Partiamo da alcune considerazioni di Giancarlo Cerini e dagli obiettivi da lui individuati nel suo volume postumo, “Atlante delle riforme (im)possibili”, per una riflessione sulle Indicazioni nazionali 2012. Nel libro, sul tema specifico della “valutazione mite”, si elencano cinque possibili obiettivi da porre al centro dell’azione politico-educativa. Nell’ordine: 1. superare il voto in decimi per tutto il primo ciclo; 2. sostituire la bocciatura con misure che sappiano sollecitare azioni a sostegno delle fragilità di chi apprende; 3. migliorare la comunicazione con le famiglie; 4. rivedere l’impianto certificativo per il primo ciclo; 5. predisporre un modello per la certificazione anche per il secondo ciclo. Sicuramente oggi, alla luce delle esperienze che le istituzioni scolastiche del secondo ciclo stanno compiendo, partendo dalle tesi di Cristiano Corsini[1], aggiungerebbe un sesto obiettivo: “porre al centro dei processi di apprendimento la valutazione formativa anche nel secondo ciclo”.
Una scelta in controtendenza
Tuttavia le attuali policy, e anche i più accreditati opinionisti, sembrano andare in direzione decisamente contraria. Potremmo chiederci (e molti lo fanno) perché fra i tanti obiettivi possibili per garantire una “valutazione mite”, Giancarlo Cerini abbia scelto strade così diverse dal sentire comune.
Pensiamo alle tesi che ricondussero nel 2008 (Gelmini-Tremonti) la scuola primaria al voto, alle argomentazioni di opinionisti come Ricolfi e Mastrocola che imputano alla scuola democratica i tanti problemi educativi, all’introduzione del “gravemente insufficiente” nella valutazione del comportamento degli studenti, anche della scuola primaria. Dalle stesse dichiarazioni dell’attuale Ministro emerge convintamente l’idea che la valutazione degli apprendimenti debba essere caratterizzata da un tipo di rigore che rischia però di accentuare una selezione di classe (buoni e cattivi, sommersi e salvati) anziché favorire l’inclusione.
Tutte le voci che formulano proposte culturali diverse sulla formazione dei docenti soprattutto per affrontare le tante fragilità degli studenti e dei territori appaiono decisamente in controtendenza.
Un percorso che inizia da lontano
Eppure i dati disponibili segnalano la scuola in affanno. Se guardiamo alle criticità narrate da diversi osservatori, sono sufficienti per chiedere politiche educative a favore di una valutazione diversa, che sia proiettata verso ottiche formative, che diano risultati veri, a vantaggio dello studente e della comunità.
Sull’argomento già nel testo “PASSA… PAROLE”[2], pubblicato all’indomani delle Indicazioni 2012, erano in molti ad esprimere il totale dissenso sulle proposte sempre in agguato della valutazione decimale o del voto come unico strumento per rendicontare e supportare gli apprendimenti degli studenti.
Decenni prima, Aldo Visalberghi e Maria Corda Costa avevano posto in evidenza che per valutare bene bisognava innanzitutto ricercare le informazioni su tutte le componenti dell’educazione. A ciò si aggiungono gli studi di Mario Gattullo e di Benedetto Vertecchi. Così pure vanno ricordate le stagioni in cui si passava dal voto alle lettere e poi di nuovo al voto. Questi periodi, però, hanno stimolato studi, riflessioni e ricerca.
Non va dimenticato un progetto editoriale di Aldo Visalberghi che faceva perno sulle discipline, sulla comprensione dei manuali, sulla progettazione dei percorsi di insegnamento-apprendimento e, soprattutto, sulla valutazione. Come non vanno dimenticati i tanti gruppi di studio e seminari ministeriali, negli ultimi decenni del secolo scorso, come quello di Punta Ala, dove si incominciava ad affrontare l’ipotesi di sostituire la valutazione vigente con un nuovo documento che poneva in evidenza anche l’osservazione, la descrizione, la documentazione, che enfatizzava la situazione di partenza e focalizzava l’attenzione sulle scelte per il miglioramento. Si incominciava allora a parlare di grado di avvicinamento agli obiettivi per arrivare alla valutazione globale.
La valutazione nelle Indicazioni 2012
Nonostante i contributi dei grandi maestri, gli esiti dei numerosi studi sulla valutazione non si sono mai trasformati in prassi diffusa, soprattutto nella scuola secondaria. Ed ora anche nella scuola primaria si reintroduce il voto, seppure camuffato sotto le spoglie del “giudizio sintetico”. A pensare che le Indicazioni nazionali 2012 avevano indicato un’altra strada.
Per la scuola dell’infanzia si dice che: “l’attività di valutazione risponde a una funzione di carattere formativo che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini perché è orientata a esplorare e riconoscere lo sviluppo di tutte le loro potenzialità. Analogamente, per l’istituzione scolastica, le pratiche dell’autovalutazione, della valutazione esterna, della rendicontazione sociale, sono volte al miglioramento continuo della qualità educativa”. Ed ancora: “La valutazione precede accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento, stimolo continuo al miglioramento”.
È una linea che viene riproposta nelle più recenti “Linee pedagogiche sul sistema integrato zero sei in materia di valutazione”. Nella parte V Coordinate della professionalità, dopo aver posto l’attenzione sull’osservazione, sulla documentazione, sulla valutazione come strumenti di professionalità si dice che la valutazione formativa è “narrativa, aperta agli sviluppi successivi, sempre espressa in termini positivi (descrive ciò che il bambino sa/fa, non ciò che non sa/non fa), di valorizzazione, di incoraggiamento”.
Una valutazione non episodica
Da qui emerge il valore dell’osservazione nei contesti educativi e nei processi di insegnamento-apprendimento, la centralità del soggetto che apprende, l’importanza del curricolo. Ma se c’è un deficit di attenzione pedagogica su tali aspetti si rischia che la valutazione anziché formativa ridiventi classificatoria e sanzionatoria.
Ora sull’osservazione dei contesti educativi, del gruppo classe, dei singoli studenti c’è una vasta letteratura. Va ricordato che una valutazione, che privilegi la dimensione costruttiva, non può essere episodica. Osservare richiede la sistematicità che non vuol dire un comportamento professionale onnivoro (si valuta sempre). Significa, invece, prestare attenzione allo “sguardo”.
Processi o esiti?
Si valutano i processi o gli esiti? Il quesito è mal formulato perché sono due fasi diverse che non possono essere poste in contrapposizione. Gli esiti vanno intesi in termini processuali anche quando si arriva a certificarli. Gli esiti in educazione non dovrebbero mai assumere un carattere definitivo, senza appello per chi è arrivato alla meta. Stiamo, infatti, parlando di traguardi di sviluppo delle competenze o di risultati di apprendimento, nella consapevolezza che tali risultati devono essere prescrittivi soprattutto per i docenti. Il profilo di competenza adulta si sviluppa per tutto l’arco della vita e la scuola è un percorso, importante, significativo, ma non l’unico in cui si apprende.
Nella valutazione mite non deve prevalere la tesi quantitativa (l’insieme delle conoscenze apprese), ma quella qualitativa che parte però dalla chiarezza di cosa, come e perché si valuta. I docenti non si collocano mai fuori dai processi, devono guidare chi apprende ad osservare, comprendere, interpretare, argomentare… La valutazione è un camminare insieme.
Rigore o rigidità?
Dobbiamo essere consapevoli se i nostri comportamenti professionali possono diventare divisivi e selettivi, dobbiamo essere accorti su come usiamo le parole. Il termine “rigore”, oggi così ricorrente, non sembra essere utilizzato nel significato di rigore scientifico, cioè come capacità di trattare le informazioni e i dati, di eliminare o ridurre al minimo qualsiasi aspetto che possa essere condizionato da pregiudizi o condotte soggettive, ma semplicemente come rigidità o conformità, cioè come comportamenti non corretti da sanzionare. Da qui i giudizi punitivi.
È da una prospettiva, pressoché sbagliata, che si formulano domande illegittime ai genitori invocando la corresponsabilità educativa, con una richiesta, quasi impossibile, di sostegno e di supporto per quello che a scuola i bambini e i ragazzi non fanno.
I care
Dobbiamo essere attenti che non ci sia un deficit di attenzione pedagogica nei confronti degli aspetti costituivi della valutazione mite: cuore (ovvero cura), educazione e apprendimento.
I care, mi prendo cura di tutti, nessuno escluso, soprattutto degli ultimi, a cui non possiamo dare risposte in ragione dei talenti, assunti a volte pretestuosamente nell’agire educativo,
Per una valutazione mite si ha bisogno della condivisione, della comunità, dell’ascolto, del “discutendo si impara” di Clotilde Pontecorvo: “si educa al noi istruendo”, come ci ha insegnato Riccardo Massa.
[1] C. Corsini, Una valutazione che educa. Liberare l’insegnamento e l’apprendimento dalla tirannia del voto. Franco Angeli, 2023.
[2] G. Cerini, PASSA… PAROLE. Chiavi di lettura delle Indicazioni 2012, Homeless book, 2012.