Il sistema scolastico italiano ha generato, negli ultimi trent’anni, un’importante riflessione sull’accoglienza, sulla didattica e sull’integrazione dei figli dell’immigrazione. C’è un’ampia diffusione di buone pratiche, di documentazione e di indicazioni operative, come di proposte per verificare la capacità di inclusione nelle scuole, per quanto riguarda il rendimento scolastico e la dimensione relazionale.
La scuola come luogo di incontro
Nel complesso panorama della gestione italiana del fenomeno migratorio, la scuola è da considerare una sorta di “isola felice”. Del resto, la scuola è per tutti il luogo in cui si scoprono davvero gli “altri”, si fanno le prime amicizie, si gioca insieme, ci si guarda con curiosità, a volte con timore o con affetto, e spesso ci si confida con chi è più uguale a te di quanto non sia diverso. Le differenze a scuola sono meno importanti delle somiglianze, della solidarietà generazionale, dell’affermazione delle proprie idee, anche contro gli stereotipi degli adulti.
Per molti genitori immigrati la scuola è anche una certezza di aiuto concreto e sostegno attraverso l’accesso gratuito alle mense scolastiche.
Per molti piccoli migranti, la scuola è una risorsa desiderata e irrinunciabile. Lo racconta l’immagine di Rayane, marocchino di 11 anni, alunno di prima media, cacciato nel luglio del 2019, insieme alla sua famiglia, dal palazzone di Tor Vergata dov’era nato, in uno degli sgomberi “militarizzati”, e ritratto mentre sfila, davanti ai poliziotti schierati, con la sua preziosa pila di libri. E la storia dell’adolescente senza nome, ripescato dal relitto del barcone affondato nel tragico naufragio del 2015, con la sua pagella cucita addosso, è fondamentale per dimostrare il proprio valore nel paese in cui non è riuscito ad arrivare.
Il modello italiano: saperi e relazioni
Anche a livello istituzionale sono stati prodotti numerosi orientamenti, come il primo documento di riferimento su “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri” (Ministero dell’istruzione università e ricerca, 2007) che sistematizza il modello italiano fondato sui due pilastri chiave dell’integrazione e delle pari opportunità per gli allievi stranieri nella prospettiva interculturale dei saperi e delle relazioni scolastiche.
Nel 2010 il MIUR ha emanato la circolare ministeriale n. 2, che fornisce indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana nelle prime classi delle scuole di ogni ordine e grado. Tra le novità di maggior rilievo si registra l’introduzione del limite del 30% di alunni con cittadinanza non italiana. Tale limite, indicato di norma, che entrerà in vigore dall’anno scolastico 2010/2011, “dovrà rapportarsi ai peculiari contesti territoriali e essere opportunamente calibrato sulla base delle località (città piccole, medie, grandi, metropoli, aree extraurbane) e delle situazioni”[1].
Successivamente si è assistito però anche al discutibile inserimento degli allievi stranieri nella categoria di studenti con “Bisogni educativi speciali” (MIUR 2012) e sono state offerte indicazioni per le alunne e gli alunni stranieri non accompagnati nelle “Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e delle alunne fuori dalla famiglia di origine” (2017).
La sfida europea
In questi decenni, in Italia il sistema scolastico e formativo si è confrontato con la sfida europea dell’investimento sul capitale umano, per il rilancio dello sviluppo economico e della coesione sociale, in un continente che ha attraversato nel tempo varie crisi demografiche, socioeconomiche, politiche e migratorie.
Le strategie introdotte nei diversi Paesi UE e anche in Italia, sono andate nella direzione di estendere l’istruzione a tutte le fasce sociali, trattenendo i giovani il più possibile dentro l’esperienza formativa, in modo da innalzarne il livello di istruzione e di garantire un ritorno degli investimenti in termini di competenze spendibili nel mercato del lavoro. Questa sfida, tuttavia, rimane ancora da superare: risulta attualmente molto alta la quota di giovani che abbandonano precocemente gli studi, soprattutto da provenienze che maggiormente soffrono di una bassa qualificazione nell’approcciarsi al mondo del lavoro.
Il “peso” della storia
Non tutto è già stato fatto. Anzi: ci vorrà ancora molto tempo e molto impegno da parte di tutti. Il ruolo della scuola continua ad essere — e sarà — determinante al fine di garantire livelli buoni o almeno accettabili di inclusione e di coesione sociale.
Certamente ha pesato l’orientamento storico nazionale postunitario, che imponeva, dopo “aver fatto l’Italia”, di “fare gli italiani”. In primo luogo, mettendo giustamente, ma spesso anche enfaticamente, al primo posto l’insegnamento della lingua italiana in un paese diviso da rivendicazioni campanilistiche e da un uso diffuso e orgoglioso (forse anche giustamente) dei dialetti.
Allo stesso mandato, ormai interiorizzato nella formazione didattica degli stessi insegnanti, si sono uniformati anche gli insegnamenti della storia, della letteratura, perfino della geografia, tutti improntati a mettere al centro l’Italia o al massimo l’Europa, in un’ottica miope e penalizzante dal punto di vista di una conoscenza e di una cultura più aperte al mondo. E questo ha certamente condizionato il giudizio sul rendimento degli studenti stranieri. I loro talenti, difficili da esprimere, sono stati molto spesso sottovalutati, come pure le loro conoscenze pregresse, compresa quella di un’altra lingua (spesso di più di una). Sarebbe stato, invece, positivo farli condividere agli studenti italiani: il bilinguismo e il cosmopolitismo sono troppo spesso eccezioni.
A ciò si aggiunge un progressivo orientamento politico nazionale verso un’ottica ancora più restrittiva del “prima gli italiani” che, a volte, ha consentito anche abusi incostituzionali da parte delle amministrazioni locali. Un esempio è quello del Comune di Lodi che complicava pretestuosamente l’ammissione dei piccoli stranieri alla mensa scolastica a cui la scuola, peraltro, privilegiando invece il mandato del “prima i bambini”, si è costantemente ribellata.
Un andamento ondivago
È sotto gli occhi di tutti che dall’inizio del secondo decennio del Duemila, il clima sociopolitico italiano ha assunto un andamento ondivago e confuso. È difficile prevedere quali direzioni prenderà. Quel che sappiano per certo (anche come docenti) è che nel corso degli ultimi anni, i messaggi contrari alla costruzione del pensiero interculturale sono diventati piuttosto frequenti, tanto che il rischio di esercitare un’influenza negativa sulla formazione delle coscienze dei cittadini adulti e soprattutto dei minori può diventare reale.
Se il dato quantitativo ci dice che le aule saranno sempre più multiculturali, l’incertezza e la confusione politica che il paese attraversa sembrano collocare su uno sfondo indistinto e lontano (ovvero in una posizione poco importante e priva d’interesse) due caratteristiche concrete e importanti del sistema scolastico italiano, alle quali tanti professionisti faticosamente si sono dedicati negli ultimi decenni: da un lato l’attenzione al pensiero interculturale da co-costruire con gli studenti, tutti, e in tutti i gradi della scolarizzazione; dall’altro, la formazione della competenza interculturale dei docenti.
Stranieri di seconda generazione
La relativa stabilizzazione delle presenze di cittadini non italiani nelle nostre scuole rende ancora più evidente ciò che chi si occupa del tema conosce già molto bene: non è possibile parlare delle scuole multiculturali in Italia in termini di situazione emergenziale e di evento inatteso.
Siamo ormai passati dalle azioni interculturali a un sistema interculturale. Si conferma oggi con maggiore incidenza, il fatto che nelle scuole secondarie di secondo grado arrivano in maniera più massiccia i figli degli immigrati che hanno compiuto il loro percorso scolastico in Italia, e che ora, cresciuti, entrano anche in una dinamica di relazione sempre più stretta con i compagni e approfondiscono la storia e la cultura italiana, senza dimenticare le proprie.
I dati statistici più recenti (la pubblicazione del MIUR, oggi MIM, fa riferimento a dati aggiornati al 31 agosto 2021) ci dicono che Il 9,7% della popolazione scolastica è di origine migratoria. Complessivamente le scuole italiane hanno accolto 8.664.000 studenti, di cui circa 842.000 con cittadinanza non italiana. Sul totale di questi, la percentuale degli “stranieri” nati in Italia è pari al 63,1%[2].
La maggioranza della popolazione scolastica con cittadinanza straniera è costituita quindi da studenti di seconda generazione, cioè bambini e giovani nati in Italia da genitori non italiani.
Una scuola sempre più interculturale
I dati quantitativi del Ministero fotografano una scuola sempre più interculturale, e la pluralità di cittadinanze che si incontrano nelle aule delle scuole italiane testimonia una molteplicità di voci, storie ed esperienze, a partire dalla scuola dell’infanzia fino ad arrivare all’Università.
Le strategie di accoglienza degli stranieri, un tempo incerte, (iniziate nel 1989-1990, con le prime circolari ministeriali sull’inserimento degli alunni extracomunitari), oggi devono imporsi come un modello per l’intero insegnamento. Le migliori esperienze formative mostrano che l’integrazione del pluralismo ha possibilità di successo soltanto nella misura in cui l’intero sistema si apre al cambiamento, e che tutti gli studenti, cittadini e non cittadini, devono poter essere messi nelle condizioni di realizzare appieno le proprie potenzialità.
Alcuni riferimenti bibliografici
Colucci M., Storia dell’immigrazione straniera in Italia, dal 1945 ad oggi, Carocci, 2018.
De Robertis P., Migranti SPA. Il business dell’immigrazione: cifre vittime e carnefici, Rubbettino, 2018.
Golini A., Lo Prete MV., Italiani poca gente. Il Paese ai tempi del malessere demografico, Luiss, 2019.
Marazziti M., Porte aperte. Viaggio nell’Italia che non ha paura, Piemme, 2019.
Pagnoncelli N., La penisola che non c’è. La realtà su misura degli italiani, Mondadori, 2019.
Pugliese E., Quelli che se ne vanno, la nuova emigrazione in Italia, Il Mulino, 2018.
Strozza S., De Sanctis G. (a cura di), Rapporto sulla popolazione. Le molte facce della presenza straniera in Italia, Il Mulino, 2017.
[1] MIUR CM n. 2 dell’08/01/2010 Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana.
[2] I Paesi maggiormente rappresentati sono Romania (18,8%), Albania (13,6%), Marocco (12,3%) e Cina (6,3%). Il dato nazionale del 9,7% di alunni di origine migratoria riassume una distribuzione territoriale tutt’altro che omogenea. La Lombardia è la Regione con il più alto numero di studenti con cittadinanza non italiana (213.153), circa un quarto del totale presente in Italia (25,3%). Le altre Regioni con il maggior numero di studenti stranieri sono Emilia-Romagna, Veneto, Lazio e Piemonte, che ne assorbono una quota compresa all’incirca tra il 9% e il 12%.