L’adolescenza è sempre stata declinata al singolare. Nel Dopoguerra tale coniugazione era accettabile, perché designava correttamente l’uscita da un’età ben definita, quella dell’infanzia e l’entrata in un periodo nel quale la persona conosce trasformazioni significative prima di conquistarsi il riconoscimento di acquisita “maturità”. Quel passaggio comportava determinate pratiche rituali: le più significative erano la leva militare per i maschi, l’insorgere del ciclo mestruale per le femmine.
Oggi ci troviamo di fronte ad uno scenario completamente cambiato. Di fatto, non ci sono più i classici riti di passaggio attraverso cui le nuove generazioni entrano nelle fasi successive della loro crescita. Tale ingresso invece avviene, per così dire, entro uno schema a “geometria variabile”. Si manifesta cioè attraverso molteplici versioni, rese complesse dalle situazioni personali in cui il cambiamento insorge, evolve e si scontra con la realtà. Fasi tutte definibili adolescenziali per la “cifra” di incompletezza che le connota. In questo senso, dunque, è più corretto parlare di adolescenze.
L’ascolto: merce rara
Per noi adulti il problema più importante è trovare la giusta sintonizzazione e le forme di ascolto più adatte ed efficaci. Come reagiamo alle manifestazioni dei giovani? Come interpretiamo il loro modo di porsi? Come viviamo le loro apparenti incomunicabilità?
In genere, percepiamo i loro vissuti contrapposti ai nostri: li sentiamo come “persone contro”. In questo caso scatta la lettura di una adolescenza come viziata dall’incompletezza dei ragazzi rispetto ai “grandi”, dovuta alla loro immaturità. Ne consegue una visione gerarchica dei valori, nella quale prevale il senso fermo di una traccia da seguire. Un ascolto, in buona sostanza, di tipo giudicante!
Oggi, invece, quasi sempre, quei ragazzi non sono “contro” ma “altrove”. Abitano un altrove che risulta spiazzante per tutti, in prima battuta per genitori e insegnanti. Andando un po’ più in profondità e ascoltando più attentamente lo stridere fastidioso del loro comportarsi, quell’altrove risulta probabilmente spiazzante anche per loro.
Un curricolo orientato all’ascolto
Di fronte a vissuti adolescenziali, caratterizzati spesso da forme di disagio non sempre facilmente leggibili, è più che mai opportuno partire da un curricolo nuovo, o meglio da un modo nuovo di istruire un curricolo, più adatto alla relazione con i giovani di questa generazione. Ad esempio, come si può promuovere l’educazione al limite come esperienza di libertà. In che senso? Con quale criterio? Quali sono i passi di un tale percorso educativo?
Gli interrogativi devono essere rivolti ai docenti di ogni ordine e grado. Tutti, infatti, devono sentirsi coinvolti. Il termine limite risuona in riferimento al rischio che certe situazioni vissute dagli adolescenti li spingano a superane il divieto e a pagarne, di conseguenza, un alto prezzo. Attorno a questa parola, che spaventa gli adulti, è possibile immaginare una struttura di contenimento, entro cui i ragazzi possono elaborare un’identità di sé e sentirsi effettivamente liberi di sperimentare autentici spazi di autonomia.
Lungo quei corridoi, in quelle aule, seduti a quei banchi, alunni di grande potenzialità attraversano trasformazioni simili a quelle passate da noi a suo tempo. Oggi, però, c’è bisogno di proposte nuove, che non siano la solita “stanzetta dello psicologo” dell’età evolutiva: ci sta bene ma non esaurisce minimamente il tema che stiamo affrontando.
Il primo passo potrebbe essere quello di rivolgersi ad un curricolo della “scuola media” da “curvare” sugli alti e bassi dell’instabilità dei suoi utenti. Che cosa lo può tenere in equilibrio?
Una possibile risposta è “l’appassionamento” a ciò che essi fanno. Come tutto, del resto!
Ma una scuola che pretenda di soddisfare i desideri dei suoi alunni deve reimpostare la strategia del curricolo. Magari gli stessi obiettivi, ma da realizzare con linee diverse da quelle abituali: negli stessi luoghi, ma riarredati, riorientati, più open space, più outdoor, più relazioni interne ed esterne, meno vincoli. Soprattutto, meno prediche!
Ascoltare il territorio
Gli adolescenti sviluppano i propri interessi nel territorio in cui vivono. Dunque, il focus che segna l’attenzione educativa nei loro confronti risiede nel radicamento nelle loro comunità. Una buona traccia da seguire è sicuramente il mondo dei Maestri di strada (Napoli) di Cesare Moreno in cui è ravvisabile l’eco del Dasein heideggeriano: l’esserci, declinato, soprattutto per la funzione docente, nelle connotazioni del semplice essere lì, dell’avere cura, cioè l’essere con loro, l’essere per loro. Diciamo sostare dove sono loro, stando lì, non in una scuola che punti a spostarli altrove. La scuola, luogo di apprendimento, deve essere capace però di aprirsi ad un vero e proprio spazio di vita giovanile. La sfida è quella di tenerli in un questo sapiente equilibrio. Spetta a noi educatori appuntarci i temi del loro “appassionamento” e farli diventare esperienze curricolari.
Questa fase è giustamente improntata al convincimento che sia tipica del giovane l’incapacità di prefigurare le conseguenze dei propri atti e poi quella di cogliere, attraverso l’analisi delle conseguenze, il confine al di qua del quale le azioni compiute – turbolente, trasgressive, inconsuete quanto si voglia – soddisfino ancora il principio del limite da non valicare.
Tutto ciò lascia presupporre negli educatori – genitore, insegnante – che spesso non sia maturata nel giovane la consapevolezza sull’invalicabilità del limite, ma che invece egli tenti di più: ancora e ancora, fino alla soglia al di là della quale il processo si corrompe e si devasta.
È necessaria a quel punto, quando il limite viene superato, la presenza di un ulteriore passaggio del curricolo che possa fare correre ai ripari.
Domande legittime
Heinz von Foerster, fisico e filosofo austriaco (1911-2002), in Sistemi che osservano, pone la distinzione tra due tipologie di domande:
- Illegittime, delle quali si conosce già la risposta;
- Legittime, le cui risposte presuppongono un lavoro di ricerca e di esplorazione.
Un ascolto attivo delle ragioni degli adolescenti richiede che genitori, insegnanti, educatori sappiano spostarsi sul versante della seconda tipologia di domande. È dai ragazzi che bisogna cogliere le migliori domande da porre a loro e a noi stessi con loro. Non le risposte frivole, ma quelle che scaturiscono dalle domande legittime. Il docente, in primis, deve essere il “grande domandatore” intorno a un tema.
Quali le domande migliori? Come sono organizzate? L’indicazione appropriata viene in via generale dagli studi di Jerome Bruner (La ricerca del significato) e, più direttamente riferite al contesto, dai ricercatori della scuola di Ginevra sempre all’avanguardia anche dopo Jean Piaget, soprattutto da Donata Fabbri e Alberto Munari (Strategie del sapere). Essi parlano di déplacement, di spiazzamento cognitivo, indicando in quell’effetto il valore e l’importanza della domanda e del modo in cui la si pone.
Una domanda spiazzante sarà tale se conterrà al suo interno la potenza viva, vivificante della metafora (metafora viva) e della vera poesia (tempo e racconto). Il filosofo francese Paul Ricoeur afferma che una domanda è tale se induce una “perdita di familiarità” con il concetto che esprime, se obbliga, cioè, a rivedere il paradigma del concetto del cui significato si aveva familiarità e confidenza.
“Deve essere come un bang” dice Ricoeur e allora il modo di sapere le cose al riguardo cambia al punto che la visione del mondo riceve un’altra strutturazione, diversa dalla precedente. In quel caso l’iter, il locus, il contesto vengono rivisitati e la visione di essi muta. Si trasforma.
Raccogliere e porre “domande legittime” è oggi il vero grande problema dell’educazione. E nelle possibili risposte, ci sono i presupposti per cogliere appieno le direzioni più vere di un “curricolo per (con) gli adolescenti”.
Riferimenti bibliografici
Heidegger M. (1927), Essere e tempo, Longanesi, Milano.
Foerster von H. (1987), Sistemi che osservano, Astrolabio, Roma.
Fabbri D. e Munari A. (2005), Strategie del sapere. Verso una psicologia culturale, Guerini e Associati, Milano; prima uscita, (1984), Dedalo.
Fabbri D. e D’Alfonso P. (2003), La dimensione parallela, Erickson, Trento.
Bruner J. (1992), La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino.
Moreno C. (a cura di) (2011), Carla Melazzini. Insegnare al principe di Danimarca, Sellerio, Palermo.
Ricoeur P. (1987), La metafora viva, trad. di Giuseppe Grampa, Jaca Book, Milano.
Ricoeur P. (1988), Tempo e racconto, volume III il tempo raccontato, trad. Giuseppe Grampa, Jaca Book, Milano.
D’Alfonso P. (2016), Conversazione con Paul Ricoeur sulla Pedagogia (1994-1995), in Vinicio Busacchi, Giovanna Costanzo (cura) (2016), Paul Ricoeur e “les proches”, Effata, pagg. 541-568.
Rondanini L. (2008), La cura curante, La Nuova Tipolito, Felina (RE).
Rondanini L. (2022), La pedagogia della bellezza, Tecnodi, Napoli.