Si riporta un estratto dell’autobiografia che Umberto Crusco aveva iniziato a scrivere.
“Non ho mai fatto una ricognizione globale della mia esistenza: è fatta di tanti episodi che non sono mai riuscito mentalmente a sistemare perché non mi interessa: il vissuto per me è vissuto, è fatto di episodi. Allora di tanto in tanto mi vengono in mente cose che andrebbero dette, andrebbero ricordate con più precisione… Io penso ancora di quando ero ragazzo”.
Le origini
Umberto Crusco, nasce nel 1930 da una famiglia molto modesta, composta da padre ferroviere e madre casalinga: “Considera che io sono il quarto di otto figli e quando a casa si mangiava tutti assieme e qualcuno si esprimeva in italiano, gli altri rimanevano con il cucchiaio sospeso perché dicevano «ma chiste che sta dicenne!». Questa difficoltà linguistica me la sono portata per un lungo periodo!”.
A dieci anni termina le scuole elementari con un regolare percorso di studi. Siamo quindi nel 1940 e da quel momento fino al ’45, cioè nel periodo in cui la persona si forma, Umberto attraversa cinque anni di guerra tra bombardamenti, pericoli e il disastro maggiore: la scuola. In soldoni il giovane adolescente si ritrova nel 1945 senza la licenza media: “Ero un totale ignorante; mi esprimevo nel solo dialetto napoletano, anticipando di settanta anni i desiderata leghisti”. I nostri nonni lo affidano ad un conoscente istruito che lo prepara alla meno peggio e nonostante un esame disastroso, con un’efficace raccomandazione, Umberto consegue da privatista la licenza media in una scuola in provincia di Avellino. Ancora i nonni, a sua insaputa, lo iscrivono all’Istituto Magistrale Pimentel Fonseca: “Io a scuola non ci andavo mai, steve sempe ’a fá filone, passavo le mie giornate tra Piazza del Gesù Nuovo e il decumano. Una volta, dopo un’assenza di venticinque giorni, convinsi la mia povera mamma, ignara, a redigere una giustificazione unitamente a un suo documento di riconoscimento. Il preside non volle sentire ragioni e mi disse: «Dopo un mese di assenza, vai via, devi venire accompagnato». E io dissi: «Preside, ho portato la carta ‘dindentità’». Il preside incavolato e sbalordito mi condusse in giro per le classi e mi fece ripetere davanti a tutti gli studenti lo sproposito, additandomi come l’asino della scuola”.
Naturalmente bocciato a giugno, Umberto ripete il primo anno presso l’Istituto Margherita di Savoia conseguendo nel 1950 l’abilitazione magistrale, abilmente guidato da un compagno sgobbone, figlio di un portiere, di origine proletaria come lui, che in seguito diventerà suo cognato, nonché suo valido collaboratore: Pellegrino Sarno. Giovane assetato di cultura che nonostante l’acerba età ha già letto Marx e, in soli due giorni “Via col Vento”, guadagnandosi a scuola il soprannome di “’o filosofo”, si distingue per il suo attaccamento allo studio e per la sua eccellenza scolastica. Pellegrino abita in Corso Umberto e Umberto si ritrova ad accompagnarlo a casa dopo scuola per imparare, attraverso lunghe passeggiate e stimolanti conversazioni, la lingua italiana: “Si parlava di tutto… del difficile periodo che avevamo vissuto, degli innumerevoli problemi che incombevano sulla nostra epoca, di politica e dei grandi partiti. Mi correggeva quando mi esprimevo «sgrammaticando» e mi aiutava nell’eseguire i compiti di scuola. Mi consigliava e mi forniva i primi testi. Una serie di pubblicazioni edite dagli Amici del Mondo furono le mie prime letture impegnative, come «I padroni del vapore», «La lotta contro i monopoli», «La famiglia e il divorzio». Poi autori come Pirandello, Sciascia, Levi, Vittorini…”.
Pellegrino Sarno, vincitore del premio Viareggio o. p. nel 1973, è stato quindi per Umberto un valido maestro, una esemplare guida nel percorso che lo ha condotto al conseguimento del diploma magistrale, ed Umberto gli sarà sempre molto riconoscente.
Dal conseguimento del diploma magistrale si sperimenta in una miriade di mestieri tra cui l’operaio alla mostra d’Oltremare – appena aperta – dove svolge lavoro di manovalanza, portando la carriola e scaricando pietre. Numerose le esperienze come commesso presso alcuni negozi e fattorino presso altre ditte. Infine si arruola nell’Aeronautica, anche per assecondare un segreto desiderio infantile, sperando di essere assegnato a Gioia del Colle, vicino Bari. Con sua grande delusione lo spediscono a frequentare il corso di pilotaggio in Sardegna.
Il caso
La grande sensibilità al fascino femminile lo spinge a presentare la domanda di partecipazione al concorso magistrale a Potenza, dove risiede la sua fidanzatina. “Allora esistevano le classi condotte da maestri e le classi condotte da maestre; erano pochi gli uomini che partecipavano al concorso magistrale e quindi c’era il 90% di possibilità di vincerlo. Insomma andò benissimo, io fui ammesso agli orali e superai il concorso anche grazie ad un professore di filosofia cieco che, incuriosito dalla divisa di pilota con l’aquiletta che indossai all’esame, invece di interrogarmi, volle sapere della mia vita, della mia esperienza in Sardegna. Vinto il concorso, preferii lasciare l’Aeronautica dopo tre mesi e dedicarmi al posto fisso: il maestro di scuola”.
Così Umberto si ritrova catapultato dalle stelle dell’Aeronautica alle stalle di una località della Basilicata, Guastapane, frazione di Muro Lucano, ad insegnare in una scuola pluriclasse: “Si trattava di una isolata scuola di montagna, dove convergevano una quindicina di bambini, di varie età, provenienti dai casolari circostanti. In un’aula stamberga ricevevo all’alba i miei «allievi» che arrivavano con la bottiglia di latte e con le uova. Il mio giaciglio era posto in un angolo dell’aula riparato da un telo sostenuto da una cordicella. La scuola, sempre aperta, era meta di giovani contadinotti che durante le lunghe serate mi tenevano compagnia e, alla luce di una lampada alimentata da acetilene e con il calore del camino sempre acceso, si trascorrevano le ore parlando di tutto, a volte preparando anche da mangiare. Sono stato lì sei, sette mesi”.
A febbraio la “Provvidenza” manda una nevicata eccezionale che paralizza ogni attività: i contadini non vanno al lavoro e gli alunni non vanno a scuola. “Rimasi isolato e incautamente mi avventurai verso il più vicino casolare ma la neve aveva del tutto coperto ogni traccia di sentiero, per cui finii in un fossato e persi conoscenza”. Umberto viene raccolto dai contadini che, privo di sensi, lo portano in una casa rurale e lo strofinano col petrolio con energici massaggi contribuendo alla sua ripresa. Traumatizzato dall’esperienza decide di abbandonare la scuola e di ritornare a Napoli senza aver cura di preavvertire nessuno: “Là ero solo, non c’era mai stato un maestro di ruolo perché ero stato il primo ad essere assegnato in una scuola del genere. Quando son ritornato a Muro Lucano dopo oltre dieci giorni di “vacanza”, il dirigente scolastico del paese vicino pensava che fossi rimasto bloccato in montagna per tutto il tempo della mia assenza e mi volle accordare un’altra settimana, senza sapere che ero appena rientrato da Napoli. Durante questa sosta avevo quasi pensato di rinunciare all’insegnamento, ma anche allora il posto fisso rappresentava l’obiettivo di tanti giovani e così decisi di rientrare in servizio. Il mio esilio durò ancora alcuni mesi e la chiusura dell’anno scolastico mi riportò nuovamente nella «civiltà». Inoltre feci un opportuno matrimonio segreto – fu così segreto che non mi ricordo neanche quando avvenne – perché mi serviva il punteggio per riavvicinamento”.
Difatti Umberto, attraverso le nozze con il suo primo amore, riesce ad ottenere il trasferimento ad Acerra dove trascorre altri cinque anni in sofferenza, perché impiegato in una professione né scelta, né vocata: “La mia attività di maestro si svolgeva metodicamente, senza entusiasmi e senza prostrazioni. Svolgevo il mio lavoro con diligenza ed assiduità, così come avrei potuto svolgerne tanti altri. Ho sempre amato i bambini ma non mi sono mai sentito un educatore”. Passati ad Acerra i cinque anni necessari a completare un intero ciclo – dalla prima alla quinta elementare – ne trascorre altrettanti a Secondigliano, nel popolare rione di San Gaetano, provando un disagio sempre crescente: “Vedevo tutti i maestri che venivano a scuola con una borsa a retino per fare la spesa dove c’era più convenienza. Le condizioni economiche non erano tanto floride, lo stipendio non consentiva ampie possibilità nonostante in casa si lavorasse in due (anche mia moglie faceva la maestra). La mia vita trascorreva con molta monotonia. A parte il calore della famiglia ormai consolidata (quattro figli: Antonio, Fabio, Alessandro e Gabriella, fortemente attesa) avevo e frequentavo pochi amici. Cominciai a sentire molto disagio e cercavo una via d’uscita, una attività integrativa che ci consentisse di vivere più agiatamente e di liberarmi dai ricordi tristi e angosciosi della mia infanzia e della mia adolescenza: la guerra, la fame, le privazioni”.
La sfida
“Cosa debbo fare?”. Si chiede Umberto adulto. “Nonostante avessi ottenuto l’avvicinamento alla mia città, avevo questa esigenza di fare qualcosa, di uscire da questa mediocrità. Mi ricordai di aver conosciuto a Potenza, durante il concorso, un funzionario del Provveditorato che si era trasferito a Napoli e andai a fargli visita per ringraziarlo del notevole aiuto che mi aveva dato”.
Il funzionario in questione redige un giornaletto chiamato «l’Informatore Scolastico» che pubblica quindicinalmente: raccoglie notiziole sul mondo della scuola, norme che vengono emanate dal Ministero e che costituiscono informazioni utilissime per gli insegnanti (concorsi, supplenze, trasferimenti), delegando alla vendita il custode del Provveditorato di Napoli a Santa Maria La Nova. Umberto non si lascia sfuggire l’occasione e gli offre la sua collaborazione, che risulta ben accetta in quanto la sua funzione di funzionario non è compatibile con un’attività commerciale e per di più nell’ambito della sua sede di servizio: “Il tempo libero che mi consentiva la scuola e la necessità di occuparlo proficuamente mi spinsero ad una intensa attività. Quindi cominciai a girare per le scuole e portavo ogni sera un bel gruppo di abbonamenti. Intanto mi ero trasferito a Napoli, nel popolare quartiere di Montesanto, e avevo scelto di prestare servizio nelle ore pomeridiane (la carenza di edifici scolastici imponeva il doppio turno nella maggior parte delle scuole). Nelle ore del mattino visitavo le scuole e sottoscrivevo abbonamenti, seguivo i lavori in tipografia e incrementavo la vendita nelle librerie e nelle edicole dislocate in varie città (dalla Sicilia alla Lombardia, dalla Liguria alla Puglia)”.
In breve, Umberto dà vita ad una redditizia attività della quale comincia a ritenersi «socio di fatto». Col tempo iniziano a crearsi le prime divergenze sulla conduzione e gestione della società dalla quale, dopo ben 7 anni di collaborazione, Umberto sarà estromesso, complice la pubblicazione giuridicamente risultante di proprietà di un “prestanome”, amico del suo socio di fatto, che fungeva altresì da direttore responsabile della rivista. “Gli abbonamenti fioccavano. Evidentemente il mio socio aveva subodorato l’affare che si poteva fare. Insomma, ci rompiamo”.
Umberto decide allora di creare un nuovo giornale, costituendo una società (l’attuale Tecnodid), con l’intento di continuare da solo l’attività editoriale. “Ormai ero diventato un esperto, i rapporti commerciali con i numerosi clienti disseminati su tutto il territorio nazionale erano stati sempre da me gestiti, così come i rapporti con le tipografie e con i nostri fornitori. In breve tempo, quindi, feci un boom eccezionale perché cominciai a pubblicare con maggiore attenzione le varie notizie. Entrarono con me a collaborare una mia sorella, «Titina», e mio cognato, Pellegrino Sarno, già iscritto all’albo dei giornalisti. Richiedemmo l’autorizzazione per pubblicare un quindicinale «L’Informatore della Scuola»”. Il suo ex-socio lo denuncia per plagio, (intraprendendo un’azione legale durata venti anni) e gli fa chiudere bottega, ordinando la soppressione della testata e la distruzione di tutti gli opuscoli fino ad allora pubblicati. Ma Umberto non si scoraggia: “Conoscevo tutta una serie di clienti sparsi per l’Italia e trasformai l’Informatore della Scuola in «Notizie della Scuola» comunicandolo ai miei vecchi acquirenti. Diedi inizio ad una spietata concorrenza. Contattai alcuni funzionari del Ministero e, ottenuta la loro collaborazione, la rivista conquistò da subito un carattere «specialistico»”.
Siamo negli anni in cui il nostro sistema scolastico subisce cambiamenti notevoli: i Decreti Delegati, le ordinanze, le circolari danno molto lavoro alla casa editrice che si vede costretta ad impiantare un vero e proprio ufficio e assumere personale. La sede diventa quella attuale di Piazza Carlo III, logisticamente valida per tutti i servizi necessari (autostrada, aeroporto, stazione ferroviaria, tipografia). “A mio figlio primogenito Antonio, a mia sorella e all’amato cognato, si affiancarono un giovane ragioniere, Pietro, figlio di un mio collega di scuola; Lucia, un’amica presentatami da un mio figliolo, alla quale affidai il compito di gestire gli abbonati; Salvatore, recuperato in una tipografia fallita, che svolge funzioni di magazziniere; infine Peppino Coviello, segretario della mia ex-scuola, posto in pensione per raggiunti limiti di età. Ex-scuola perché, avendo maturato sufficienti anni di servizio per aver diritto a pensione, avevo presentato le mie dimissioni”.
Le prime grandi soddisfazioni
Notizie della Scuola comincia ad avere una grande diffusione: “Le ordinanze che venivano emanate erano da noi pubblicate tempestivamente e corredate da approfonditi commenti e suggerimenti. All’epoca fu bandito un maxi-concorso per l’assunzione di insegnanti nelle scuole medie e superiori. Parteciparono al Concorso migliaia di candidati ai quali potemmo fornire il bando, i corposi programmi di esame e la modulistica”. Successo economico notevole che consente nel 1974 a Umberto Crusco di offrire a tutte le scuole d’Italia in omaggio la pubblicazione quindicinale per un intero anno. “Dopo due anni già contavo oltre tremila abbonati sicuramente sottratti alla odiata concorrenza”.
“La tempestività ma ancor più la correttezza dell’informazione hanno sempre rappresentato gli elementi chiave del nostro successo. Quindi, nessuna festività da rispettare obbligatoriamente e nessun rinvio a domani: ricordo con amarezza il giorno in cui morì mia madre quando, dopo i funerali, dovetti tornare in tipografia e completare un lavoro urgente”.
“Quanto alla correzione delle bozze provvedevo personalmente. La composizione, a piombo fuso, veniva effettuata principalmente di notte da esperti linotipisti, ma notevoli erano i refusi che si riscontravano. Una sola parola errata poteva completamente cambiare il significato di un provvedimento e ciò ci investiva di una grande responsabilità. Poche volte, anche per trascurabili errori, abbiamo ristampato ex novo per non compromettere la credibilità che avevamo conquistato”.
“Addirittura cominciammo a diventare così importanti che i Provveditorati agli Studi si servivano delle nostre pubblicazioni per la diffusione delle notizie presso le scuole, dove arrivavamo noi per primi perché attingevo direttamente alla fonte d’informazione. Quindi, a un certo punto, la rivista finì per essere considerata una pubblicazione para-ministeriale”.
La mole di lavoro e la qualità dei servizi proposti rendono necessaria l’apertura di una base operativa a Roma che consenta di avere rapporti più frequenti con i vari collaboratori e di ottenere, quindi, in anticipo i testi dei provvedimenti emanati e di stamparli con notevole celerità; per non parlare dei contatti con i sindacati della scuola, associazioni e università. “Il prof. Mauro Laeng (illustre pedagogista) coordinò per noi l’Atlante della Pedagogia, una copiosa opera in tre tomi che raccoglie i contributi di numerosi studiosi della materia. Il prof. Benedetto Vertecchi curò la pubblicazione di una nuova rivista: Cadmo (giornale di pedagogia sperimentale, didattica e docimologia) che rappresentò il nostro fiore all’occhiello. E poi il notevole e impagabile contributo del dott. Sergio Auriemma (magistrato) che continua a curare la pubblicazione dell’annuario Repertorio e l’aggiornamento della copiosa e complessa materia di legislazione scolastica attraverso l’Ipertesto Unico Scuola”. Con il prontuario del 1981 inizia la collaborazione in Tecnodid del dott. Mario Rossi che successivamente darà vita “alla pubblicazione di una collana di testi specialistici riguardanti assenze del personale, ricostruzione di carriera e trattamento pensionistico, lavori che, aggiornati annualmente, rappresentano ancora oggi strumenti utilissimi al servizio dei dirigenti scolastici e dei direttori amministrativi”.
L’insegnamento che ci lascia
Umberto Crusco ha avuto la capacità di creare dal nulla un’attività imprenditoriale mai pensata prima, atta a far nascere e soddisfare bisogni altrimenti sottesi. Dalla sua creatura, Notizie della Scuola, negli anni che seguiranno la casa editrice assume una veste sempre più polifunzionale: si arricchisce progressivamente il catalogo delle pubblicazioni, non solo a carattere amministrativo e giuridico, ma anche organizzativo, pedagogico e culturale; si costruiscono servizi per le scuole, per i direttori amministrativi, per i dirigenti scolastici e per i docenti; si realizzano attività culturali attraverso seminari, convegni, incontri formativi mirati; si mettono a disposizione delle Istituzioni scolastiche piattaforme e supporti operativi; si realizzano percorsi di formazione per coloro che intendono entrare nel mondo della scuola, utilizzando strategie articolate (piattaforme, aule virtuali, test, webinar, ma anche incontri in presenza e sostegni personalizzati), potendo contare sulle migliori professionalità a livello nazionale.
Questo è stato possibile perché Umberto Crusco ha saputo realizzarlo partendo dalla valorizzazione e dalla cura che ha sempre profuso verso i suoi collaboratori, leggendo, per esempio, tutte le loro produzioni. “Vedi, il leader diventa tale perché si sa attorniare delle persone giuste e la fortuna di avere la fiducia degli esperti è fondamentale perché ti porta al successo. Non è facile, di tentativi ne fai tanti! Abbiamo sempre costruito un rapporto molto amicale con tutti i collaboratori, tutti amici: «C’è spazio per te, se entri in questo spazio lavori». Quando c’è da fare bisogna lavorare, non ci sono orari. Noi abbiamo lavorato addirittura quando non si poteva aprire bottega, nascosti il primo maggio in tipografia”.
Se volessimo sintetizzare i suoi insegnamenti, cosa non facile per una vita così ricca, potremmo farlo ricordando quanto lui stesso diceva: “Tutte le cose che ho fatto mi hanno sempre soddisfatto: quando prendo un’iniziativa non guardo mai il lato economico, se mi fa piacere faccio, se non mi fa piacere non faccio. Quindi sono disposto a pubblicare anche il tuo libro senza calcolare se c’è da guadagnare. Però mi sono sempre adeguato ai tempi”.