Dopo lo scioglimento delle Camere (21 luglio 2022) che ha decretato la fine della 18a legislatura, il governo che scaturirà dalle elezioni anticipate del 25 settembre prossimo vedrà un nuovo esecutivo, con un nuovo Ministro dell’Istruzione, il 5° in cinque anni. Con le dimissioni del premier Draghi si è concluso, infatti, anche il mandato di Patrizio Bianchi, titolare di alcuni importanti interventi.
Una scelta difficile e impopolare
La riforma di reclutamento e formazione dei docenti è stato l’intervento di maggiore impatto. Il decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36, recante “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”, è stato convertito nella legge n. 79 il 29 giugno 2022.
Mancano però i decreti attuativi che devono contenere le indicazioni operative indispensabili per l’applicazione della legge di riferimento. In sede di conversione erano state introdotte diverse modifiche rispetto alla riforma prevista dal Consiglio dei Ministri: tra le altre, era stato approvato un maxiemendamento che cambiava le regole sulla formazione iniziale e continua degli insegnanti. Nello specifico, le modifiche al Decreto 36 riguardavano l’art. 44 “Formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole secondarie” e l’art. 45 “Valorizzazione del personale docente”, che erano stati di fatto sostituiti dal nuovo testo emendato. La Legge 79, infatti, aveva introdotto la formazione del personale docente di ruolo prevedendo incentivi economici e la Scuola di Alta Formazione, quest’ultima posta sotto la vigilanza del Ministero dell’Istruzione e responsabile della definizione dei corsi. Un progetto ambizioso che si era immediatamente scontrato con il malumore dei lavoratori della scuola che attendevano una riforma strutturata su temi più aderenti alla quotidianità (negli articoli che la Legge 79 dedica alla scuola non si parla affatto di valorizzazione dei docenti in termini di carriera), e con il risentimento delle organizzazioni sindacali che aveva determinato con il Ministro dell’Istruzione una distanza tale da condizionarne pesantemente i rapporti.
Un problema non più rinviabile
Con la fine del mandato Bianchi, le iniziative di rinnovamento da lui intraprese probabilmente saranno destinate a naufragare. Certo è che, indipendentemente da chi imbraccerà le redini del Ministero di Viale Trastevere, il problema della formazione degli insegnanti resta una questione aperta: dopo anni di latenza, complice anche il disagio da pandemia responsabile di sofferenze formative, educative e psicologiche, si rende necessario un processo di rinnovamento tale da ricollocare gli insegnanti al centro di una cultura dell’azione formativa pubblica che ne rivitalizzi le prestazioni in modo da sollecitarli ad indossare di nuovo l’autorevole abito di guida culturale ed etica del Paese.
La formazione del personale docente, come apertura e disponibilità alla continua rimessa in discussione di conoscenze e comportamenti, è la risorsa strategica più importante per il rinnovamento della scuola. La Legge 79/2022 ha fatto riemergere prepotentemente la questione nell’agenda politica di governo, perché il focus dell’attenzione dei nostri decisori politici si era indirizzato non su una revisione delle architetture organizzative ma su una profonda rinascita della cultura dello sviluppo professionale del docente, a fronte di un forte indebolimento del suo ruolo educativo in seno ad una società sempre più frammentata. Sorretta dalla consapevolezza che la formazione dia luogo ad un cambiamento sociale, la riforma Bianchi prevedeva una formazione retribuita per i docenti di ruolo che partecipavano a percorsi formativi su base volontaria, da svolgersi al di fuori dell’orario di servizio e da rimunerare a carico del fondo d’Istituto dopo il superamento di verifiche appositamente predisposte.
La professione docente nei testi normativi e contrattuali
Per ciò che riguarda la dimensione normativa della professione docente merita forse considerare il disposto dell’art. 395, c.1 del D.lgs 297/1994 che la delinea “come esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”, mentre sotto il profilo della regolamentazione contrattuale risulta degno di essere preso in esame sia l’art. 26 del CCNL Comparto Scuola 2016-2018: pone l’attenzione sul fatto che “la funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni”, sia l’art. 27 che provvede a sostanziare il profilo professionale del docente con “competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti”.
Dai Quaderni bianchi alle raccomandazioni
Nell’ultimo trentennio non sono poi mancate Raccomandazioni che abbiano sottolineato la centralità dell’educazione e della formazione in quella che è stata definita la società della conoscenza, la cui complessa interconnessione richiede agli insegnanti nuove competenze e grande professionalità. Al dovere di istruire fa da specchio l’istanza di educare ad alcuni imprescindibili valori sociali e civici – cittadinanza, uguaglianza, tolleranza, rispetto – condizione necessaria per affrontare il problema della crescente diversità socio-culturale, per ridefinire pratiche di inclusione sociale ed integrazione scolastica e per imparare a vivere insieme. A tal proposito, meritano di essere ricordati il Libro Bianco dell’Istruzione del 1995 e il Rapporto Delors. Il primo, intitolato “Verso la società cognitiva. Insegnare e apprendere”[1] mirava a fornire una risposta all’esigenza di adeguare i sistemi scolastici alle rapide trasformazioni in corso nei sistemi sociali, Il Rapporto Delors del 1996 [2] aggiungeva ai tre pilastri dell’educazione (imparare a conoscere, imparare a fare, imparare ad essere) un quarto “Imparare a vivere insieme” volto a promuovere non solo la scoperta graduale degli altri (al fine di favorire una pacifica convivenza e superare incomprensioni e pregiudizi), ma anche una mentalità cooperativa centrata sul raggiungimento di obiettivi condivisi attraverso la partecipazione attiva ad attività comunitarie (sport, attività culturali e umanitarie) in modo da realizzare ideali di pace, libertà e giustizia.
Le Raccomandazioni europee
Sulla stessa linea si pongono le Raccomandazioni europee.
- La Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 2006 promuoveva l’individuazione di competenze-chiave per l’apprendimento permanente nella prospettiva di uno spazio europeo dell’istruzione.
- Dalla Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 2018 sono scaturiti otto tipi di competenze chiave [3].
- La Raccomandazione del Parlamento europeo del 2019 (pubblicata nella G.U. dell’U.E. nel 2021) istituisce uno strumento europeo per la pace.
Ma la Raccomandazione che costituisce tuttora una pietra miliare per la vita e le condizioni di lavoro dei docenti di tutto il mondo resta la Raccomandazione riguardante lo status degli insegnanti, redatta a Parigi nel 1966 a seguito di una speciale Conferenza intergovernativa convocata dall’UNESCO/ILO. Si tratta di un documento d’intenti di portata internazionale, scandito in 45 articoli, che fissa degli standard in fatto di reclutamento, selezione e formazione, preparazione e condizioni di impiego dei docenti, standard professionali, sicurezza sul lavoro, diritti, responsabilità, sanzioni disciplinari e autonomia professionale. Purtroppo, per quanto quelle Raccomandazioni siano state definite da molto tempo, c’è ancora molto da fare affinché trovino piena applicazione anche nel nostro stesso Paese.
Strategie per una ridefinizione delle pratiche formative
Non sono necessari testi normativi o negoziali per disciplinare l’attività lavorativa degli insegnanti, perché la professione docente è qualcosa di più rispetto alla regolamentazione giuridica e contrattuale. Ben lungi dall’essere meri esecutori rispetto ad una megastruttura centralizzata che dispone la replica di informazioni, conoscenze e regole sociali prestabilite, agli insegnanti vengono richieste nuove competenze che la contingenza storica ha reso sempre più opportune. Oltre alle tradizionali competenze culturali, disciplinari e didattiche, che restano comunque al centro della professionalità docente, gli insegnanti debbono acquisire quelle competenze-chiave, connesse con gli aspetti culturali della società della conoscenza, da sviluppare in un percorso di formazione permanente che si dipani per l’intero arco della loro crescita professionale. In altri termini, oltre a saper gestire un’ampia gamma di conoscenze, essi debbono saper instaurare rapporti di fiducia con gli alunni, sostenere il loro percorso di crescita e incoraggiare la comprensione e il rispetto per gli altri. Esiste una componente etica e morale dell’agire educativo che si esplica nell’impegno educativo verso i ragazzi teso alla loro formazione come persone e cittadini del mondo.
Si tratta, dunque, di considerare quel complesso di competenze cognitive, tecniche, strumentali, sociali e affettive che rendono l’insegnante sensibile alle caratteristiche e alle variazioni delle situazioni in cui operano. Importante è la propensione verso la flessibilità di fronte alle variazioni del contesto e delle relazioni sociali, la riflessività e l’adeguatezza nella scelta delle soluzioni.
La competenza riflessiva
Tutto ciò concorre a delineare una professionalità educativa che, come già richiamato da Schön, si caratterizza per una puntuale competenza riflessiva che rende il docente capace di “riflettere nel corso dell’azione”[4]. Rappresentando l’agire pensato il cuore pulsante del processo riflessivo, la professionalità docente non discende dalla trasmissione di un patrimonio culturalmente consolidato, ma deriva dalla capacità di costruire un ambito di rielaborazione di conoscenza e di cultura congruo allo specifico contesto di riferimento, che non può prescindere dal punto di vista del soggetto che vive direttamente l’esperienza. Esiste un rapporto di interdipendenza tra società e processi educativo-formativi. E l’identità professionale che si configura come un costrutto complesso e articolato, che si trasforma nel tempo a seconda delle esperienze, che coinvolge sia la persona che il contesto. È la parte emergente e visibile di una relazione dialettica tra due poli distinti che coinvolgono la persona e la funzione svolta. D’altra parte, l’insegnamento implica, per sua natura, che i docenti siano coinvolti in un processo di formazione e di sviluppo professionale che si dipani per l’intero corso della loro carriera: è questo il motivo per cui l’identità professionale docente è considerata come un elemento dinamico e in costante evoluzione.
La formazione docente: dallo studio individuale all’aggiornamento
La formazione del personale docente rappresenta una tradizione che si è venuta imponendo nel tempo, dagli anni ’70 ad oggi, e la letteratura di quegli anni resta la testimonianza più feconda della riflessione e della ricerca sul tema della formazione docente.
Prima degli anni ’70 non si parlava di formazione né di aggiornamento, ma semplicemente di “studio”, del tutto ignorato nell’ordinamento scolastico odierno: la pratica dello studio individuale costituiva un elemento ufficialmente rilevante della professione docente, tant’è che veniva presa in considerazione nel rapporto informativo rilasciato ai fini dell’attribuzione della qualifica annuale. Anche se non esistevano stanziamenti appositi o rimborsi né precisi obblighi di adesione, l’importanza dello studio era molto diffusa, condotto su base volontaria e svolto utilizzando libri propri o frequentando biblioteche. Con l’abolizione del rapporto informativo e la qualifica annuale, venne meno anche la consuetudine allo studio libero e individuale, sostituito dall’aggiornamento che a poco a poco si è sviluppato creando un vero e proprio sistema con “piani di aggiornamento” nazionali e provinciali, sostenuti dalla collaborazione delle strutture amministrative centrali e periferiche.
Dalle grandi azioni di formazione ai monitoraggi
Nel corso degli anni ’80 si è registrata una crescita progressiva delle iniziative di aggiornamento che hanno raggiunto il loro apice verso la fine degli anni ’90. La ricaduta della partecipazione sulla scuola, o comunque sul miglioramento delle stesse competenze del docente, veniva del tutto ignorata: i risultati della formazione, solitamente difficili da misurare per il fatto di produrre esiti di non alta visibilità immediata, non sono stati mai oggetto di rilevazione. Nel corso degli anni ’90 si è poi sviluppata una forte attenzione per il monitoraggio delle azioni di formazione, mentre l’irruzione delle tecnologie nei sistemi di apprendimento ha determinato una forte spinta verso la ricerca sul campo e le strategie di miglioramento.
Non è più, quindi, l’aggiornamento episodico ad interessare, oggi interessa maggiormente quell’insieme di esperienze di maturazione professionale (acquisite grazie alla frequenza di master o corsi di perfezionamento post-lauream, stages e soggiorni in contesti non scolastici) che accrescono l’efficacia e la padronanza dell’azione educativa.
Come rispondere alle nuove esigenze formative degli studenti
Rispetto ai “piani” del passato, le prospettive odierne in tema di formazione prendono le mosse da una visione del docente centrata su un’identità professionale, non più concepibile secondo i ristretti schemi di diffusione dei contenuti, ma inteso come mediatore culturale che favorisce i processi di apprendimento degli studenti. Svolgere funzione di mediazione significa sottolineare la natura ipotetica della conoscenza e costituirsi come elemento umano di una comunicazione intrisa dei punti di vista, dei dubbi e delle situazioni di incertezza che si riflettono nel corso della sua azione. Da qui, la necessità di evolversi come professionista riflessivo che affronta in modo ragionevole e innovativo ogni singola inedita circostanza. Inserita in questo orizzonte, l’attività didattica emerge come il risultato di una complessa interazione tra riflessività e competenze professionali che si concretizza nella capacità di adottare modalità didattiche flessibili, non solo per poter rispondere ai differenziati bisogni formativi dei ragazzi e alla diversità dei loro personali stili di apprendimento, ma anche per poter affrontare la complessità e la varietà delle situazioni, in una prospettiva di apprendimento permanente tale da soddisfare la necessità di coesione sociale e di crescita inclusiva e sostenibile fondata su sviluppo, realizzazione personale, cittadinanza attiva e responsabilità.
[1] Libro Bianco dell’Istruzione, Verso la società cognitiva. Insegnare e apprendere, 1995. Curato da Édith Cresson, è stato pubblicato dalla Commissione Europea in vista del 1996, individuato come l’anno europeo dell’educazione e della formazione permanente.
[2] Il Rapporto Delors, scaturito dalla Commissione dell’UNESCO coordinata nel 1996 da Jacques Delors, esprime particolare attenzione alla persona che apprende considerata nella sua integralità.
[3] La Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 2018 ha condotto all’individuazione di otto competenze-chiave, non ordinate gerarchicamente ma da considerarsi tutte di pari importanza: competenza alfabetica funzionale; competenza multilinguistica; competenza matematica e competenza di base in scienze e tecnologie; competenza digitale; competenza personale, sociale e capacità di imparare ad imparare; competenza sociale e civica in materia di cittadinanza; competenza imprenditoriale; competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.
[4] A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, 1993