Il mese di febbraio 2023 passerà forse alla storia della scuola italiana per gli episodi di violenza nei confronti degli insegnanti e del personale scolastico: aggressione fisica, attacchi verbali, atteggiamenti minacciosi da parte di studenti e anche dei genitori, che si consumano nei luoghi più “sacri” destinati all’insegnamento e alla relazione. Tali episodi hanno interessato la stampa nazionale e l’opinione pubblica, anche grazie a molti insegnanti che hanno trovato il coraggio di affrontare questa situazione che sembrava destinata a diventare regolare routine.
I comportamenti lesivi della dignità e dell’integrità del pubblico dipendente
Attraverso la stampa e i social vengono descritti episodi che appaiono incredibili ma veri, di fronte ai quali la maggior parte dei cittadini esprime sdegno, meraviglia e stupore. A favore delle intemperanze vengono elencate le più ampie giustificazioni tra le quali la più scontata è quella che assegna agli anni della pandemia e del lock down il nesso di causalità per comportamenti inaccettabili. “Sono stati anni difficili” è l’espressione di coloro che vogliono giustificare tali comportamenti come se l’intemperanza e la maleducazione fossero le logiche e naturali conseguenze del periodo pandemico.
La nota dell’8 febbraio del 2023 (prot. n. 15184) del Ministro Valditara ha proprio per oggetto “Episodi di violenza nei confronti degli insegnanti e del personale scolastico”. Interviene, in maniera risoluta, sui recenti, allarmanti aumenti di episodi di violenza a danno del personale scolastico e, in particolare, del personale docente.
Le aggressioni verbali, quelle perfino fisiche, gli insulti, le ingiurie, le minacce, le vessazioni e le diffamazioni rappresentano reati reiterati lesivi della dignità di docenti, personale scolastico e dirigenti scolastici.
Cosa dice la legge in merito
Sul piano della responsabilità penale occorre fare riferimento all’art. 341 bis del Codice Penale che così recita: “Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (…). Ove l’imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell’ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto”.
Bisogna chiarire, però, che l’estinzione del reato opera in presenza di un possibile risarcimento del danno e che detto risarcimento deve essere diretto non solo al soggetto passivo, ma anche all’ente cui questo appartiene, nel caso specifico il Ministero dell’istruzione e del merito.
Sempre sul piano della responsabilità penale, laddove siano state provocate lesioni in seguito a percosse o violenza fisica, viene applicato il dispositivo dell’art. 590 Codice Penale: “Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309. Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239. (…)”.
Peraltro la lista dei reati che possono essere commessi nei rapporti con i pubblici ufficiali o incaricati di pubblici servizi è piuttosto articolata, comprende ad esempio la diffamazione, la violenza privata, la violenza o minaccia per costringere ad atti contrari al proprio dovere.
Sul piano della responsabilità civile vale il principio del “Neminem ledere” inteso come responsabilità extracontrattuale (detta anche “aquiliana”) che insorge quando un soggetto, in violazione del suddetto principio (già conosciuto dal diritto romano e dalla Lex Aquila de damno), provoca ad altra persona un danno ingiusto, con conseguente obbligo al risarcimento del danno stesso. L’ipotesi è fondata sull’art. 2043 del Codice Civile: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Il Ministro chiama l’Avvocatura a supporto
Il Ministero intende ricondurre il trattamento di queste evenienze, sempre più frequenti, alla competenza del patrocinio mediante la diretta rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato.
Ad essere chiamato in causa è l’articolo 44 del Regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 laddove disciplina la diretta rappresentanza dello Stato mediante l’Avvocatura generale.
Il dispositivo datato ma, a quanto pare, ancora attuale, dispone che “L’Avvocatura dello Stato assume la rappresentanza e la difesa degli impiegati e agenti delle Amministrazioni dello Stato […] nei giudizi civili e penali che li interessano per fatti e cause di servizio, qualora le amministrazioni o gli enti ne facciano richiesta, e l’Avvocato generale dello Stato ne riconosca la opportunità”.
Quindi, secondo le indicazioni del Ministro dell’istruzione e del merito, ogni qual volta si verifichino le condizioni, l’Avvocatura dello Stato assumerà la rappresentanza e la difesa di un dipendente dello Stato, laddove ricorra piena coincidenza tra la posizione del dipendente medesimo e quella dell’Amministrazione senza che possano ipotizzarsi posizioni di conflitto di interesse.
Quando a carico del personale della scuola vengano posti in essere atti con rilevanza penale, che abbiano causa e conseguenza nell’esercizio delle funzioni legate al rapporto di lavoro, essi potranno essere assunti in carico dalla competente Avvocatura. Parimenti in caso di idoneità a fondare ipotesi di risarcimento a titolo di responsabilità civile, potrà essere attivata medesima tutela in favore del dipendente.
Il vetusto art. 44 prevede altresì che qualsiasi tutela nei confronti del personale sia assunta su richiesta inoltrata dalla pubblica Amministrazione di appartenenza, in esito alla domanda del dipendente interessato e previa valutazione di opportunità del competente avvocato dello Stato.
Il Ministero appare deciso tanto da indicare una procedura uniforme per l’attivazione del procedimento di patrocinio non senza tener conto della peculiare articolazione organizzativa dell’Amministrazione scolastica.
I passaggi indispensabili
Si ritiene opportuno, per agevolare la lettura, schematizzare la procedura prevista per il corretto trattamento dei casi in cui ricorre la possibilità di patrocinio diretto dell’Avvocatura dello Stato, cioè per casi di qualunque natura che prefigurino la violazione della dignità e della integrità di un docente o altro pubblico ufficiale nell’espletamento delle sue funzioni.
1. Il Dirigente scolastico, ricorrendo i presupposti:
- riceve l’istanza del dipendente corredata di ogni utile documentazione (denuncia, querela, verbale redatto dalle forze dell’ordine, ecc.…), comprensiva di apposita autorizzazione dell’interessato al trattamento dei dati personali necessari ai fini della tutela giudiziale;
- inoltra tempestivamente al competente Ufficio Scolastico Regionale, accompagnata da idonea relazione sui fatti e da ogni altro documento ritenuto utile alla disamina della richiesta di patrocinio erariale e, conseguentemente, ad escludere la possibilità di richieste palesemente infondate e temerarie.
2. Il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, espletata l’ulteriore attività istruttoria resasi eventualmente necessaria:
- effettua una prima valutazione amministrativa della ricorrenza dei presupposti per l’attivazione della tutela accordata dall’art. 44 del R.D. n. 1611/1933;
- trasmette, con urgenza e comunque non oltre 10 giorni dal ricevimento dell’istanza, la documentazione al Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione.
3. Il Dipartimento provvede a formalizzare la richiesta di patrocinio all’Avvocato Generale dello Stato. La valutazione e la verifica circa l’opportunità e i presupposti per concedere il patrocinio resta in carico all’Avvocato Generale ex art. 44, del R.D. n. 1611/1933. Il giudizio attivato seguirà le ordinarie regole della competenza e, pertanto, sarà poi seguito dalle Avvocature distrettuali competenti, con le quali il dipendente si rapporterà per gli ulteriori seguiti.
È il deterrente giusto?
Il disagio dei pubblici dipendenti sottoposti a episodi violenti e le implicazioni di natura civile e penale che spesso ne derivano sono la punta di un iceberg che rappresenta un rapporto con la scuola non più fondato su fiducia, rispetto, valori e gerarchie funzionali. Lo Stato deve tendere una mano ai suoi docenti, persone che meritano rispetto e desiderano agire con serenità e con autonomia.
Tuttavia, il provvedimento del Ministero dell’istruzione e del merito utilizza un dispositivo normativo di un secolo fa per risolvere problemi della contemporaneità. Siamo sicuri che il deterrente giusto per chi adotta comportamenti violenti sia sapere che il danneggiato non paga l’avvocato ma è lo Stato a pensarci? Sono comportamentali che hanno radici profonde, sicuramente non facili da affrontare. Ma la scuola, gli insegnanti, gli studenti hanno bisogno di uno sguardo lungo, strategico, prospettico, senza voler minimizzare il Regio Decreto.