Il saggio di Don Milani “L’obbedienza non è più una virtù “è composto dal Comunicato stampa dei cappellani militari toscani, dalla risposta di don Milani e dall’autodifesa ai giudici.
Nel riscontro alla presa di posizione dei cappellani, il Priore di Barbiana affonda fin dalle prime parole un deciso attacco ai soliti discorsi retorici, quali l’esaltazione della Patria, il sacro dovere di difenderla… “Se voi – afferma don Lorenzo – avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.
L’Italia ripudia la guerra
Per dare forza alle sue argomentazioni, pone i cappellani di fronte all’articolo 11 della Costituzione (l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…) e all’articolo 52 (La difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge…).
È legittimo ubbidire agli ordini, si chiede don Milani, anche quando al soldato viene chiesto di sganciare bombe sui civili?
Dopo una disamina delle guerre dell’Ottocento e del Novecento, conclude la risposta ai cappellani con queste parole: “Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verità e l’errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima”.
… e le guerre continuano
Le parole di don Milani risuonano oggi come un monito di disarmante attualità. Infatti, la guerra,
anche se ripudiata in tutte le sue forme dalle Convenzioni, dalle Dichiarazioni e dai Trattati internazionali, è tornata a insanguinare la terra nel cuore dell’Europa.
L’ennesima barbarie si consuma con indicibile violenza alle porte delle nostre case: in Ucraina le armi seminano morte, distruzione, miseria e tante vittime innocenti. Non a caso l’articolo 11 costituzionalizza il principio secondo il quale l’Italia ripudia la guerra in tutte le sue forme, riferendosi in particolare alla guerra offensiva. Ma don Milani non fa differenza tra guerra offensiva e difensiva. Come sostiene Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: “bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale” (Papa Francesco, 2020).
Una visione profetica
Gli stessi padri costituenti hanno stabilito con estrema chiarezza la predominanza del diritto sulle ragioni della guerra, indicando uno strumento: la limitazione di sovranità in vista della costruzione di un ordinamento internazionale a difesa della pace.
Le idee espresse da don Milani, sessant’anni fa, nella risposta ai cappellani militari sono oggi un patrimonio ampiamente condiviso. Ancora una volta egli dimostra di possedere uno sguardo lungo sui problemi che i popoli vivono. Secondo don Raffaele Bensi, figura centrale della chiesa fiorentina, egli aveva una vera e propria visione profetica.
Il senso della legge
Non potendo a causa delle gravi condizioni di salute recarsi personalmente all’udienza in tribunale, nell’ottobre del 1965 il Priore scrive ai giudici la sua autodifesa. Si tratta di uno dei testi più profondi che siano stati scritti in materia di educazione. Chiarisce subito che egli rispetta totalmente la funzione della magistratura; anzi, sottolinea che gli sta particolarmente a cuore imprimere ai suoi ragazzi “il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini”. Precisa inoltre che le affermazioni che svilupperà nella lettera “toccano da vicino” la sua persona non solo di maestro ma anche di sacerdote. La prima, in particolare, occupa buona parte della sua autodifesa.
“Me ne importa, mi sta a cuore”
“La mia – racconta ai giudici – è una parrocchia di montagna. Quando vi arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati. Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa”.
Illustra poi ai giudici le caratteristiche della sua scuola: “12 ore al giorno, per 365 giorni l’anno. Lo stesso orario che i ragazzi facevano quando erano a lavorare nei campi. Nessuno aveva niente da ridire se da mattino a sera sgobbavano per procurare lana e cacio a quelli che stanno in città. Ora quell’orario glielo faccio fare a scuola e dicono che li sacrifico”.
Ricorda poi che su una parete della scuola c’è scritto in grande “I care”. È il motto intraducibile dei giovani americani migliori: “Me ne importa, mi sta a cuore”. È il contrario esatto del motto fascista “Me ne frego”.
La storia delle guerre combattute dagli Italiani
Nel momento in cui maestro e alunni di Barbiana leggono il comunicato dei cappellani militari, comincia una ricerca ampia e approfondita sulla storia delle guerre combattute dagli italiani per oltre un secolo, partendo dalla terza guerra di indipendenza del 1866 fino a giungere alla distruzione di Hiroshima, causata dagli effetti nefasti della bomba atomica sganciata dagli americani. “A questo punto – si interroga don Milani – mi occorre spiegare il problema di fondo di ogni vera scuola”.
Siccome era accusato di apologia di reato, egli sviluppa una serie di considerazioni su che cosa debba intendersi per “buona scuola”. Precisa innanzi tutto che il mestiere dei giudici è diverso da quello degli insegnanti. I magistrati, infatti, devono giudicare con leggi non sempre giuste, come nel caso di coloro che hanno pronunciato sentenze di condanne a morte.
Cosa si intende per “buona scuola”
Scrive nell’autodifesa che “se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero, dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva.
La scuola, infatti, diversamente dall’aula di tribunale, è l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio; da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè in senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione)”.
Don Milani si rivolge ai giudici dicendo che egli insegna ai ragazzi la virtù di “tenere in onore” le leggi e di osservarle quando sono giuste. Mentre, quando non sono giuste, come nel caso della condanna degli obiettori di coscienza, egli educa i suoi alunni a “battersi perché siano cambiate”.
Chi è il vero maestro
Ad un certo punto della sua autodifesa, il Priore con poche ma graffianti pennellate delinea la funzione dell’insegnante. Ai giudici dice: “Il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i “segni dei tempi”, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso. Pertanto, anche il maestro, come la scuola, esce in qualche modo dall’ordinamento della magistratura. Condannare un maestro è come attentare al progresso legislativo. Del resto – sottolinea sempre don Milani – ho tirato su degli ammirevoli figlioli. Ottimi cittadini e ottimi cristiani. Nessuno di loro è venuto su anarchico. Nessuno è venuto su conformista. Informatevi su di loro. Essi testimoniano a mio favore”.
Ci sono anche i cattivi maestri
A sostegno che difendere l’obiezione di coscienza non è reato, egli rilegge ai giudici l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberà degli altri popoli”, sottolineando che, a proposito di guerre, nella scuola italiana hanno operato anche cattivi maestri. A sentir loro tutte le guerre erano “per la Patria”. Ma non è così.
Don Milani porta come esempio la terza guerra di indipendenza (1866), la strage di Bava Beccaris che nel 1898 prese a cannonate a Milano “una folla di mendicanti”, la guerra di Libia del 1911, la prima guerra mondiale, la conquista fascista dell’Etiopia, il sostegno italiano alla guerra civile spagnola, la seconda guerra mondiale. In tutte queste guerre, l’Italia ha fatto di tutto fuorché difendere la Patria. L’unica guerra “giusta”, afferma don Milani, fu quella partigiana, dove molti soldati “avevano obiettato”.
Pertanto, egli difende strenuamente la sua funzione di maestro, anche quando si è impegnato ad insegnare ai suoi ragazzi che “l’obbedienza non è più una virtù”.
A questo proposito, ammonisce don Milani: “Non esiste obbedienza vera, profonda, non formale, senza disobbedienza come processo critico di assunzione di responsabilità”.
L’assoluzione, la condanna, l’amnistia
Dopo l’assoluzione in primo grado, il priore di Barbiana fu poi condannato nel processo di appello, tenutosi nell’ottobre del 1967. La pena però venne estinta per la morte del “reo” avvenuta il 26 giugno dello stesso anno.
Ad essere condannato fu invece il direttore di “Rinascita”, Luca Pavolini. Cinque mesi e dieci giorni! Ma i giudici non si accorsero che la condanna veniva a cadere sotto l’amnistia. Amnistia applicata dalla stesa Cassazione!
Alcuni riferimenti bibliografici
Papa Francesco, Fratelli tutti. Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Edizioni San Paolo, Roma, 2020.
Don Lorenzo Milani, L’obbedienza non è più una virtù, Tipografia Giostrelli, Perugia, 1971.