Nell’arco di un anno (poco più), la scuola italiana ha perso due uomini di scuola di straordinaria ricchezza umana e professionale: Giancarlo Cerini nell’aprile del 2021 e quest’anno a maggio Andrea Canevaro.
È triste pensare che non siano più tra noi questi due figli della Romagna. Ci consola il fatto che insieme a noi continuano a camminare le parole, il pensiero e la loro testimonianza.
Le parole che contano
Quando nel 2000 ci lasciò un altro grande della scuola italiana, Sergio Neri, Canevaro ricordò l’amico e compagno di innumerevoli esperienze, sottolineando che bisogna sempre tentare di capire cosa significa una perdita, anche in condizione di scarsa lucidità a causa del dolore che si prova. “Sergio, disse in quella occasione, ci ha insegnato il coraggio di educare sempre”. Oggi queste parole possono essere rivolte all’enorme insegnamento che Andrea Canevaro lascia in eredità a tutti noi.
Entrambi sono stati “artefici” di educazione, parola che richiama sempre la ricerca della dignità della persona, indipendentemente da qualsiasi fattore sfavorevole. In questo li accomuna un modo di fare che si rifà ad una massima orientale: “I problemi sono in basso, le soluzioni in alto”. Bisogna chinarsi per trovare le fragilità e alzarsi, guardare in alto, allargare l’orizzonte per affrontarle e risolverle.
L’esperienza francese
Entrambi, Sergio e Andrea, da giovani, avevano fatto un’esperienza in Francia che avrebbe condizionato il loro cammino di educatori e di maestri di inclusione.
Sergio Neri negli anni Cinquanta, nel quadro di una serie di esperienze giovanili nel movimento scoutistico organizzate dal comune di Mirandola (MO), aveva svolto attività con ragazzi francesi nella colonia estiva di Saint-Hilaire, che sarà oggetto della sua tesi di laurea. Nel piccolo centro della Vandea, ottimo per la salubrità del clima, venivano inviati bambini di Villejuif, un sobborgo della banlieu parigina, gemellato con il comune modenese.
Andrea Canevaro, dopo aver ottenuto una borsa di studio presso l’Università di Lione, cominciò a seguire gli studi di Claude Kohler, avvicinandosi ai temi della disabilità intellettiva e del disagio giovanile. E le sue prime esperienze, prima di approdare al mondo accademico, saranno proprio rivolte al lavoro con ragazzi fragili.
Lezione numero uno: handicap e deficit
Provo a riandare con la memoria alle mie esperienze di maestro elementare, poi di direttore didattico e di ispettore e sottolineare le riflessioni di Andrea Canevaro che hanno segnato per sempre la mia e le tante biografie di coloro che hanno lavorato nella scuola ai primordi del processo di inclusione dei ragazzi “portatori di handicap” (anni Settanta-Ottanta del secolo scorso).
La prima lezione è stata la netta distinzione che egli insistentemente faceva tra handicap e deficit. Quest’ultimo è spesso irreversibile, occorre conoscerlo e farlo conoscere anche ai compagni di classe perché si rendano conto delle caratteristiche del loro coetaneo con disabilità. “Parlare di X fragile o sindrome di Martin-Bell significa imparare a parlare di chi è presente – il compagno o la compagna con X fragile – con la giusta delicatezza, con rispetto, e cercando parole di verità” (Canevaro, 2015). Il deficit non possiamo eliminarlo; dobbiamo però ridurre le condizioni che possono trasformare tale fragilità in disuguaglianza, stigma, etichettamento, emarginazione. Come? Riducendo la situazione di handicap, cioè quel complesso di fattori che impediscono la piena valorizzazione dei potenziali umani, sociali, affettivi, cognitivi che ogni individuo custodisce. Questa distinzione era inoltre il presupposto per alleggerire l’influenza della cultura clinica che ha pesato e pesa enormemente sull’’educazione dei ragazzi con disabilità.
Lezione numero due: doppio legame di fedeltà
Questo insegnamento è legato ad una riflessione spiazzante di Andrea Canevaro: “Anche quando un bambino non impara è sempre in grado di insegnare”. L’affermazione cambia la prospettiva dell’integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità. Stabilendo un “doppio legame di fedeltà”: dell’alunno con disabilità verso le regole che governano la classe, ma anche di quest’ultima verso il coetaneo in situazione di handicap. Il Piano educativo individualizzato acquista il suo vero significato nel momento in cui si inserisce nel progetto inclusivo della classe. Come vengono valorizzate dai compagni le potenzialità, anche residue, dell’alunno con deficit? Se, ad esempio, una bambina o un bambino impara attraverso le mani, che cosa fa il gruppo-classe per includere tale risorsa in un progetto formativo nel quale la conoscenza tattile diventi un’opportunità di apprendimento per tutti? Piano inclusivo di classe e progetto educativo individualizzato vanno di pari passo; se manca l’orizzonte inclusivo dell’aula, il PEI risulterà inevitabilmente dimezzato e diminuito nelle sue effettive potenzialità.
Lezione numero tre: contesto di sostegno e contesto competente
Veniamo ad uno dei problemi che assillano il nostro modello inclusivo, l’insegnante di sostegno. Docenti e genitori “ritengono che l’integrazione scolastica sia garantita se vi è un consistente numero di ore di sostegno. Queste condizioni non chiariscono alcune questioni: un sostegno continuo può essere utile, ma può indurre a dipendenza e rinuncia di ogni tentativo di crescita dell’autonomia” (Canevaro, 2015).
Andrea Canevaro (non solo lui) ha sempre sostenuto che, in assenza di un processo evolutivo, il sostegno rischia di trasformarsi in una protesi, un vero e proprio “strumento di tortura”.
Negli ultimi tempi, egli si riferiva spesso al “contesto di sostegno o contesto competente”. Un sostegno di prossimità, che si basa sui rapporti con chi è più vicino alla persona in difficoltà. La paziente costruzione della classe come comunità di apprendimento e di relazioni consente di sviluppare stili di cittadinanza difficilmente riproponibili in altri contesti.
Come ho avuto modo di scrivere qualche anno fa, “è la comunità, nel suo complesso, che deve preoccuparsi del progetto di vita della persona in difficoltà”.
Lezione numero quattro: la mitezza
Andrea è stato uno straordinario esempio di forza. Anche di fronte alle difficoltà dell’ultimo periodo della sua vita, segnato da problemi di fragilità, non si è mai risparmiato e non è venuto meno agli obblighi di stare vicino a ragazzi che chiedevano il suo aiuto. Il suo discorrere era profondo, autorevole e sorretto sempre da una parola gentile, non chiassosa, non arrogante (poco accademica). La sua era una comunicazione chiara e diretta, anche di forte dissenso da certe scelte politiche non condivise, ma sempre caratterizzata da una profonda mitezza e cordialità. Tema, questo, caro anche all’attuale pontefice. “Ci sono tanti nemici della mitezza – ha detto papa Francesco nel 2013 – a incominciare dalle chiacchiere… La mitezza nella comunità è una virtù un po’ dimenticata” (Francesco, 2013).
La mitezza non è solo un tratto della persona; richiama la profondità del pensiero e la forza dell’anima, perché chi vuole imporre il proprio punto di vista finisce per rincorrere, come spesso avviene, banalità, luoghi comuni, superficialità e approssimazioni. Quanta mitezza ci insegnano i bambini con disabilità!
L’inclusione come sistema curante
In un recente intervento sulla Rivista dell’Istruzione, Andrea Canevaro paventava i rischi a cui sta andando incontro l’inclusione. Si chiedeva quanto (e quale) fosse il peso effettivo di oltre 170.000 insegnanti di sostegno su 750.000 docenti complessivi. “È il momento di rivedere il sistema-sostegno, e finalmente farlo evolvere da individuale a individualizzato. Vi par poco? Individuale: il soggetto diagnosticato è dell’insegnante di sostegno. Individualizzato: l’insegnante di sostegno è sostegno della comunità scolastica… Individuale: sistema chiuso. Individualizzato: sistema aperto” (Canevaro, 2021).
Ripartiamo da questa sua riflessione. È il miglior modo per valorizzare la lezione del nostro maestro e per pensare all’inclusione come un “sistema curante”, che impegna la parte migliore di ciascuno di noi.
Riferimenti bigliografici
Canevaro A. (2015), Nascere fragili, EDB, Bologna.
Canevaro A. (2021), L’inclusione è a rischio? Bisogni reali ma anche tanti fraintendimenti, Rivista dell’Istruzione, Maggioli, Rimini, n. 3/2021.
Papa Francesco (10 aprile 2013), Elogio della mitezza, L’Osservatore romano.
Rondanini L. (2019), L’ICF e la progettazione partecipata del PEI, Tecnodid, Napoli.