Il 4 ottobre, già da alcuni anni, si celebra il “Giorno del dono”. Tale ricorrenza è stata voluta fortemente dall’Istituto Italiano della Donazione (IID) che ha lavorato a lungo perché venisse istituita con una apposita legge. Si tratta dell’articolo 1 della legge 14 luglio 2015, n. 110, resa possibile anche grazie al patrocinio dell’allora presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi: “La Repubblica italiana riconosce il 4 ottobre di ogni anno «Giorno del dono», al fine di offrire ai cittadini l’opportunità di acquisire una maggiore consapevolezza del contributo che le scelte e le attività donative possono recare alla crescita della società italiana, ravvisando in esse una forma di impegno e di partecipazione nella quale i valori primari della libertà e della solidarietà affermati dalla Costituzione trovano un’espressione altamente degna di essere riconosciuta e promossa”.
Un giorno speciale
La data del 4 ottobre, individuata per le celebrazioni del Giorno del dono, era già stata riconosciuta dal Parlamento italiano, dieci anni prima, con la legge 10 febbraio 2005, n. 24, quale “solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse, in onore dei Patroni speciali d’Italia S. Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena”.
Dedicare alla comunità un impegno quotidiano rappresenta il paradigma più elevato del vivere insieme, fare comunità è la chiave del cambiamento sociale. Donare genera virtù, produce valore, conferisce pregevolezza a noi stessi e agli altri, unisce persone diverse e rinsalda i rapporti umani già esistenti, genera benessere psicologico a chi dona e a chi riceve.
È sull’etica del dono che si fonda l’esperienza generativa della famiglia, ma anche la scuola abbraccia il medesimo assunto.
Verso la pedagogia della convivenza
Uno dei principali scopi della formazione scolastica è quello di insegnare ad accettare l’alterità. Alla scuola è riconosciuta una funzione sociale che è quella che conduce verso una pedagogia della convivenza. Alla scuola viene richiesto oggi di educare i cittadini di domani ai principi della cittadinanza planetaria e della convivenza democratica. E per questo è chiamata a riaffermare con chiarezza e vigore i concetti di identità, appartenenza, cittadinanza attiva, perché educare alla convivenza civile, responsabile e matura, significa preparare i giovani all’esercizio consapevole di ruoli diversi che nel corso della vita tutti si troveranno a rivestire.
Educare i giovani ad una progettualità aperta e solidale significa anche allenarne le potenzialità evolutive e adattive, dotandoli degli strumenti idonei per poter leggere, interpretare gli eventi ed orientarsi nelle diverse situazioni che presumibilmente si troveranno ad affrontare nel corso della vita. Impareranno a gestire i momenti critici, le delusioni, le malattie, le perdite affettive. Per affrontare i problemi c’è bisogno di tante capacità adattive e creative.
Saperi ed emozioni
La scuola che ogni giorno viviamo non è quella che trasmette contenuti, ma è quella che costruisce le condizioni affinché si attivino processi generativi, apprendimenti aperti al nuovo e al variabile. L’intervento della scuola deve tendere a costruire una mente capace di rapportarsi con il possibile e di interpretare il pluralismo, l’incertezza e le inquietudini tipiche della complessità del nostro tempo. C’è bisogno, pertanto, di integrare i saperi disciplinari con competenze trasversali: la creatività, la flessibilità, l’apertura mentale, la capacità di argomentare, di interagire, di acquisire consapevolezza delle proprie emozioni. Non siamo solo ragione e pensiero, ma anche cuore ed emozioni. Ed è questo che concorre ad umanizzare l’esistenza di ogni persona.
Se pensiamo, però, ad alcune realtà in cui i giovani sono abituati a soggiacere alla tirannia del superfluo e dello spreco o a considerare la relazione con gli altri in termini puramente strumentali, la pratica del dono sembrerebbe oggi utopistica.
Quando i comportamenti sembrano orientati verso una produttività immediatamente fruibile, verso il soddisfacimento di interessi e desideri personali, diventa difficile pensare che possano diffondersi comportamenti di tipo solidale.
Attitudine alla condivisione
Per fortuna nelle generazioni Alpha, figli dei Millennians, sembra invece predominare l’attitudine alla condivisione che si esplica in inedite forme di integrazione e cooperazione.
Si pensi alle comunità virtuali, alla creazione delle identità sociali declinate attraverso linguaggi che fanno parte della cultura di oggi, ai progetti collettivi virtuali caratterizzati da affinità semantica e prassica.
La diffusa pratica dello sharing, a diversi livelli, potrebbe essere considerata come la principale versione social del dono. Ma, come Hanry Jenkins ha ben messo in evidenza nei suoi libri, “le tecnologie da sole non sono sufficienti a creare una cultura partecipativa. Le persone sono fondamentali”[1]. È solo l’intervento dell’uomo che riesce a far maturare le relazioni e progredire in conoscenze secondo una logica collaborativa. Considerate sotto questo aspetto, anche le reti relazionali digitali – se opportunamente utilizzate – possono diventare potenti alleati per la diffusione di comportamenti solidali.
Ci sono, inoltre, tanti giovani che hanno sostituito le forme di partecipazione politica, tipiche delle precedenti generazioni, con quelle della partecipazione sociale. Sono i giovani che fanno abitualmente volontariato, sono i donatori di sangue e di midollo.
L’educazione come dono e come cura
Compito della scuola è quello di educare a prendere coscienza che il dono arricchisce la vita: l’atto educativo è esso stesso un dono. Si pensi al legame costruttivo che viene a crearsi tra insegnanti e alunni, malgrado l’asimmetria della relazione. La natura relazionale e teleologica dell’azione educativa esalta la valenza del dono.
L’educazione è un termine “lieve”, ma è anche l’espressione della cura finalizzata proprio alla crescita umana e sociale nella sua interezza: è una cura educativa che implica il donare e il donarsi. Prestare attenzione e ascolto agli altri, dedicare loro il tempo necessario, concedere spazio alle emozioni, favorire la contaminazione, il dialogo, l’esplorazione e la scoperta sono aspetti di quella cura che gli insegnanti riservano al loro operare come educatori. Nelle pratiche di promozione dell’incontro e del dialogo lo spirito del dono si realizza attraverso l’apertura all’altro e nell’espansione del proprio sé che si dispone a donarsi.
Sono queste le basi su cui impostare l’azione didattica e la cura educativa. Ed è questo che la pedagogia dovrebbe sempre perseguire. Per dirla utilizzando le parole della pedagogista Maria Chiara Castaldi, è una “educazione del cuore”[2], per coltivare l’esercizio di una spiritualità aperta ai valori e alle risposte etiche.
Aver cura della relazione
Da qui, la necessità di una progettazione educativa che promuova la cura della dimensione profonda del sé e istituisca un alfabeto del cuore, perché tutto ciò che esprimiamo è sempre frutto di un sentire nelle sue diverse esplicitazioni. Un sentire proprio dell’uomo nel suo confrontarsi con sé stesso, con gli altri e con l’ambiente, in seno ad un’ecologia relazionale tesa a favorire la presa di coscienza della propria interiorità, dei propri bisogni e desideri.
Ne discende l’attenzione alla relazione interpersonale come categoria fondativa dell’esistenza umana secondo cui in famiglia, a scuola e in ogni altro contesto di vita, “educare” finisce per coincidere con l’“aver cura della relazione”.
È per questo che la scuola, luogo di incontro, di socialità e di convivenza democratica, è chiamata a costruire ambienti sempre più idonei a sollecitare stimoli che consentano ai giovani di sperimentare nuove relazioni di prossimità, ad acquisire competenze di cittadinanza e a vivere in pieno la democrazia.
[1] H. Jenkins, La cultura partecipativa nell’era della rete, 2016.
[2] M.C. Castaldi, L’educazione del cuore nella società complessa: lasciamo danzare lo spirito, 2013.