Scuola dell’infanzia e sistema integrato 0-6

Un confronto con l’UE

Con l’avviso pubblicato da INDIRE il 24 gennaio scorso, sono state illustrate le finalità e le modalità organizzative di una interessante esperienza professionale, offerta a venti docenti di scuola dell’infanzia del nostro Paese, o a dirigenti scolastici, da parte dell’Unità nazionale eTwinning della Lettonia.

Si tratta di un percorso professionale articolato in quattro incontri pomeridiani di 90 minuti ciascuno, nel periodo tra il 19 febbraio e il 10 maggio. Il corso consentirà di confrontarsi scambiando idee e metodologie, di conoscere i sistemi educativi dei Paesi coinvolti, ma anche di coinvolgere, fin dalle prime fasi, i propri allievi.

eTwinning nella scuola dell’infanzia

Il principale obiettivo è quello di pianificare ed attuare un progetto internazionale eTwinning, con il supporto degli esperti delle Unità nazionali dei sei Paesi aderenti (Lettonia, Spagna, Romania, Italia, Lituania e Georgia). Infatti, ai partecipanti è richiesta la disponibilità a realizzare progetti eTwinning con una o più scuole partner incontrate durante il percorso online, oltre ad impegnarsi a disseminare nella propria scuola quanto appreso grazie all’attività formativa fruita.

Agli insegnanti o dirigenti coinvolti è richiesto inoltre:

  • un livello di esperienza eTwinning da principiante o intermedio;
  • l’aver già concluso un progetto in piattaforma;
  • una buona conoscenza dell’inglese, sia parlata, sia scritta, essendo la lingua utilizzata nel corso dell’esperienza;
  • la garantita della presenza durante tutti gli incontri online.

Promozione dell’internalizzazione a partire dalla scuola dei piccoli

Si tratta di un’opportunità molto significativa, specialmente perché rivolta alla scuola dell’infanzia. È un palese segnale di attenzione anche a questo grado di scuola nell’ambito della dimensione di internazionalizzazione, da promuovere a livello di ogni grado scolastico. D’altra parte, è ormai ben nota in ambito europeo (e non solo) l’interesse per l’educazione e cura a partire dall’infanzia, racchiusa nell’acronimo ECEC (Early Childhood Education and Care)[1]. Qualsiasi sistema regolamentato che offra educazione e assistenza ai bambini, dalla nascita all’età della scuola primaria dell’obbligo, consente di gettare le basi per un successivo successo nella vita, sia in termini di istruzione, sia in termini di benessere, ma anche di integrazione sociale e di occupabilità. Specialmente per i bambini provenienti da contesti svantaggiati. Difatti, garantire un’istruzione e una cura della prima infanzia di alta qualità rappresenta un investimento efficiente ed efficace nell’istruzione e nella formazione[2].

Avere, pertanto, uno sguardo orientato ad una formazione aperta alla dimensione europea e internazionale a partire dalla scuola dei piccoli è, ormai, imprescindibile.

Opportunità di confronto tra sistemi scolastici diversi

Il processo di internazionalizzazione consente, ovviamente, di misurarsi con realtà scolastiche e sociali differenti dalle proprie. È questo un aspetto peculiare, che, in esperienze come quella promossa dall’Unità nazionale lettone a favore di docenti della scuola dell’infanzia, assume una valenza molto particolare, perché permette un confronto immediato con strutture organizzative a livello di sistemi scolastici diverse da quelle italiane. Basti pensare alla differenza che vi è tra la Lettonia e l’Italia in merito all’ECEC, comparando i rispettivi ISCED 0[3]:

  • nel sistema lettone, tale livello va dai 18 mesi ai 7 anni, come percorso unitario e senza distinzioni interne;
  • il nostro ISCED 0 comprende i primi sei anni di vita dei bambini, secondo la prospettiva unitaria del sistema integrato di educazione e istruzione declinata dal D.lgs. 65/2017, ma distinguendo al suo interno i servizi educativi 0-3 anni (ISCED 01) e scuola dell’infanzia 3-6 anni (ISCED 02).

Anche in Spagna, altro Paese coinvolto nell’esperienza internazionale, ritroviamo la distinzione tra ISCED 01, per i bambini tra i 3 mesi e i 3 anni, e l’ISCED 02, corrispondente pienamente alla nostra scuola dell’infanzia.

Se consideriamo il livello ISCED 0 anche degli altri Paesi aderenti all’iniziativa, scopriamo che per la Lituania il livello ISCED 0 è completamente differente, poiché l’ISCED 01 comprende il periodo 0-6 anni, mentre l’ISCED 02, corrisponde ad una “scuola dell’infanzia pre-primaria” obbligatoria di un anno. In Romania, invece, nonostante ci sia una suddivisione tra ISCED 01 e ISCED 02 identica a quella italiana, riscontriamo che, dal 2023, è stato fissato l’obbligo a 4 anni, ovvero a metà del percorso corrispondente alla nostra scuola dell’Infanzia[4]. È interessante anche prendere in esame il sistema scolastico della Georgia, quale Paese non dell’UE coinvolto nell’esperienza, in cui è previsto un ciclo prescolare (ISCED 0) non obbligatorio rivolto ai bambini di età 1-6 anni, con asili nido che accolgono bambini d’età 1-3 anni e scuole dell’infanzia che accolgono quelli d’età 3-6 anni[5].

Stato dell’arte della nostra scuola dell’infanzia nel sistema integrato zerosei

L’attenzione rivolta alla scuola dell’infanzia, in un’iniziativa che rimanda all’importanza in generale dell’ECEC in un sistema educativo di qualsiasi Paese d’Europa (e del mondo), fa rimbalzare lo sguardo in casa nostra, per verificare lo stato di salute del grado di scuola che funge da cerniera tra i servizi educativi e il primo ciclo di istruzione.

Attualmente, la scuola dell’infanzia italiana è parte fondante, assieme ai servizi educativi, del sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni, come chiaramente definito dal D.lgs. 65/2017, in attuazione di una delle deleghe della legge 107/2015.

Certamente, la sua storia ultra-cinquantennale (dalla sua istituzione con la legge 444/1968) ci dice che nel tempo essa si è consolidata come grado di scuola attento al raggiungimento dei traguardi di sviluppo delle competenze di bambine/bambini dai 3 ai 6 anni, secondo l’impianto prescritto dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (DM 254/2012) e come aggiornato dalle Indicazioni Nazionali e Nuovi scenari (febbraio 2018).

È un impianto programmatico articolato intorno a sei campi di esperienza, la cui concettualizzazione risale ad un precedente documento degli inizi degli anni ‘90 (DM 3 giugno 1991, Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali), che aveva a suo tempo avviato un ripensamento complessivo della scuola dell’infanzia (a cominciare, appunto, dalla sua denominazione) e che era stato ispirato dall’intreccio multidimensionale delle migliori teorie psicopedagogiche, secondo un approccio sistemico ed ecologico.

La scuola dell’infanzia nostrana si è guadagnato l’appellativo di “gioiello di famiglia” della scuola italiana, con esperienze all’avanguardia (v. Reggio Children) apprezzate e studiate in tutto il mondo. Eppure, nonostante la generalizzazione sempre più crescente, almeno fino alla pandemia da Covid-19, che aveva toccato una quota che superava in media il 95% di frequenza di bambine/bambini dai 3 ai 6 anni, non si può dire che la situazione sia stata e sia a tutt’oggi la stessa in tutta la nostra penisola: persistono comuni criticità che si ripercuotono, però, in misura differente e maggiorata al Sud d’Italia.     

Fenomeni con effetti negativi per la scuola dell’infanzia

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad alcuni fenomeni che, a dirla con Giancarlo Cerini, «stanno impoverendo la scuola dell’infanzia»[6]. Sono fenomeni che destano preoccupazione, soprattutto perché evidenziano le differenziazioni tra territori. Tre fenomeni sono stati rilevati, in tempi non sospetti, proprio dallo stesso Cerini, relativi a:

  1. un tempo scuola non sempre disteso, con strutture inadeguate (come in regioni come la Sicilia e il Lazio);
  2. un crescente turnover di docenti, con una formazione iniziale e in servizio sempre più debole;
  3. un abbandono della scuola pubblica da parte di ceti sociali forti (specie nelle città del Nord), con conseguenti discriminazioni sociali nell’accesso[7].

Un altro fenomeno che continua a depauperare la valenza della scuola dell’infanzia è relativo agli anticipi in ingresso ed in uscita.

Anticipatari in ingresso alla scuola dell’infanzia: perché?

La percentuale di anticipatari in ingresso[8] è maggiore nelle regioni meridionali, per una macroscopica carenza di servizi educativi. Invero, Il fenomeno degli anticipi alla scuola d’infanzia risulta inversamente connesso alla diffusione territoriale dei servizi educativi per la prima infanzia[9].

Vi sono regioni, come l’Emilia-Romagna e la Valle d’Aosta, che sono tra quelle con maggiore copertura di posti nei servizi educativi per i bambini da 0 a 2 anni (superiore al 40%) e che, pertanto, hanno le quote di anticipatari più basse rispetto ai residenti di questa fascia di età (rispettivamente il 2,3% e il 2,4%). Regioni, invece, come la Calabria e la Campania, registrano il 9,9% e l’8,5% di anticipi, a fronte di una dotazione di posti nei servizi educativi che resta ancora al di sotto del 15% di copertura. Campania, Sicilia e Calabria sono ad una copertura di posti rispettivamente pari all’11,7%, 13% e 14,6%[10], ben lontana sia dal target europeo fissato già al 2010 (33%), sia da quello da raggiungere entro il 2030 (45%).

Gli iscritti alle scuole dell’infanzia

Nel 2021, nel nostro Paese, la percentuale di iscritti alla scuola dell’infanzia si è attestata al 91%. Un dato in calo rispetto alle percentuali di frequenza prima della pandemia, ma che resta comunque positivo, se confrontato con il primo obiettivo previsto a livello europeo nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002, in base al quale era necessario garantire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico.

Nell’anno scolastico 2002/2021, dunque, si è registrata la frequenza di 1,3 milioni di bambini iscritti alle oltre 22.400 scuole dell’infanzia sul territorio nazionale, afferenti a gestori differenti. Infatti, circa il 63% dei bambini si è iscritto a scuole statali, mentre all’incirca il 10% a scuole comunali e il 27% a scuole dell’infanzia private. Sulla totalità degli iscritti si registra anche una percentuale di bambini con cittadinanza non italiana, ma che risulta inferiore (11,5%) alla percentuale di residenti tra 3 e 5 anni (14,1%)[11].

Interessante confrontare i dati relativi al numero di iscritti alla scuola dell’infanzia per provincia rispetto ai residenti della fascia 3-5 anni:

Si rileva che, specialmente nei territori del Sud, vi è un rapporto più elevato tra iscritti e residenti tra 3 e 5 anni. Tale tendenza conferma la maggiore presenza di anticipatari e come le scuole dell’infanzia, per lo più statali e maggiormente capillari sul territorio e con un’accessibilità superiore rispetto ai nidi d’infanzia, si siano fatte carico della latente domanda di servizi per la prima infanzia, ma anche, indirettamente, di una problematica di costi che peserebbero sui bilanci di famiglie non abbienti. 

Rilanciare la scuola dell’infanzia nel sistema integrato zerosei

La scuola dell’infanzia italiana è caratterizzata oggi da luci ed ombre. Sono palesi i tanti problemi che ancora permangono, per esempio la qualità non ben distribuita nei diversi territori, in particolare l’insufficienza di servizi specialmente nelle regioni del Sud. Sarebbe sufficiente, forse, cercare di realizzare in pieno quanto previsto dal D.lgs. 65/2017. Ciò significa potenziare l’offerta e, soprattutto, l’accessibilità, in termini sia di costi, sia di servizi educativi per questa fascia di età. Forse bisognerebbe anche avere il coraggio di investire sulle “Sezioni primavera”, pensate specificatamente per la fascia tra 2 e 3 anni e con un cruciale ruolo di cerniera tra i due segmenti che costituiscono il percorso unitario zerosei. In questa prospettiva bisognerebbe incentivare la realizzazione di Poli per l’infanzia, quali luoghi in cui dovrebbe potersi concretizzare la progressività del percorso dal nido alla scuola dell’infanzia.

Ma la strada da percorrere, affinché sia possibile realmente attuare tutto ciò, appare ancora incerta e tutta in salita.

Incertezza di un prossimo futuro

Viene da chiedersi cosa sarà della scuola dell’infanzia e, in generale, del sistema integrato zerosei con l’avanzare di un’autonomia differenziata, così come se ne sta discutendo in Parlamento.

In particolare, rispetto ai ragionamenti in corso, a proposito della imprescindibile necessità di definire i LEP[12]. C’è chi teme il rischio di una autonomia differenziata che evolva verso scenari fortemente frammentati, specialmente in ragione del fatto che vi sono Regioni che presentano un diverso peso finanziario e servizi con livelli più bassi di fornitura. Una situazione che necessiterebbe – proprio nel fissare i LEP – di un incremento di spesa, andando ad impattare inevitabilmente sui conti pubblici. Il maggiore fabbisogno da parte di Regioni deficitarie comporterebbe un aumento dei costi per lo Stato connessi ai LEP, ma ciò sarebbe in contrasto con la prevista clausola della “spesa pubblica invariata”[13].

Il livello di preoccupazione resta, dunque, alto, per l’incertezza di un futuro che potrebbe incidere non positivamente sulla già impervia implementazione del sistema integrato zerosei.

Nel frattempo, non si può che plaudire ad opportunità di ampio respiro europeo ed internazionale che sicuramente permettono di consolidare le professionalità della scuola dell’infanzia, anche in una prospettiva zerosei. Con la speranza che i venti docenti che avranno la possibilità di avvalersi dell’esperienza formativa e di ricerca-azione proposta dall’Unità nazionale eTwinning della Lettonia, possano divenire propagatori di rilancio dal basso, ognuno dal proprio territorio, della scuola dell’infanzia e non solo, in termini di reali contesti a “misura di bambini”.


[1] Cfr. Educazione e cura della prima infanzia. Una sintesi delle politiche e delle pratiche in Europa”, Bollettino Eurydice dicembre 2015

[2] Cfr.  Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2019 relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia.

[3] Lo standard ISCED viene introdotto dall’Unesco fin dagli anni Settanta come strumento statistico, utile per facilitare l’analisi comparativa dei livelli di istruzione della popolazione mondiale. In merito, per approfondimenti, si rimanda a: L. Maloni, R. Seccia, Sistemi educativi dei Paesi dell’Unione Europea, Tecnodid, 2024, pp. 6-7.

[4] Per un approfondimento sui diversi sistemi educativi dei Paesi dell’unione Europea, cfr. L. Maloni, R. Seccia, op. cit.

[5] Cfr. “Un mondo di scuole” Strumenti per la comprensione dei sistemi scolastici stranieri, RUE, Risorse umane Europa. Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.

[6] Cfr. G. Cerini, L’Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, 2021, p, 11 e sg.

[7] Cfr. G. Cerini, op. cit.

[8] Il Dpr 89/2009 (art. 2, co. 2), disciplina la possibilità per i bambini che compiono tre anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento di iscriversi come anticipatari alla scuola dell’infanzia.

[9] Cfr. Report Nidi e servizi educativi per bambini tra 0 e 6 anni: un quadro d’insieme, Istat, Università Ca’ Foscari Venezia, Consorzio MIPA, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche della Famiglia, settembre 2022.

[10] Cfr. Report Istat 2023, in riferimento ai dati relativi all’anno educativo 2021/2022.

[11] Cfr. Openpolis, L’accesso all’istruzione pre-primaria in Italia e in UE, 27 giugno 2023

[12] Cfr. S. Consolo, Autonomia differenziata. È una questione di LEP?,  Scuola7-368, 29.01.2024

[13] L’allarme arriva dall’Ufficio parlamentare di bilancio, cfr. Autonomia differenziata, con i nuovi Lep necessarie più spese nelle Regioni con servizi carenti, fanpage.it, 2 febbraio 2024.