Dobbiamo essere grati a Nicola Serio, pedagogista e uomo delle istituzioni, per essersi sobbarcato il compito non facile di fare il punto su quanti hanno contribuito ad una lenta ma sostanziale trasformazione della scuola della Regione Emilia-Romagna per il carattere “speciale” della sua gente.
Se ci chiediamo perché la regione Emilia-Romagna ha conosciuto, nel giro di un cinquantennio, un cambiamento radicale della sua scuola, senza ricorrere a posizioni rivoluzionarie, dovremo riconoscere il carattere specifico di questa terra, dove gli ideali sociali e politici si sono sempre mescolati agli ideali pedagogici ed educativi, con risultati di grande rilievo.
Una scuola per l’educazione civica
Se c’è una cosa che non appartiene all’identità del popolo emiliano-romagnolo è l’ostentazione di percorsi puramente accademici, che non abbiano rapporti con la realtà regionale. In fondo, la caratteristica più consistente della gente di Romagna è quella di sentire lo stretto connubio esistente tra la volontà di far crescere le istituzioni scolastiche in funzione di un rinnovamento civile e morale, sociale e politico della propria gente. Questa esigenza è stata ben messa in evidenza nel volume “Una scuola sostenibile”[1], l’emblema, cioè, del modello di scuola cresciuto in ambito regionale con il concorso di alcuni “apostoli” del cambiamento, che hanno contribuito al miglioramento dei vari segmenti istituzionali. Quella emiliano-romagnola è stata una scuola per l’educazione civica, prima ancora che una scuola per l’alfabetizzazione culturale.
Cinquant’anni di scuola nella realtà emiliano-romagnola
Le tappe del cambiamento sono state caratterizzate dalla rottura della tradizione autoritaria e dei residui di ideologia fascista che si nascondevano nel modo tradizionale di fare scuola. Bisognava intraprendere una ricerca di modelli democratici, formare “in servizio” il personale, cercare un ruolo nuovo per gli educatori, che non era più da intendere come quello preposto alla “consegna” di saperi, ma come professionalità capace di risvegliare la volontà di apprendere in tutti gli studenti.
A guidare il cambiamento sono state figure di pedagogisti come Don Lorenzo Milani a cui si sono poi ispirate tante persone di scuola lasciando segnali inequivocabili.
Per l’infanzia, alternativo alla scuola agazziana, è stato Loris Malaguzzi che ha raccolto gli stimoli dell’“attivismo pedagogico” e li ha tradotti in un nuovo modello istituzionale come quello di Reggio children dove, la centralità dei bambini è diventata il primo requisito di rinnovamento della scuola dell’infanzia. La legge 444/1968, importantissima per aver istituito la scuola materna statale, era tuttavia un’espressione di un modello tradizionale. La scuola di Reggio-Emilia, nell’arco di pochi anni, è riuscita a creare suggestioni nuove, imitate poi non solo in Italia ma anche a livello europeo ed internazionale.
L’innovazione pedagogica attraverso 8 maestri emiliano-romagnoli
Le otto esperienze descritte nel testo “Una scuola sostenibile”, che dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso hanno contribuito a delineare, nel rispetto della Costituzione repubblicana, le radici del rinnovamento, hanno in comune il riferimento all’attivismo pedagogico, alla pedagogia di John Dewey, alla pedagogia democratica. Nell’intento di smantellare il nozionismo, tipico della lezione frontale, il rinnovamento puntava sulla realizzazione di una scuola centrata sull’“alunno”, di una scuola, cioè, dell’apprendere “attraverso il fare”.
Sono otto i maestri che vengono ricordati nel libro: Gianni Balduzzi, Piero Bertolini, Rita Bonfiglioli, Andrea Canevaro, Giancarlo Cerini, Ennio Draghicchio, Giampietro Lippi, Gianfranco Zavalloni.
Gianni Balduzzi e la pedagogia attiva e interazionista
Fra i pedagogisti emiliano-romagnoli Gianni Balduzzi ha visto in Celestino Freinet, e nel suo metodo della “cooperazione educativa”, un sicuro strumento per realizzare un sapere partecipato e collegiale. Dagli anni ’70 del secolo scorso, contestualmente alla serie di riforme che il nostro Paese stava elaborando, si sperimentavano dispositivi formativi che avrebbero trovato nella pedagogia di Freinet e di Don Milani modalità efficaci per una scuola partecipata e democratica. Il rinnovamento pedagogico nelle scuole dell’Emilia-Romagna non era dettato da ragioni accademiche, ma dalla volontà di creare un modello scolastico in cui le ragioni sociali e territoriali avrebbero dovuto coniugarsi con quelle formative.
Gianni Balduzzi, rifacendosi a Freinet e ad altre “utopie” educative, aveva saputo interloquire con una scuola statica, che risentiva ancora in parte della suggestione del vecchio modello scolastico.
Piero Bertolini e l’approccio fenomenologico
In quegli stessi anni veniva emergendo la proposta di un altro grande pedagogista accademico, Piero Bertolini, che stava promuovendo una riflessione collettiva sulle grandi tematiche pedagogiche, dando vita ad un vero e proprio “manifesto”, alimentato dalla cultura di grandi filosofi europei (Husserl, Heidegger, Gardner). Nel libro “Una scuola sostenibile” si legge: “Piero è stato il primo a introdurre in Italia, in modo sistematico, la corrente fenomenologica in ambito pedagogico… Sostenne la necessità del dialogo con tutte le altre scienze, e non solo quelle denominate dello Spirito”. D’altra partenon si deve dimenticare che il Cenacolo pedagogico bolognese era ben altrimenti alimentato dalla riflessione di altri grandi studiosi, come ad esempio Giovanni Maria Bertin, era strettamente collegato ad un altro intellettuale di grande prestigio, come Francesco De Bartolomeis, mentre, sulla sponda cattolica, anche un grande pensatore come Cesare Scurati stava contribuendo ad alimentare il dialogo “laico”, a partire da studiosi come John Dewey.
Andrea Canevaro e la pedagogia speciale dell’inclusione
La Scuola emiliano-romagnola poteva contare sul piano della pedagogia speciale e dell’Inclusione su un maestro esemplare: Andrea Canevaro. Egli ha saputo superare lo iato fra una scuola selettiva, e aperta solo ai migliori, e un modello capace di accogliere tutte le “persone” con tutte le loro fragilità. Tre erano le parole chiave: inserimento, integrazione, inclusione. Con Andrea Canevaro si è potuto superare gradualmente il modello di una scuola che esclude i più deboli per arrivare ad un modello cooperativo, incentrato su contesti inclusivi, in cui il diritto di cittadinanza non viene negato a nessuno.
Canevaro è figlio della Romagna, ma la sua proposta è stata recepita a livello nazionale, tanto che la “Pedagogia Speciale” da lui proposta è diventata punto di riferimento di tutta la legislazione nazionale ed europea.
Ennio Draghicchio e la pedagogia sistematico-razionale
Ennio Draghicchio, esule della Croazia, approdato a Bazzano in terra bolognese, ha contribuito in maniera fattiva al cambiamento della didattica (in particolare per l’insegnamento della matematica) e dell’organizzazione scolastica. Nella scuola di Spilamberto di Modena, dove ha operato per decenni, è stato determinante per contrastare la didattica ripetitiva, per valorizzare la ricerca e stimolare lo sviluppo della valutazione incentrata sul controllo delle procedure e non solo sui risultati. Come uomo di scuola ha percorso tutti i gradi: da maestro a Ispettore Tecnico e a Provveditore agli Studi. In tutti i ruoli non ha mai smentito il suo credo pedagogico.
Rita Bonfiglioli e la pedagogia vocazionale
Ma il Cenacolo Emiliano-Romagnolo è estremamente molto ampio. Tra uno stuolo non secondario di grandi figure che hanno contribuito a migliorare l’educazione e l’istruzione non solo in Romagna, va ricordata Rita Bonfiglioli, fondatrice della “pedagogia vocazionale” a sfondo epistemologico ed ermeneutico. Prima insegnante di scuola, poi direttrice didattica e ispettrice tecnica è stata promotrice di una didattica incentrata sulla ricerca-azione e sulla pratica di laboratorio. Entrambi gli approcci sono “Magna Pars” del modello pedagogico della scuola emiliano-romagnola.
Giampietro Lippi e la pedagogia istituzionale
Giampietro Lippi proviene anche lui dalla scuola primaria, ma subito destinato ad una carriera di “operatore di innovazione”: è questa, infatti, la cifra distintiva del suo contributo. Lippi è stato, per esempio, l’ideatore del “tempo pieno misto”, in cui la pedagogia veicolata dal modello nazionale andava a coniugarsi felicemente con quella veicolata dai Comuni. Ha dato così inizio ad una svolta pedagogica nel territorio romagnolo, che va sotto il nome di “Pedagogia Istituzionale”, il cui obiettivo restava sempre quello di rendere il soggetto protagonista del suo processo di crescita. Di lui sono noti alcuni interventi come la distinzione fra programmazione (lineare) e progettazione (non lineare); così come l’idea di una progettazione didattica “per sfondi” che valorizza l’importanza del contesto nella crescita della persona. Fra le strategie didattiche utilizzate da Lippi, altrettanto nota è quella della “valigia”, che avrebbe dovuto ricordare la centralità della continuità educativa fra le istituzioni.
Gianfranco Zavalloni e la pedagogia della lumaca
Infine nel libro “Una scuola sostenibile” viene ricordato, per la creatività e l’originalità, Gianfranco Zavalloni. Da insegnante di “scuola materna” a dirigente scolastico non si è lasciato mai soverchiare dagli aspetti burocratici della professione. Ha creduto in una scuola creativa, aperta all’ecologia, alle lingue locali, alla multicultura, alla pace. Ha ideato la sua idea di scuola, la cosiddetta “pedagogia della lumaca”, partendo dalle riflessioni di Loris Malaguzzi, dalle intelligenze multiple di Gardner e dal pensiero complesso di Morin. Perdere tempo e parlare con gli studenti rappresenta la premessa indispensabile per una corretta relazione educativa. L’ascolto è una esperienza fondamentale della didattica e rappresenta la premessa di quell’empatia necessaria per fare dell’insegnamento una relazione di aiuto.
Giancarlo Cerini e il riformismo pedagogico
La parte del volume che pone maggiormente attenzione alla attualità pedagogica e che indica un orizzonte per il futuro della nostra società, è stato scritto dalla figura di Giancarlo Cerini, definito “riformista gentile”.
Giancarlo Cerini non è stato solo un uomo di scuola, ma un grande “utopista” nel senso più nobile del termine. Egli prospetta un progetto educativo che ingloba tutte le intuizioni di pedagogisti e studiosi in una struttura istituzionale in perfetta sintonia con le esigenze della scuola attuale. La sintesi della sua idea di scuola è nel libro, uscito postumo, l’“Atlante delle Riforme (im)possibili” e in particolare nell’introduzione, “Appunti per una strategia sulla scuola”, dove analizza non solo i problemi strutturali e di ordinamento, ma anche la qualità della didattica e le professionalità che servono.
Progetto di comunità
L’idea di scuola che emerge dalle sue ultime opere risultava già evidente nella ferma posizione assunta fin dal 1994, impegnato nella costruzione di un “Progetto di Continuità”, che doveva rappresentare la condizione di base per la realizzazione degli Istituti Comprensivi. Il modello di Istituto Comprensivo, che Cerini aveva in mente, richiedeva il collegamento a un’ampia autonomia ordinamentale e curricolare che prendesse in considerazione la verticalità come punto dirimente dell’esperienza scolastica, anche in vista del futuro riordino dei cicli. La contiguità fra scuola e territorio era la “cifra” più significativa della proposta di Cerini, un vero e proprio “test di pedagogia riformatrice”.
Ballata popolare
Qualsiasi progetto educativo non doveva, però, rivelarsi opera di pochi pensatori, ma opera di tutti. Giancarlo Gerini non credeva alle imprese solitarie, seppure geniali. Credeva che un’idea poteva andare a buon fine solo se diventava patrimonio di tutti. E da qui un’altra bellissima metafora, a lui molto cara, quella della “ballata popolare”, “Un’idea deve diventare una narrazione a più mani, ove anche gli ascoltatori possono diventare narratori, ove i ruoli si intrecciano e si scambiano, in una impresa corale, che viene dunque sentita come propria”. Sono le parole che usava ripetere molto spesso[2].
Pedagogista errante
Per questa sua convinzione ferrea ha speso tutta la sua vita, infaticabile: andava ovunque, grandi seminari dove ad ascoltarlo c’erano migliaia di persone, ma anche in lontane e sperdute contrade della nostra penisola dove era lui che voleva capire quel mondo a lui un po’ più lontano, quello delle persone e delle realtà più fragili, quello delle persone che avevano bisogno di cure speciali. Era il “pedagogista errante” e per questo non si risparmiava: i suoi viaggi massacranti, in treno, in aereo e con tutti i mezzi gli permettevano di spostarsi nella stessa giornata anche in tre regioni diverse. Lui partiva dal presupposto che la scuola non si può permettere di perdere un solo ragazzo e se lo perde la scuola non è più scuola (come avrebbe detto Don Milani)[3].
Animatore pedagogico
Per completare il profilo, occorre non trascurare la sua innata funzione di “animatore pedagogico”. Da qui deriva anche il suo impegno nella costruzione della Biblioteca del CIDI di Forlì, “Biblioteca della Pedagogia del ‘900”, in cui ha raccolto, fra il 1980 e il 2021, le voci più autorevoli: da Petter a Lodi, da Ciari a Canevaro, da Dewey a Bruner, da Vygotskij a Freud, da Don Milani a Scurati, da Morin a Gardner. Il suo impegno andava dalla cura per le Scuole dell’Infanzia e i Nidi, fino a tutte le proposte relative al personale e ai diritti dei bambini. Nel lavoro sul campo sapeva leggere e interpretare, come studioso acuto, i contributi che tutti potevano dare al miglioramento della scuola. Aveva questa grande capacità di dare fiducia alle persone che incontrava, sapeva riconoscere in ognuno i diversi talenti, li stimolava a riflettere sulle cose e sulle idee, e sapeva mettere a disposizione delle persone che incontrava tante opportunità per fare in modo che tutti potessero esprimersi e crescere.
Note a margine
Nel sintetizzare il volume curato da Nicola Serio “Una scuola sostenibile” è utile riflettere sul fatto che il rinnovamento della nostra scuola, a livello regionale e nazionale, è stato perseguito da una équipe di pedagogisti in gran parte provenienti dal ruolo della scuola elementare. Le matrici sono quelle che vanno da Rousseau a Pestalozzi, fino alle voci più recenti di Lombardo Radice, Don Milani, Bruner e Gardner. Grazie a loro è stato possibile tracciare per i giovani un nuovo percorso di crescita che ha saputo collegare le sollecitazioni interiori con le ragioni sociali, politiche e culturali.
[1] Un libro dedicato alla Romagna e alla sua gente
[2] Cfr. L. Campioni, G. Sapucci (a cura di), La bellezza degli inizi, Zeroseiup, 2023.
[3] Ibidem.