con le nuove tecnologie, a patto che riceva una formazione adeguata e lavori in un contesto organizzativo favorevole.

Le professioni ad alta specializzazione, secondo la ricerca dell’FPA, hanno, quindi, un forte potenziale di collaborazione e, conseguentemente, una propensione ad acquisire molti vantaggi dall’IA.

Come riqualificare i ruoli

Sono le professioni poco specializzate e routinarie le più vulnerabili a incorrere nel rischio di sostituzione. Per mitigare tale rischio la ricerca FPA suggerisce di riconsiderare i ruoli e di riqualificarli. Carlo Mochi Sismondi, presidente del Forum, dice che tutta la pubblica amministrazione deve comunque rivedere le modalità fin qui utilizzate per la formazione.

La pubblica amministrazione è chiamata ad una riforma strutturale; i processi di formazione devono essere orientati allo sviluppo di competenze come:

  • creatività
  • adattabilità
  • pensiero critico e laterale
  • soft skill.

Sono queste le competenze che possono qualificare il lavoro liberato da mansioni ripetitive e routinarie. Se un dirigente scolastico non deve utilizzare la maggior parte del suo tempo per gli adempimenti burocratici che, oltre ad essere noiosi, sono pure lunghi e faticosi, può usare il tempo “liberato”, ad esempio, per curare meglio le relazioni, per osservare le dinamiche nei contesti lavorativi, per intervenire in maniera più tempestiva nei processi in atto.

Dalla logica burocratica alla cultura del risultato

Il percorso disegnato dalla ricerca del ForumPA è molto chiaro. Attualmente, però, mancano ancora le condizioni per essere attuato. C’è alla base la questione dei “tempi”.

Il Ministero ha sempre riversato sui dirigenti ripetute sollecitazioni che non tengono quasi mai in debito conto i tempi delle scuole.

I tempi delle scuole sono quelli che derivano dalle esigenze degli studenti, delle famiglie, dei docenti e di tutto il personale. Sono tempi che intrecciano abitudini, comportamenti, impegni molto diversi tra loro. Sono tempi assai complessi che molto spesso vanno in rotta di collisione con quelli imposti dagli adempimenti istituzionali o dalle esigenze della politica. Ed è sempre molto difficile riuscire a portare tutto a sintesi.

Al dirigente si chiede di rispondere alle esigenze della società, sempre più turbolenta, con le sue fragilità e con le sue disuguaglianze che, malgrado i tanti programmi di intervento, aumentano giorno dopo giorno.

Dal presidente dell’FPA proviene un buon suggerimento a livello organizzativo, anche se di non immediata attuazione: bisogna abbandonare la logica gerarchica e burocratica e introdurre la flessibilità necessaria per gestire il cambiamento. I dirigenti sono, quindi, chiamati a separarsi dalla cultura dell’adempimento per abbracciare la cultura degli obiettivi e dei risultati.

Il dirigente scolastico sa bene, tuttavia, che la cultura dell’adempimento, ben radicata nella logica burocratica di origine weberiana, non è una scelta autonoma: è dettata dalle procedure, spesso farraginose, imposte dalla stessa logica degli obiettivi. Pensiamo al PNRR. È qui che dall’intelligenza artificiale ci aspettiamo un valido aiuto.

La difficile transizione

In questa fase di transizione, conosciamo le vecchie regole, siamo anche consapevoli che non rispondono più alle nuove esigenze, sappiamo pure che bisogna modificarle, ma sul come cambiarle ci sono ancora molti dubbi. Ogni dirigente, in base alle sue competenze, al suo carattere e soprattutto al tipo di contesto su cui è chiamato ad operare, ha elaborato un proprio modo di condurre l’istituzione scolastica e ha adottato un proprio modello di leadership. Non sempre, comunque, riesce ad essere coerente con le scelte fatte perché è costantemente messo alla prova sia dall’urgenza degli input ministeriali sia dalle richieste sociali che gli impongono decisioni immediate. La velocità con cui è chiamato ad agire non sempre gli permette di condividere le decisioni con la comunità professionale. Il rischio che corre costantemente è quello di non essere compreso o quello di creare, suo malgrado, un clima di diffidenza. 

Gli esperti di leadership hanno sempre suggerito una serie di comportamenti professionali adeguati alle diverse situazioni organizzative adottate all’interno delle istituzioni scolastiche. Viene però da chiedersi se tali indicazioni, elaborate in epoche con caratteristiche diverse da quelle attuali, siano ancora efficaci. Forse bisognerebbe trovare nuove teorie e nuovi modelli più adatti in questa fase di transizione[4].

Di fatto, il problema non è semplice e neanche di immediata soluzione. Le teorie si costruiscono a partire dai processi di astrazione e sulla base di ripetute esperienze, devono essere messe alla prova attraverso tanti controlli anche procedurali, hanno bisogno di tempi propri e di contro prove.

Dobbiamo, quindi, essere molto attenti ad abbracciare le novità del momento perché potrebbero dimostrarsi inadatte proprio a causa di un percorso di ricerca troppo accelerato.

Ritornare ad essere artigiani

La diffidenza nei confronti dell’IA nasce pure da una paura primitiva nei confronti di tutto ciò che non si conosce. In realtà le figure professionali che padroneggiano l’IA sono gli sviluppatori. È grazie alle loro competenze specifiche che sono stati costruiti gli assistenti virtuali, i computer avanzati, i robot, le automazioni industriale e tutte le specifiche applicazioni che includono i sistemi di elaborazione del linguaggio naturale, di riconoscimento vocale e di visione artificiale.

Sono competenze molto raffinate e ignote alla maggior parte dei lavoratori. Ma oggi non c’è una sola persona che possa fare a meno dei tanti prodotti scaturiti dall’IA, anche se non tutti ne hanno piena consapevolezza.

Per superare la paura ancestrale che l’IA possa sfuggire al controllo dell’umanità è importante che ci sia un progetto diffuso di alfabetizzazione che aiuti tutti non solo a capire la grammatica, la morfologia e la sintassi dell’intelligenza artificiale, ma soprattutto a comprendere che l’intelligenza artificiale non fa scelte se non gli si chiede di farle, non ha etica se non quella decisa dagli sviluppatori, non ha padroni se non ci sono persone o poteri che se ne appropriano.  

L’intelligenza artificiale ci fornisce tanti dati, ma dobbiamo essere noi a scegliere come utilizzarli partendo dagli obiettivi che abbiamo stabilito. Se possiamo fruire di un maggior numero di informazioni abbiamo la possibilità di fare più previsioni e, conseguentemente, scelte più mirate che possono garantire un maggiore successo delle azioni professionali.

Dobbiamo essere noi a gestire la nuova linea di confine e ridiventare protagonisti e artigiani all’interno dei compiti e delle funzioni che ci sono state assegnate e di cui abbiamo piena responsabilità.


[1] Kenneth Leithwood è un ricercatore presso l’Istituto Ontario di Toronto. Noto per i suoi studi sulla leadership per l’apprendimento. Vedi: Leadership educativa e apprendimento degli studenti. Implicazioni per le politiche e per le pratiche formative, Anicia, Roma, 2022.

[2] U. Eco, Apocalittici e integrati, Prima edizione Bompiani, Milano, 1964.

[3] Forum PA 2024, Per una PA a colori, Persone e organizzazioni nella rivoluzione dell’IA, 21 – 23 Maggio 2024.

[4] Per un approfondimento sul tema, vedi: Mariella Spinosi, Pensiero organizzativo e modelli di leadership. Come condurre le organizzazioni complesse con particolare riferimento alle organizzazioni scolastiche, Edizione TECNODID, luglio 2024.