Anche quest’anno il 7 febbraio si celebra la Giornata mondiale contro il bullismo a scuola. La prima giornata nazionale nel 2017 si è svolta in coincidenza con la Giornata Europea della Sicurezza in Rete indetta dalla Commissione Europea (Safer Internet Day), dove sono state presentate le migliori proposte didattiche elaborate dalle scuole. Sempre più numerosi sono, infatti, i bambini e gli adolescenti vittime di una qualche forma di bullismo, fenomeno difficile da estirpare. Tutte le istituzioni scolastiche italiane sono state chiamate, per questo, a dire “NO” al bullismo, dedicando la giornata ad azioni di sensibilizzazione rivolte non solo agli studenti ma a tutta la comunità.
Noi cercheremo di dare il nostro contributo accendendo i riflettori proprio sulle diverse forme di bullismo e, in una prossima edizione di Scuola7, proponendo anche qualche strategia di intervento pedagogico, soprattutto in ottica preventiva[1].
Che cos’è il bullismo
Secondo Dan Olweus “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”[2].
In base a questa definizione, si parla di bullismo quando un bambino/adolescente “è esposto ripetutamente nel tempo alle azioni offensivedi una o più persone”. Per “offensive”si intendono le azioni con cui “una persona deliberatamente fa del male o causa difficoltà emotive ad un’altra persona, attraverso il contatto fisico, l’abuso verbale o altri mezzi”. Sharp e Smith (1994)[3] parlano di “abuso tra pari”, ovvero di relazioni sociali tra compagni improntate a ruoli di potere e di controllo. Si può parlare, quindi, di bullismo:
- se vi è asimmetria di potere tra due ragazzi o tra un gruppo e un singolo ragazzo a causa dell’età, della forza, della grandezza, del genere o per la popolarità nel gruppo di coetanei; lo sbilanciamento di potere si può riferire quindi sia alle caratteristiche individuali sia a quelle sociali del bullo e della vittima;
- se l’individuo o il gruppo utilizza la propria superiorità per fini negativi, in maniera intenzionale, prova piacere nell’insultare, nel picchiare o nel cercare di dominare la “vittima” e continua anche quando è evidente che la vittima sta molto male ed è angosciata;
- se le prevaricazioni si ripetono con una certa frequenza, sistematicità, persistenza e la loro quantità provoca nella vittima una perdita di autostima e, quindi, determina oltre a danni fisici anche danni emotivi.
Le forme del bullismo
Sempre secondo Dan Olweus il bullismo può manifestarsi nella forma diretta o indiretta; il bullismo diretto può, a sua volta, essere fisico (colpire con pugni o calci, sottrarre o rovinare oggetti di proprietà) o verbale (deridere, insultare, prendere ripetutamente in giro, ecc.).
La forma indiretta di bullismo prevede azioni quali la diffusione di pettegolezzi fastidiosi o storie offensive, la deliberata esclusione dal gruppo e l’isolamento.
A queste due forme di bullismo si è aggiunto, di recente, il bullismo elettronico, “cyberbullismo”, consistente nella diffusione di sms, e-mail, messaggi in chat o sui social network, immagini con contenuti offensivi o non rispettosi della riservatezza delle persone.
Il bullismo è più diffuso tra i maschi che tra le femmine, ma tra quest’ultime è diffusa la forma più grave e, cioè, quella indiretta che lascia ferite emotive anche nella tarda età.
Olweus enfatizza la differenza tra il bullismo e lo scherzo in una situazione di gioco; ‘lo scherzo’, di solito, avviene tra amici e non provoca un dolore fisico all’altro; al contrario, il bullismo coinvolge persone che non hanno relazioni amichevoli.
Uno scherzo può facilmente trasformarsi in bullismo se si verifica per lungo tempo e, soprattutto, quando il bambino sente che le azioni degli altri non sono intese come un gioco e non restano nei confini accettabili del gioco.
Il bullismo, come fenomeno sociale, interessa non soltanto il bullo e la vittima ma anche altri attori; nello specifico gli osservatori, le figure educative, i genitori.
Profilo del bullo
Il bullo è colui che commette angherie. Anche se provoca sofferenza fisica ed emotiva nella vittima, tuttavia egli stesso è portatore di un profilo psicologico che necessita di intervento pedagogico. Non riesce infatti a relazionarsi in maniera funzionale e se non si interviene in modo appropriato e tempestivo aumenta il rischio che in futuro manifesti comportamenti devianti, faccia uso di sostanze fino ad avere veri e propri problemi con la legge.
Generalmente il bullo può presentare le seguenti caratteristiche:
- bisogno di prevaricare sugli altri;
- incapacità di controllare gli impulsi;
- scarsa capacità di autocontrollo;
- incapacità di accettare regole e limiti;
- opinione di sé esagerata.
Tra coloro che agiscono in modo prepotente ci sono “bulli passivi”, semplici gregari dei bulli veri e propri.
Chi è la vittima?
La vittima è il bersaglio delle azioni offensive; il bullo non la sceglie a caso bensì per il fatto che è diversa in qualche modo dagli altri, è più debole e non sarà facilmente aiutata dai compagni perché magari non riesce facilmente a stringere delle amicizie.
La vittima risulta un obiettivo particolarmente semplice a causa della maggior parte dei tratti di personalità; infatti, presenta in genere bassa autostima, scarsa capacità di risoluzione dei problemi, sintomi depressivi, difficoltà emotive, fobie e paure.
Sovente la vittima evita il contatto oculare, sperimenta sentimenti di solitudine, tende ad assentarsi spesso dalla scuola, proprio per evitare il bullo, riportando un basso rendimento scolastico; somatizza la situazione di disagio lamentando mal di testa, mal di pancia, disturbi del sonno, enuresi.
Rabbia, vergogna e sensi si colpa
Le vittime possono sperimentare rabbia per quello che è accaduto, anche perché si sentono incapaci di reagire; rabbia che generalmente viene espressa nei confronti delle persone care come i genitori, i fratelli, le sorelle.
Possono sperimentare vergogna per quello che è accaduto in quanto credono che i compagni di classe li considerino dei fifoni. Si vergognano anche di rivelare quanto accaduto ai genitori per timore di deluderli.
Si sentono in colpa perché convinti di essere in parte responsabili di quanto accade fino ad arrivare a giustificare le azioni del bullo (“mi chiama tappetto perché lo sono davvero”). Vivono, infine, costantemente accompagnati dalla paura di essere prevaricati.
La combinazione di rabbia, paura, vergogna e colpa induce la vittima a non raccontare a nessuno ciò che vive e, di conseguenza, a non chiedere aiuto; questo isolamento emozionale origina un generale isolamento della vittima che, se non riceve un adeguato sostegno psicopedagogico, in futuro, potrebbe non essere capace di assumersi delle responsabilità, rivestire un ruolo sociale, stabilire funzionali relazioni interpersonali, avere una soddisfacente vita sessuale. Tra le vittime si possono distinguere le vittime passive da quelle provocatrici.
Poi ci sono gli “osservatori”
Gli studi osservativi di Craig e Pepler (1997)[4], hanno rilevato che l’85% degli episodi di bullismo avviene in presenza di coetanei, i quali possono assumere ruoli diversi all’interno del gruppo, ponendosi dalla parte del bullo, intervenendo a sostegno della vittima o rimanendo semplici osservatori. Generalmente gli osservatori possono ridere, sorridere, commentare tra loro quanto è accaduto sia positivamente sia negativamente oppure mostrarsi indifferenti.
Queste specifiche reazioni sono percepite dal bullo come un’attenzione dedicata alle sue bravate e, quindi, il suo comportamento si rinforza significativamente. La risata, il sorriso, l’indifferenza e il non intervento intensificano la solitudine della vittima, il comportamento del bullo e il senso di colpa della vittima.
Genitori del bullo e genitori della vittima
Oggetto di approfondite indagini è stato il rapporto tra clima educativo creato dai genitori e problemi di bullismo e vittimizzazione. Sono chiamati in causa nel comportamento del “bullo” anche un’educazione troppo permissiva, o un’educazione eccessivamente severa, autoritaria e coercitiva. Per la vittima una delle problematiche più rilevanti sembra essere, invece, un atteggiamento iperprotettivo dei genitori e di un nucleo familiare troppo coeso.
I genitori dei bulli generalmente negano il problema, giustificano il comportamento del proprio figlio mostrandosi anzi risentiti perché lo considerano vittima della situazione.
I genitori della vittima, invece, generalmente provano rabbia verso gli altri ragazzi, le loro famiglie e la scuola; paura e ansia per le conseguenze emotive che questi episodi potrebbero avere nel figlio e senso di colpa per l’incapacità di proteggerlo.
Entrambi devono essere supportati.
Cyberbullismo
La rivoluzione informatica ha aperto numerose strade allo scambio di idee e di esperienze; l’altra faccia della medaglia è però rappresentata dai rischi legati ad un uso improprio delle nuove tecnologie: tra questi c’è il cyberbullismo o bullismo elettronico.
È così che si evince anche dall’art. 1 della Legge 29 maggio 2017, n. 71 e dalle successive “Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo” emanate nel 2017 in continuità con quelle dell’aprile 2015.
Si tratta di una forma di prepotenza virtuale attuata attraverso l’uso di internet e delle tecnologie digitali e può essere definito come la traduzione on line del bullismo; infatti è una tipologia di prevaricazione on line reiterata nel tempo, perpetrata da una persona o da un gruppo di persone più potenti nei confronti di una vittima. Il cyberbullismo è, pertanto, un «danno ripetuto e intenzionale causato da azioni di bullismo attuate attraverso l’utilizzo di computer, cellulari e altri mezzi elettronici»; avviene più frequentemente in siti visitati da un grande numero di adolescenti. Per i giovani che stanno crescendo a contatto con le nuove tecnologie, la distinzione tra vita online e vita offline è davvero minima.
Quando la violenza viaggia nella rete
Le attività che i ragazzi svolgono online o attraverso i media tecnologici hanno quindi spesso conseguenze anche nella loro vita reale Allo stesso modo, le vite online influenzano anche il modo di comportarsi dei ragazzi offline e questo elemento ha diverse ricadute che devono essere prese in considerazione per comprendere a fondo il cyberbullismo.
I ragazzi realizzano atti di cyberbullismo con la diffusione di pettegolezzi attraverso messaggi sui cellulari, mail, social network; postando o inoltrando informazioni, immagini o video imbarazzanti (incluse quelle false); rubando l’identità e il profilo di altri, o costruendone di falsi, al fine di mettere in imbarazzo o danneggiare la reputazione della vittima; insultando o deridendo la vittima attraverso messaggi sul cellulare, mail, social network, blog o altri media; facendo minacce fisiche alla vittima attraverso un qualsiasi media.
Le principali caratteristiche del cyberbullismo
Queste aggressioni possono far seguito a episodi di bullismo o limitarsi alla dimensione virtuale. Si può parlare di cyberbullismo quando coesistono alcune caratteristiche:
- pervasività ed accessibilità: il cyberbullo può raggiungere la sua vittima in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo;
- persistenza del fenomeno: il materiale diffamatorio pubblicato su internet può rimanere disponibile online anche per molto tempo;
- mancanza di feedback emotivo: il cyberbullo, non vedendo le reazioni della vittima ai suoi comportamenti, non è mai totalmente consapevole del danno che arreca; questo lo rende più disinibito e abbassa i livelli di autocontrollo;
- moltiplicazione di cyberbulli: la natura online del cyberbullismo permette che siano molti quelli che diventano cyberbulli, anche solo condividendo o promuovendo l’episodio di cyber bullismo che finisce per replicarsi in maniera vertiginosa.
Cyberstalking” e il “sexting”
Accanto al cyberbullismo, vanno considerati come fenomeni da contrastare anche il “cyberstalking” e il “sexting”.
Lo stalking comprende atteggiamenti tenuti da un individuo che affliggono un’altra persona, perseguitandola, generandole stati di paura e ansia, arrivando persino a compromettere lo svolgimento della normale vita quotidiana. Lo stesso comportamento perpetrato on line è definito “cyberstalking”.
Il termine “sexting” deriva dall’unione delle parole inglesi “sex” (sesso) e “texting” (pubblicare testo). Si può definire, pertanto, “sexting” l’invio e/o la ricezione e/o la condivisione di testi, video o immagini sessualmente esplicite/inerenti la sessualità. Spesso sono realizzate con il telefonino e vengono diffuse attraverso il telefonino stesso o attraverso siti, e-mail, chat.
Si tratta di una preoccupante moda, diffusa tra gli adolescenti, di inviare messaggi via smartphone ed Internet corredati da immagini a sfondo sessuale.
[1] Per un approfondimento vedi: R. Stornaiuolo, “Bullismo e cyberbullismo” in Spinosi, Cerini, Loiero, Manuale per la scuola primaria, pp. 241-250; e in Spinosi, Dutto, Maloni, Manuale per la scuola secondaria, pp. 401-410. Entrambi i volumi sono editi dalla Tecnodid.
[2] Olweus, D. (1993), Bullying at School. What We Know and What We Can Do, Oxford-Cambridge, Blackwell, tr. it. Il bullismo, Firenze, Giunti, 1995.
[3] Sharp, S., Smith, P.K. (eds.) (1994), Tackling Bullying in Your School. A Practical Handbook for Teachers, London, Routledge, tr. it. Bulli e vittime nella scuola, Trento, Erikson edizioni, 1995.
[4] Craig, W., Pepler, D. (1997), Observations of Bullying and Victimization in the Schoolyard, in «Canadian Journal of School Psychology», 2, pp. 41-60.