Il recupero: una annosa questione
Le difficoltà che si sono incontrate nella DAD hanno indotto il Ministero a dedicare una specifica attenzione al problema del “recupero” con alcune disposizioni specifiche, presumendo che in questa situazione il fenomeno abbia assunto una dimensione ben più ampia di quella ordinaria.
Il fatto che oggi si siano accesi i riflettori su questa attività può essere anche l’occasione per aprire una riflessione, anche se limitata in questa sede, sull’annosa questione dell’efficacia del “recupero” poiché quello ora proposto non ne è che una variante.
Può essere utile quindi esplorare le opzioni e gli adempimenti introdotti dalla normativa e quali opportunità offrono nell’ottica di fare tesoro per il futuro dell’esperienza che si sta vivendo.
Una promozione formativa
L’Ordinanza Ministeriale del 16 maggio 2020 agli art. 3 e 4 stabilisce che in entrambi i cicli scolastici gli studenti con insufficienze siano promossi nello scrutinio finale con l’impegno da parte della scuola e dello studente del recupero nell’anno scolastico successivo delle carenze e dei livelli di apprendimento previsti e non raggiunti.
In questo quadro normativo, l’insufficienza diventa di fatto l’indicatore di una difficoltà su cui costruire un progetto formativo annuale piuttosto che un vincolo ostativo per il proseguimento del percorso scolastico. E’ una promozione formativa.
Nel primo ciclo, come ben sappiamo, gli articoli 3 e 6 del Decreto Legislativo 62/2017 prevedono già di attivare “specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”, utilizzando la flessibilità dell’autonomia nel caso in cui negli scrutini le valutazioni segnalino dei “livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione” o “carenze” anche in caso di promozione alla classe successiva.
La scuola del primo ciclo dovrebbe pertanto considerare quanto ora richiesto dall’OM come prassi consolidata.
Per la secondaria di secondo grado si tratta invece di una vera e propria novità, poiché congela per l’anno scolastico in corso le disposizioni vigenti che prevedevano per gli studenti con insufficienze la sospensione del giudizio condizionando la promozione ad una formale verifica successiva nelle materie insufficienti da effettuarsi prima dell’inizio del nuovo anno scolastico per accertare il superamento delle carenze. Per preparare gli studenti alla verifica la normativa richiedeva alle scuole di mettere a disposizione degli studenti dei moduli di recupero seguiti direttamente dai propri insegnanti.
Oltre il “mordi e fuggi” c’è l’autonomia
L’Ordinanza parla chiaro. Al comma 4 dell’art. 6 è scritto: “Le attività […] integrano, ove necessario, il primo periodo didattico (trimestre o quadrimestre) e comunque proseguono, se necessarie, per l’intera durata dell’anno scolastico 2020/2021”. Il Decreto legge n.22 da cui deriva l’Ordinanza è chiaro anche nella versione modificata dal Parlamento con la Legge 41 “ Le ordinanze […]- precisa il testo all’ art.1 comma 2 – definiscono i criteri generali dell’eventuale integrazione e recupero degli apprendimenti […] quale attività didattica ordinaria. Le strategie e le modalità di attuazione delle predette attività sono definite, programmate e organizzate dagli organi collegiali delle istituzioni scolastiche.”
È il superamento, anche se temporaneo, dei tradizionali moduli “mordi e fuggi” di “repêchage” per ottenere la promozione i cui esiti troppo spesso non erano quelli sperati.
Dovendo riprogettare il recupero e in presenza di un così alto tasso di dispersione e di povertà educativa, può essere opportuno sperimentare modalità diverse di proporre questa attività. Nonostante le buone pratiche, credo che siano in molti (docenti-famiglie e anche studenti) ad essere perplessi sull’efficacia di un recupero sotto forma di corsi in “pillole” di 10/15 ore dove si mettono insieme studenti con bisogni diversi, ma tutti insufficienti nella materia, si ripropongono alcuni degli argomenti svolti nell’anno magari con le stesse modalità e lo stesso docente, qualche studente è assente o arriva in ritardo e alla fine si fa la fatidica verifica. Che siano 15 studenti o 5 per il Covid il discorso non cambia sul piano metodologico. Certamente funziona per qualche studente, ma non per coloro che ne hanno più bisogno. Tutti coloro che hanno gestito corsi di recupero sanno anche delle difficoltà organizzative di una simile impostazione quando devono predisporre gli orari e i calendari, poiché gli insufficienti veramente bisognosi di aiuto e non di un semplice ripasso hanno di solito due o tre insufficienze con due o tre corsi da fare che non possono sovrapporsi.
La breccia aperta dalla norma, anche se temporanea, dovrebbe, a mio avviso, incoraggiare le scuole ad utilizzare l’art. 6 del DPR 275/1999 per sperimentare nuove modalità strutturali e didattiche di affrontare il recupero finale ed in itinere concentrandosi più sugli aspetti pedagogici e didattici che rimarranno come patrimonio professionale che sulle regole di distanziamento e sugli algoritmi di formazione dei gruppi che comunque vanno seguiti come richiesto, ma saranno ad un certo punto eliminati.
Il Piano di Apprendimento Individualizzato
Una novità operativa è l’obbligo da parte del Consiglio di classe di redigere un vero e proprio documento formale, il “Piano di Apprendimento Individualizzato” o PAI, da allegare alla scheda di valutazione e al verbale del Consiglio, in cui sono indicati “per ciascuna disciplina, gli obiettivi di apprendimento da conseguire, […] nonché specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento.”
Il PAI si aggiunge al PDP degli studenti con BES certificati e al PDP dei non certificati nonché al PEI per gli studenti disabili (Legge 104/1992). Affinché non diventi l’ennesimo modulo da crocettare e archiviare nel faldone dei verbali è meglio tentare di individuarne alcune utilità pratiche, il rapporto con gli altri “acronimi” e con il Piano di lavoro del consiglio di classe e delle singole discipline.
Il PAI, per come è presentato, sembra di fatto una dichiarazione di intenti indirizzata al singolo alunno dal Consiglio di classe per l’anno successivo. Visto dal punto di vista burocratico può essere catalogato come una sorta di “salvacondotto” per il passaggio alla classe successiva con il pedaggio di un’attività di recupero da svolgere. Ma può essere altro, se visto da un punto di vista pedagogico.
Il PAI come Patto formativo
A ben vedere il PAI può diventare uno strumento formativo utile anche fuori dall’emergenza se lo utilizziamo come un vero e proprio “contratto” o meglio “patto” (così l’acronimo rimane invariato!) con lo studente, nella logica della valutazione formativa. E’ necessario però coinvolgere lo studente nel completarne la stesura, con alcuni dati importanti per una progettazione condivisa e partecipata di un recupero che non sia un semplice obolo da pagare come atto dovuto alla scuola, ma un’opportunità per se stessi e una scelta consapevole.
È vero che il documento è già stato predisposto dai Consigli per lo scrutinio finale come richiesto, ma è anche vero che a settembre può essere possibile una sua integrazione. Vale sempre la regola che ciò che non è vietato è permesso.
Cosa potrebbe essere utile aggiungere? Certamente l’aggiunta non può diventare un pretesto per l’affastellamento di dati, per cui va inserito ciò che può essere realmente utile. A mio avviso la cosa più importante è inserire in sintesi i motivi che hanno portato all’insuccesso attraverso un’attività di autovalutazione condotta con lo studente, magari con un taglio autobiografico o unito ad un bilancio delle competenze implicate nelle materie sofferenti in questione.
Questo potrebbe avvenire in una prima attività propedeutica di un percorso di recupero magari con un colloquio individuale o, meglio, con un’attività interattiva per gruppi di studenti utilizzando la possibilità offerta di iniziare le attività di recupero dal primo settembre considerando il periodo fino all’inizio ufficiale della scuola comunque parte del nuovo anno scolastico come suggeriscono le Linee Guida del D.M. n. 39 del 2 luglio. Recuperare e integrare i PAI con gli stessi studenti può essere utile per farne oggetto di una progettazione integrata con l’attività curricolare dell’anno.
L’occasione per cambiare il punto di vista sul recupero
Non serve solo sapere che un alunno è insufficiente o il cosiddetto “livello”, ma è necessario individuare il problema specifico di apprendimento, di metodo di studio, di organizzazione personale o familiare che ha impedito il raggiungimento del risultato o comunque fare un’ipotesi su questa causa. Non è possibile impostare una qualsiasi attività di recupero infatti se non si comprende il motivo per il quale si è creata una data carenza o non si è raggiunto un certo livello. Il “Non si è impegnato” lascia il tempo che trova.
I motivi posso essere diversi per ciascuno o identici in gruppi di studenti. Ci sono studenti che hanno un’insufficienza perché hanno bisogno di recupere una conoscenza che non hanno semplicemente studiato per qualche motivo per cui basta ripetere la lezione, si tratta di un recovering della conoscenza perduta, ma ci sono studenti che hanno un’insufficienza perché la modalità con cui si è svolta l’attività non ha permesso loro di costruire le competenze che si volevano sviluppare. A questi studenti non serve la ripetizione tale e quale dell’attività svolta, ma hanno bisogno di un contesto operativo diverso per esplorare modalità più efficaci per apprendere ciò che è richiesto. Comprendere i motivi potrebbe anche suggerire una modifica metodologica nell’impostazione delle nuove attività e UDA evitando la ripetizione in fotocopia di modalità inefficaci, portando così un miglioramento alla qualità dell’attività curricolare e una diminuzione dei “recuperi” ex post.
Nell’impostare un percorso di recupero è importante quindi interrogarsi su cosa non abbia funzionato. Nel nostro caso, cosa non ha funzionato durante la DAD per quell’alunno in particolare o per quel gruppo di alunni e in quella specifica materia, magari riascoltando insieme agli alunni alcuni passaggi delle attività online, se sono state registrate, e analizzandone i passaggi con un lavoro collettivo di tipo metacognitivo.
Solo a questo punto è possibile per ciascuna disciplina ridefinire ”specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento” realmente coerenti con i bisogni formativi segnalati dall’insufficienza e definire insieme allo studente “gli obiettivi di apprendimento da conseguire”,
ma anche ciò che lo studente deve fare per contribuire al recupero, stabilendo anche scadenze da rispettare. A questo punto il PAI può essere firmato anche dallo studente e costituire un impegno condiviso.
Un discorso diverso può essere fatto per i PAI da predisporre per gli studenti rientrati da esperienze all’estero o studenti che non hanno seguito le lezioni online, in quanto in questo caso si tratterebbe più semplicemente di pianificare una replica delle attività svolte in loro assenza. Visto che tali attività si sono svolte in DAD potrebbe anche essere possibile un’attività integrata con visione delle registrazioni anche a distanza e commento a scuola in interazione con il docente. Oppure potrebbero essere gli stessi studenti, che hanno frequentato e che necessitano in base al loro PAI di consolidare un argomento o una competenza, a predisporre una presentazione anche multimediale per i compagni come compito di realtà con relativa valutazione.
Il Piano di Integrazione degli Apprendimenti
La normativa richiede la produzione di un ulteriore documento: il Piano di Integrazione degli Apprendimenti o PIA, ovvero la lista di ciò che non si è fatto a causa della sospensione delle attività in presenza. Probabilmente c’era da parte del Ministero l’esigenza di formalizzare questa comunicazione in modo chiaro e uniforme per tutti a giustificazione di un’interruzione di un pubblico servizio. Al di là di questa considerazione, un PIA della classe può anche essere uno strumento utile nella pianificazione e nella progettazione delle attività di recupero e viceversa le attività di recupero possono influenzare la stesura del PAI.
Attraverso la comparazione dei PAI possono emergere delle difficoltà comuni tra più studenti di una classe che hanno portato all’insuccesso individuale di alcuni, ma anche al mancato consolidamento di certe competenze in altri che pur hanno ottenuto la sufficienza. Questo esempio potrebbe suggerire che in questo caso possa essere più efficiente non svolgere un recupero individualizzato per una data materia o per un dato argomento, ma proporre per la classe intera un’attività di integrazione degli apprendimenti svolti con modalità e in contesti diversi da quelli adottati in DAD. Il PIA può quindi diventare non solo uno strumento di pianificazione di ciò che non si è fatto, ma anche di pianificazione di attività complementari o sostitutive del recupero.
Una visione di insieme per una progettazione integrata dei Piani
Per migliorare l’efficacia del recupero e l’efficienza nella sua organizzazione in una prospettiva di integrazione al curricolo dell’anno scolastico, soprattutto in questa inedita situazione operativa in cui si aggiunge la variabile del distanziamento a complicare le cose, può essere utile costruire un “cruscotto” operativo per guidare la progettazione delle attività di recupero della classe in modo da poter tenere presenti in un quadro d’insieme i bisogni formativi di recupero formalizzati nel PAI con le loro diverse tipologie, le esigenze degli studenti con bisogni educativi speciali formalizzati nei PDP e nei PEI.
Tutti questi strumenti se non utilizzati in modo coordinato e con una costante visione di insieme, visto il loro numero in una stessa classe, invece di favorire l’individualizzazione rischiano di far perdere la dimensione inclusiva della gestione della classe che è la strada più promettente da percorrere in futuro, disperdendo gli interventi in mille rivoli.
Questa abbondanza di Piani individualizzati può rendere opportuna una maggior attenzione alla personalizzazione del curricolo della classe con un adattamento del Piano di lavoro della classe e dei relativi piani disciplinari, individuando strategie trasversali inclusive che possano permettere di raggiungere il maggior numero di studenti che hanno piani individualizzati evitando una frammentazione eccessiva e facilitando la gestione unitaria delle attività didattiche.[1]
Le attività di recupero
Venendo meno il vincolo del modulo standard da somministrare come pillola “salva anno scolastico”, si possono sperimentare realmente varie modalità di svolgere l’attività.
Qui entrano in campo l’autonomia della scuola e la professionalità dei docenti.
Ancora la legge di conversione specifica al comma 5 che “ai sensi degli articoli 4 e 5 del Regolamento sull’autonomia, le attività didattiche […] sono realizzate attraverso l’organico dell’autonomia, – che, ricordo, non è solo l’organico aggiuntivo, ma l’intero organico – adottando ogni forma di flessibilità didattica e organizzativa e facendo convergere sul prioritario sostegno agli apprendimenti le iniziative progettuali”.
Tra tutte le possibilità vorrei soffermarmi brevemente solo sul coinvolgimento degli stessi studenti in modalità peer to peer nell’aiutare i compagni, ovviamente in modo diverso a seconda dell’età e dei bisogni di integrazione e di recupero degli apprendimenti
Un esempio può essere un incarico a tempo dato ad uno studente di svolgere il ruolo di tutor di un compagno nello studio o un incarico con una consegna specifica per l’acquisizione di una determinata competenza in una certa materia o per svolgere una serie di esercitazioni laboratoriali ecc.., questo affiancamento potrebbe durare un quadrimestre o un dato periodo e può essere svolto anche a distanza con modalità che gli stessi studenti possono inventarsi e concordare soprattutto nella secondaria. La collaborazione tra studenti, comunque formalizzata nei dettagli come patto, potrebbe essere considerata un’attività di recupero vera e propria con una valutazione anche dello studente tutor: in fondo si tratta di un compito di realtà i cui prodotti sono gli obiettivi raggiunti dal compagno che si è seguito. Un’altra attività simile può essere l’apertura di veri e propri “sportelli” online o in presenza da parte di studenti esperti per consulenze e aiuto ai compagni dell’istituto o di certe classi, valorizzando così le eccellenze. Queste attività potrebbero essere valutate come credito scolastico, visto che la norma prevede un’integrazione del credito dell’anno concluso.
In tempo di distanziamento, la presa in carico dei compagni e l’aiuto reciproco posso essere di grande aiuto per mantenere vivo il senso di appartenenza al gruppo e alimentare i valori di solidarietà.
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[1] Sulla realizzazione di contesti di apprendimento inclusivi è interessante il testo di Andrea Mangiatordi, Didattica senza barriere. Universal design, tecnologie e risorse sostenibili. Edizioni ETS.