Il reclutamento dei docenti è un problema a carattere internazionale. Il 5 ottobre scorso, in occasione del World Teachers’ Day, cioè la Giornata mondiale dedicata agli insegnanti, la Direttrice generale dell’UNESCO, Audrey Azoulay, ha voluto mettere in evidenza che 44 milioni di insegnanti, di primo e di secondo grado, devono ancora essere reclutati a livello globale per raggiungere gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Secondo Azoulay la scarsa attrattività della professione da un lato arriva a compromettere il reclutamento dall’altro diventa una delle cause di dispersione e abbandono scolastico.
Una professione che rischia il “declino”
Il reclutamento di nuovi insegnanti è oggettivamente uno dei problemi affrontati anche da provvedimenti recenti dei Paesi UE. A livello Europeo sta emergendo in maniera forte la necessità di poter contare su una qualità più alta e uniforme dei processi di insegnamento. Contestualmente stanno emergendo anche le cause che incidono sulla qualità professionale. Insieme alla perdita di attrattività della professione tra le giovani generazioni, bisogna considerare anche l’invecchiamento della categoria e quindi l’eccessiva distanza generazionale, come pure lo spostamento continuo e rapido della domanda da un livello all’altro del sistema educativo e/o verso uno specifico settore disciplinare. Dal momento, quindi, che le esigenze di coprire determinati ordini di scuola non sono costanti, diventa anche difficile una programmazione razionale e a lungo termine, a partire dalla formazione iniziale all’Università. Né si può, conseguentemente, immaginare di intervenire per coprire le carenze attraverso concorsi indiscriminati.
Reclutamento nei Paesi europei
In Europa ci sono tre modalità di reclutamento che caratterizzano aree geografiche diverse:
- assunzioni aperte nei Paesi del Nord Europa;
- assunzioni per iscrizione a domanda (graduatorie comunali e/o nei Länder) solo per posti vacanti in Belgio, Austria, Lussemburgo e Germania;
- assunzioni per concorso nei Paesi ad istruzione centralizzata come Italia, Francia, Spagna, Portogallo.
Comunque, specialmente nei Paesi dell’Europa centrale, si sta progressivamente optando per processi concorsuali più snelli e rapidi che abbiano alla base un utilizzo più trasparente (e crescente) dei crediti universitari a monte. In Francia, per esempio, si fa riferimento a specifici corsi universitari di formazione per futuri insegnanti, uniti a prove (in genere quiz e colloqui) di agevole svolgimento, seguiti da percorsi corroboranti la professionalità in situazione sia iniziale sia in itinere.
Un esempio tra i più recenti, e trasversale a tutti i sistemi educativi UE, è rappresentato dalla qualificazione e dal reclutamento degli educatori laureati (ISCED 5) per il sistema integrato 0-6 o degli ITP (Insegnante tecnico pratico) per il VET (vocational education and training, formazione professionale).
Formazione iniziale e reclutamento nel nostro sistema nazionale
Anche nel nostro Paese questo problema è particolarmente sentito tanto che nel PNRR sono stati previsti sistemi semplificati di reclutamento che serviranno a garantire l’assunzione di 70.000 docenti entro il 2026. Nella Riforma 2.1 si dice infatti: “L’attuale sistema di reclutamento degli insegnanti richiede una revisione finalizzata a poter coprire, con regolarità e stabilità, le cattedre disponibili con insegnanti di ruolo. Tale misura ha l’obiettivo strategico di comportare un significativo miglioramento della qualità del sistema educativo del nostro Paese che non può non passare attraverso un innalzamento delle professionalità del personale scolastico”.
La riforma che consegue a tali indicazioni prevede infatti nuove regole che dovrebbero garantire un percorso formativo più adeguato alle attuali esigenze della scuola. L’articolo 44 del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, convertito con la legge 29 giugno 2022, n. 79 del 29 giugno 2022 prevede:
- un percorso universitario e accademico abilitante di formazione iniziale corrispondente a non meno di 60 crediti formativi universitari o accademici (CFU/CFA);
- un concorso pubblico nazionale, indetto su base regionale o interregionale;
- un periodo di prova in servizio di durata annuale con test finale e valutazione conclusiva (DM 226 del 16 agosto 2022).
Quali saperi per i futuri docenti
Nei commi 1 e 2 dell’art. 1 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59, modificato dalla legge citata si dice: “(…) è introdotto un percorso universitario e accademico di formazione iniziale e abilitazione dei docenti di posto comune, compresi gli insegnanti tecnico-pratici, delle scuole secondarie di primo e secondo grado.
Il percorso di formazione iniziale, selezione e prova, in particolare, ha l’obiettivo di sviluppare e di accertare nei futuri docenti:
a) le competenze culturali, disciplinari, pedagogiche, psicopedagogiche, didattiche e metodologiche (…);
b) le competenze proprie della professione di docente, in particolare pedagogiche, psicopedagogiche, relazionali, orientative, valutative, organizzative, didattiche e tecnologiche, integrate in modo equilibrato con i saperi disciplinari nonché con le competenze giuridiche, in specie relative alla legislazione scolastica;
c) la capacità di progettare (…);
d) la capacità di svolgere con consapevolezza i compiti connessi con la funzione di docente e con l’organizzazione scolastica e la deontologia professionale”.
Dalla formazione iniziale alla formazione continua
È pur vero che il citato articolo 44 innova profondamente le condizioni per accedere all’insegnamento, ma tali innovazioni potrebbero non essere sufficienti se non collegate alla formazione permanente.
Ricordiamo in merito una norma importante contenuta nel comma 124 della legge 107/2015: “… la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al DPR 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione…”.
Recentemente l’articolo 36 dell’ipotesi di accordo del nuovo CCNL del comparto Istruzione e ricerca del 14 luglio 2023 ha ribadito l’importanza di tale concetto (la formazione continua è un diritto e un dovere per il personale scolastico, comma 3) insieme alla necessità di garantire percorsi formativi adeguati nell’orario di servizio (I corsi di formazione organizzati dall’amministrazione a livello centrale o periferico avvengono, di norma, durante l’orario di servizio e fuori dall’orario di insegnamento, comma 5).
Cerca altresì di dare maggiore dignità all’attività formativa anche attraverso un riconoscimento economico (Le ore di formazione ulteriori … sono remunerate con compensi, anche forfettari stabiliti in contrattazione integrativa, a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta, comma 7).
A che punto siamo
La riforma veicolata dalla legge 79/2022 ha bisogno ancora di qualche anno di tempo affinché possa andare a regime. Nel frattempo però la scuola ha bisogno di docenti, subito e ben preparati. Si tratta di gestire bene la fase transitoria. Non ci possiamo più permettere che ad ogni inizio di anno scolastico le scuole si trovino con classi senza insegnanti e con alunni in difficoltà senza sostegno. È un fenomeno che va a ricadere negativamente sulla qualità dell’istruzione perché i giorni che si perdono non si recuperano facilmente e vanno ad influire, soprattutto, sui ragazzi più fragili.
Va inoltre ricordato che con l’adozione dell’Obiettivo 4, “Istruzione di qualità” dell’Agenda 2030, i docenti vengono riconosciuti come soggetti chiave. Il loro impegno è fondamentale per fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti, con l’obiettivo di incrementare il livello di alfabetizzazione globale e ridurre l’abbandono scolastico precoce, di migliorare, quindi, la vita delle persone.
Concorso straordinario TER: la prova scritta
In questi mesi, in attesa che trovino applicazione le nuove norme, si sta gestendo la fase transitoria attraverso un concorso “Straordinario TER”. I posti sono 29.743 di cui 20.101 comuni e 9.641 di sostegno. La procedura è in sintonia con le indicazioni del PNRR e in linea con la maggior parte dei Paesi europei, quindi: rapidità e controllo delle competenze fondamentali per insegnare.
La rapidità è garantita dalla prima prova computer based, valida per tutte le tipologie di posti per le quali il candidato partecipa, ed è articolata in da 50 quesiti di cui:
a) quaranta quesiti a risposta multipla volti all’accertamento delle conoscenze e competenze del candidato in ambito pedagogico, psicopedagogico e didattico-metodologico, così distribuiti:
- dieci quesiti di ambito pedagogico;
- quindici quesiti di ambito psicopedagogico, ivi compresi gli aspetti relativi all’inclusione;
- quindici quesiti di ambito metodologico didattico, ivi compresi gli aspetti relativi alla valutazione;
b) cinque quesiti a risposta multipla sulla conoscenza della lingua inglese al livello B2 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue;
c) cinque quesiti a risposta multipla sulle competenze digitali inerenti l’uso didattico delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali più efficaci per potenziare la qualità dell’apprendimento.
Sappiamo inoltre che ciascun quesito consiste in una domanda seguita da quattro risposte, delle quali solo una è esatta. Ciò significa che il candidato si trova di fronte ad un test chiuso e non ad una domanda aperta, come era nella tradizione concorsuale del nostro Paese.
Le criticità, ma con qualche punto di forza
In genere, le così dette prove a quiz, oggi molto diffuse nei concorsi pubblici, non piacciono ai nostri insegnanti. In passato, le domande si sono rivelate a volte sbagliate, spesso decontestualizzate, qualche volta inutilmente difficili, soprattutto quando la prova concorsuale era preceduta dalla pubblicazione di banche dati.
Una delle maggiori critiche è che i test a risposta chiusa sollecitano solo la memoria e non aiutano il docente a riflettere in maniera adeguata sulla funzione che andrà poi a svolgere.
C’è qualcosa di nuovo con il concorso TER che possa smentire tale giudizio diffuso? Un primo punto di forza è che la mancanza della pubblicazione di una banca dati di migliaia di quiz toglie all’aspirante docente l’obbligo della memorizzazione. Un secondo punto di forza è che i test vertono sulle competenze di base che si richiedono ad ogni docente, e sono quelle pedagogiche, psicologiche, didattiche, metodologiche… cioè quelle stesse competenze previste nella formazione iniziale per l’acquisizione dei 60 CFU. In passato un docente poteva insegnare nella scuola secondaria di primo e di secondo grado tutte le discipline senza alcuna preparazione psico-pedagogica. Oggi questo non sarà più possibile.
In questa fase di transizione, proprio per venire incontro ai bisogni delle scuole, specialmente di quelle del nord del Paese, si sta cercando di velocizzare le procedure e di garantire, per quanto possibile, anche il possesso di quelle competenze peculiari che sono alla base della professionalità di qualsiasi docente, che insegni una disciplina, che si occupi di sostegno didattico, che sia un insegnante tecnico pratico, di scuola dell’infanzia, di scuola primaria o di scuola secondaria. Sarà poi la prova orale ad accertare le conoscenze e le competenze del candidato sulla specifica tipologia di posto per la quale partecipa.