Perché gli insegnanti amano più i numeri delle parole?

La valutazione a partire dal Disegno di legge 924 bis

Le convulsioni legislative che periodicamente hanno tolto (o tentato di togliere) e riportato (o tentato di riportare) i voti numerici nelle scuole del primo ciclo si saldano con il fascino esercitato tradizionalmente, nella scuola del secondo ciclo, dal numero, che viene utilizzato tanto per gli apprendimenti nelle discipline quanto per la condotta e l’Educazione civica: ambiti, questi ultimi, decisamente più afferenti alla dimensione qualitativa della parola che a quella quantitativa del numero. Con più cautela, nella secondaria di primo grado il numero sopravvive nella valutazione periodica e finale (ma gran parte dei docenti lo usa sempre). Il disegno di legge 924-bis[1], attualmente in discussione al Senato, intende riportare il numero anche in sede di condotta.

La valutazione tra numeri e parole

La scuola primaria è un campo di osservazione molto interessante in ordine al rapporto tra numero e parola. Infatti, il disegno di legge prima citato nel suo iter parlamentare sta subendo un’evoluzione alquanto rivelativa di tale oscillazione amletica, se si considera che dall’ipotesi del ritorno al voto numerico nella valutazione finale del comportamento si è passati all’attribuzione di giudizi sintetici e non si sa ancora se ai giudizi sintetici verranno affiancati livelli di apprendimento, ma al contempo rientrerebbe il voto in decimi nella valutazione quadrimestrale. Non si vorrebbe essere nei panni dei docenti di questo grado di istruzione.

Insomma, da diverso tempo ormai in campo valutativo il numero e la parola si contendono il campo.

Nella vita si ha bisogno di entrambi

Ma cosa si nasconde dietro un simile contenzioso? Sia il numero che la parola appartengono all’esperienza quotidiana. Cos’hanno di differente? Sono usati entrambi a seconda di quel che tocca fare ogni giorno. E servono tantissimo entrambi, se consideriamo che la nostra quotidianità sente il bisogno, quando usa i numeri, di integrarli con parole e, quando usa le parole, di integrarle con numeri. Chi discuterebbe in banca o col fruttivendolo a colpi di soli numeri, senza che questi siano integrati in un discorso verbale? E chi farebbe a meno, quando vuol dire che un fenomeno è molto diffuso, di utilizzare una bella percentuale, ottanta-novanta per cento ad esempio?

Anche a scuola questo accade. Si osserva infatti che i voti numerici sono accompagnati spesso da parole che cercano di argomentarli oppure che le parole, le descrizioni, approdano alla loro sintesi numerica.

Tuttavia, in sede di valutazione scolastica, si constata che i due codici – parola e numero – non godono dello stesso appeal. Appaiono infatti molto più numerosi i docenti che riterrebbero esaurienti i numeri senza le parole, quelli convinti cioè che “nel voto c’è tutto”, rispetto ai docenti appagati delle parole senza numero.

Numeri e parole per le famiglie e gli studenti

Molto spesso se un’allieva o un allievo chiede com’è andata la sua prestazione ed essa viene descritta dal docente nei suoi punti di forza e in quelli di debolezza, anche usando le parole con molta generosità e cercando di restituire la prestazione in termini narrativi e descrittivi, la sensazione che prova in genere non è soddisfacente. Si cerca qualcosa di più. Appunto, si cerca un numero. E quando il docente prova a confutare questo desiderio chiedendo all’interlocutore “ma cosa manca nella valutazione che ti ho illustrato?”, anche se la risposta politicamente corretta è sempre la stessa, “niente”, la mente del discente è altrove. È nella scala numerica. A casa deve portare un numero, perché papà e mamma vogliono un numero. Perché solo un numero per loro sarà eloquenza del rendimento del proprio figliuolo.

I giovani recepiscono il senso comune

I giovani sembrano esser consapevoli della perentorietà del numero.  Ritengono, per esempio, del tutto congruo che alla scuola primaria si possa sostituire il numero con una parola, ma creando una scala aggettivale che abbia lo stesso carattere di sintesi, come quello del numero. Della sintesi, in altri termini, non si riesce a fare a meno. Il nemico della sintesi è l’eccesso di analisi, quello che ha probabilmente indotto l’attuale ministro a mandare in soffitta le scelte valutative effettuate nel 2020[2]. La legge 6 giugno 2020, n. 41 (articolo 1, comma 2 bis) così si esprimeva: «In deroga all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, dall’anno scolastico 2020/2021, la valutazione finale degli apprendimenti degli alunni delle classi della scuola primaria, per ciascuna delle discipline di studio previste dalle indicazioni nazionali per il curricolo è espressa attraverso un giudizio descrittivo riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimento, secondo termini e modalità definiti con ordinanza del Ministro dell’istruzione».

Ma anche alcuni insegnanti preferiscono il numero

Eppure, se il dibattito continua e, anche in sede parlamentare, non è stato ancora ritenuto opportuno (re)introdurre il numero nella scuola primaria, si sta forse valutando che il codice-numero possa risultare non adeguato per la platea infantile. Ma sembra che nessuno metta in dubbio la sua adeguatezza per la scuola secondaria di primo grado che, comunque, è parte integrante del primo ciclo d’istruzione. Misteri.

Come che sia, sembra comunque di poter ravvisare, anche tra i docenti della scuola primaria, una certa propensione a preferire il numero. E di tale propensione si rende mentore il governo di turno.

La diffidenza di alcuni pedagogisti

Sono solo alcuni pedagogisti e una certa tipologia di professionisti della scuola ad essere diffidenti nella capacità del numero di esprimere una valutazione degli apprendimenti completa ed attendibile. Sono soggetti però che, con tutta evidenza, non hanno la forza di condizionare le politiche scolastiche in merito alle scelte valutative.

Se è vero che si è in tanti a vantarsi di non capire un granché di matematica, mentre ci si pregia di conoscere l’arte, la filosofia o la poesia, al momento del valutare ci si ritrova tutti matematici intenti a sommare e dividere.

Quando la platea dei docenti assume acriticamente la media aritmetica partendo dal presupposto che il numero sia superiore alla parola, dà prova di insensatezza pedagogica. È come se il numero, per la sua natura epistemica, chiudesse ogni possibilità di dialogo, argomentazione o contestazione, mentre la parola aprirebbe il campo, per sua natura, al dibattito, alla negoziazione, al conflitto delle interpretazioni: il luogo deputato alla discussione, quello della cittadinanza e della democrazia, sembra preferire una modalità valutativa che nega la sua stessa natura.

I numeri che non sono numeri

A dover alzare bandiera bianca, dunque, sono tutti coloro che ritengono che il numero non abbia alcuna eloquenza valutativa, cioè che non valuta la qualità degli apprendimenti per la semplice circostanza che, essendo questi “invisibili” – almeno nella loro dimensione profonda – non possono garantire l’oggettività della valutazione. Il numero infatti è misura. Sono molti che ancora fanno fatica a comprendere che i voti scolastici sono scale ordinali e che per questo non sono misure e che con i voti non si possono fare medie.

Questa caratteristica un po’ strana dei numeri che non sono numeri non è di facile comprensione. Un numero è un numero. Se è cinque farà media con sette e darà sei. Se farà media con otto verrà fuori un decimale e tutto sommato il registro elettronico permette di usare le finte oggettività dei sei e mezzo, sei più, sette meno e dintorni, che di oggettivo non hanno proprio nulla. Poi in pagella finisce la sbornia dei mezzi e quarti di voto e torneranno gli interi. Ma sempre numeri saranno.

Per quanto possa risultare amaro, a scuola si ha poca fiducia della parola, e non solo in ambito valutativo. Il campo della valutazione, per la sua natura negoziale ed intersoggettiva, dovrebbe invece essere il campo privilegiato della discorsività. Ma le cose non vanno in questa direzione: i cultori della parola sono confinati nel registro marginale dei contestatori visionari, perché, in fin dei conti, come dicono coloro che fingono di essere contrari ai numeri, ma sotto sotto li amano, “alla fine devi mettere un voto”.


[1] Il Disegno di legge 224 riguarda L’Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale e revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. Il 22 novembre 2023 è stato presentato lo stralcio dell’art. 3 che riguarda specificatamente la “Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti”.

[2] I riferimenti normativi sono i seguenti: Legge 6 giugno 2020, n. 41 (articolo 1, comma 2 bis); legge 13 ottobre 2020, n. 126, articolo 32, comma 6 sexies; Ordinanza ministeriale 4 dicembre 2020, n. 172; Nota 4 dicembre 2020, n. 2158; Linee guida “Valutazione nella scuola primaria”..