Anche quest’anno si è celebrato l’anniversario della Repubblica: il 75°. Si tratta di una data importante, costitutiva, una delle più significative del nostro calendario civile e politico, che però non è mai riuscita a decollare come grande ricorrenza collettiva, al pari di altri Paesi per riconoscimenti di analoga rilevanza. Si pensi, ad esempio, al 14 luglio in Francia o al 4 luglio negli Stati Uniti, commemorazioni festeggiate a gran voce dalla popolazione tra canti, balli di piazza e fuochi d’artificio.
Il giorno della Repubblica
Purtroppo gli italiani sembrano ancora poco legati all’anniversario della Repubblica, sebbene quest’anno, pur cadendo in un momento della vita nazionale segnato da circostanze belliche di prossimità, siano stati riconquistati – dopo 24 mesi di arresto da pandemia – il tradizionale concerto della vigilia al Quirinale, la parata militare lungo i Fori Imperiali sontuosamente allestita (170 cavalli, 22 elicotteri e 5000 rappresentanze tra militari e civili) e le acrobazie delle frecce tricolori nei cieli di Roma. Ciononostante, il giorno della Repubblica, sebbene sempre dignitosamente onorato, stenta a diventare ritualità viva e corale nell’animo della nostra comunità repubblicana.
Quel “2 giugno”, un referendum in nome della democrazia
La consapevolezza dell’indebita fragilità di memoria con cui molti storici e docenti trattano alcune fondamentali ricorrenze della nostra storia, rivela convinzioni diffuse circa lo stato effettivo dell’insegnamento del sapere storico nella scuola di oggi, le sue forme di rappresentazione, le fonti di apprendimento e le metodologie messe in atto. C’è anche da aggiungere che l’insegnamento di tale disciplina riserva alle scuole molta autonomia circa la loro selezione e organizzazione: la maggior parte dei docenti si affida alle scelte degli editori e degli autori dei libri di testo.
Nei manuali scolastici, per esempio, la nascita della Repubblica viene solitamente liquidata in poche righe che restituiscono una visione molto semplificata del traguardo raggiunto.
Quanti giovani sanno che cosa è accaduto con quel referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946? Quanti sanno che le donne furono chiamate a votare per la prima volta? Quanti sono consapevoli che con il referendum si è realizzata la più ampia votazione democratica della storia dell’Italia in forza della quale il popolo italiano ha attuato una rivoluzione pacifica in nome della democrazia? Quanti sanno di quel “miracolo della ragione”, per citare Piero Calamandrei (Il Nuovo Corriere della Sera, giugno 1946) che ha tradotto nella “concretezza terrena della storia… nella pratica ordinaria della Costituzione… senza sommossa e senza guerra civile la libera scelta di un’Italia repubblicana mentre il re sedeva ancora sul trono”?
Tenue memoria e rischio dell’indifferenza
La tenue memoria dell’istituzione della Repubblica italiana sembrerebbe dunque scaturire, sia da una narrazione superficiale della storia, sia da autonome scelte di contenuti: presumibilmente il sapere storico è ritenuto di tale ampiezza da sollecitare i docenti al ricorso a forme di semplificazione con il conseguente smarrimento del ruolo di avvenimenti periodizzanti, quali (nel nostro caso) il 2 giugno.
Questa visione lacunosa, frammentaria e riduzionistica che implicitamente viene conferita alla Storia sarebbe da ricondurre a molteplici variabili tra cui spiccano l’insegnamento accademico, i prodotti dell’editoria e l’idea di curricolo, strettamente connesse in un circolo vizioso dal quale scaturisce quel modello di insegnamento pubblico e socialmente condiviso della Storia che ancora oggi continua a risultare inefficace, sia per sviluppare negli studenti quelle competenze storiche che dovrebbero possedere a conclusione del percorso scolastico intrapreso, sia per coinvolgerli e interessarli. E qui entra in gioco un alto rischio, quello dell’indifferenza con cui molti giovani d’oggi si accostano alla disciplina compromettendo il processo di acquisizione della memoria storica e della consapevolezza identitaria individuale e pubblica.
È anche una questione di come si insegna la storia
Il riferimento va alla persistenza di certe pratiche didattiche, piuttosto diffuse nella scuola italiana: gli studenti si avvicinano stancamente alla Storia perché, nonostante da oltre un ventennio la letteratura e i dibattiti pubblici non si siano risparmiati nel tentativo di svecchiarne l’insegnamento, tale disciplina continua (solitamente) ad essere insegnata solo come narrazione, con modalità cronologico-sequenziale e in una prospettiva temporale che procede dalle origini al presente. E come nelle più tradizionali narrazioni, centrale diventano i personaggi e le storie di vinti e vincitori. Nella didattica della storia, a scuola, non sempre si dà rilievo ai procedimenti ‘indiziari’, non sempre si fa ricorso alle fonti e all’interrogazione dei documenti negli archivi. Fonti e documenti vengono spesso trascurati o magari concepiti come puro elemento accessorio. L’utilizzo prioritario del libro di testo, come unico strumento didattico, produce negli studenti una conoscenza ridotta, ancor più, come avviene in molti casi, se si fa ricorso per le interrogazioni alle sintesi che molti insegnanti forniscono che, a loro volta, replicano in forma ancora più sommaria quelle dei manuali. È una pratica, questa, destinata a lasciare negli studenti solo brandelli di memoria.
Capire il presente e disegnare il futuro
Per stimolare l’interesse degli studenti e renderli capaci di comprendere il mondo con le tante storie che lo connotano, è necessario fornire, fin dai primi anni scolastici, gli strumenti necessari per acquisire progressivamente categorie storiche generali e in modo tale da poterle poi generalizzare. È importante che si insegni a ricondurre temi e problemi di rilevante attualità nella loro dimensione storica, con un approccio di tipo interdisciplinare e attraverso metodologie di ricerca attiva. È importante che gli studenti imparino a capire le trasformazioni sociali, economiche e culturali che hanno accompagnato le vicende umane nel loro dipanarsi nel tempo. La storia, che rappresenta la dimensione temporale di tutti gli eventi umani, dovrebbe essere il punto di riferimento per le altre discipline di studio e il perno attorno al quale collegarle: qualsiasi campo del sapere, per poter essere meglio compreso e interpretato, deve essere storicamente contestualizzato.
Formare una coscienza storica significa prendere atto della partecipazione attiva dell’uomo allo sviluppo della civiltà. Quindi, la storia va intesa come ricostruzione attiva, pensata, ragionata; come interpretazione e rielaborazione critica, come rappresentazione dei problemi di chi ci ha preceduto e ricomposizione delle vicende che hanno determinato le grandi trasformazioni civili e i grandi mutamenti culturali. La storia va intesa come indagine, in tal modo le vicende specifiche superano le circostanze e si elevano a fatti comuni di tutte le civiltà.
I suggerimenti istituzionali
Nel corso dell’ultimo ventennio il MIUR ha messo in cantiere un nutrito bagaglio di iniziative tese a sostenere ed accompagnare il rinnovamento didattico della materia. A tal proposito meritano di essere ricordati il Decreto 682/1996 con cui si è cominciato a ridisegnare la mappa della suddivisione annuale del programma di Storia per la scuola media e superiore; la Direttiva 681/1996 che ha sottolineato la necessità di prevedere attività di formazione in servizio finalizzate all’acquisizione, da parte dei docenti di Storia “delle metodologie e degli ausili più idonei all’insegnamento della storia più recente”; la Direttiva 70/1997 che propone “il rinnovamento delle impostazioni metodologico-didattiche relative all’insegnamento della storia contemporanea”, disposizioni che hanno contribuito alla diffusione di indicazioni e raccomandazioni confluite successivamente nell’emanazione delle Indicazioni Nazionali per i Licei (DPR 89/2010), delle Linee Guida per gli Istituti Professionali (DPR 87/2010) e delle Linee Guida per gli Istituti Tecnici (DPR n. 88/2010).
La stagione delle intese tra Ministero e Associazioni
Originali iniziative sono state intraprese anche per attivare possibili cooperazioni con associazioni e istituti storici di ricerca disciplinare e didattica, nell’intento di migliorare la qualità degli interventi formativi ed educativi mediante strategici supporti metodologici e storiografici. Va ricordato il Protocollo d’intesa tra il Ministero e l’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia) del 2002; i Protocolli d’intesa tra il Ministero dell’Innovazione e l’Istituto della Enciclopedia Italiana del 2009; quelli tra il MIUR e la (SIS) Società Italiana delle Storiche del 2016. Tra le associazioni professionali attive nel campo della formazione storica meritano di essere richiamate l’IRIS (Insegnamento e Ricerca Interdisciplinare di Storia), la SISSCO (Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea), oltre all’IRSIFAR (Istituto Romano Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza) e al LANDIS (Laboratorio Nazionale per la Didattica della Storia). Anche con queste associazioni nel 2002 il Ministero ha stipulato intese per promuovere e monitorare attività di ricerca-azione finalizzate alla selezione dei contenuti disciplinari e all’individuazione dei nuclei fondamentali dell’insegnamento della Storia contemporanea, dell’Educazione civica e della cultura costituzionale.
Il denominatore comune di tutte queste iniziative è da individuarsi nella ricerca di una forte motivazione che spinga i giovani ad avvicinarsi, con rinnovato interesse, alla Storia come materia di studio essenziale, sia per la loro formazione di uomini e futuri cittadini, sia come memoria di un passato che è di fondamentale importanza per la comprensione delle radici del presente e la costruzione di un futuro più consapevole.
Un manifesto per migliorare l’insegnamento della storia
Purtroppo, dopo questa stagione densa di iniziative orientate a svecchiare l’insegnamento della Storia, questo intento innovativo si è molto affievolito nonostante la reintroduzione nei curricoli dell’Educazione civica (legge 92/2019) tesa a rafforzare il rapporto dei giovani con la Carta costituzionale. Nello stesso anno (2019), però, è stata eliminata la traccia storica nella prima prova scritta dell’esame di Stato, a seguito della quale lo storico Andrea Giardina, la senatrice Liliana Segre e lo scrittore Andrea Camilleri con il quale chiedendo il suo ripristino, lanciarono un manifesto teso ad incrementare nelle scuole le ore di insegnamento della storia. Da quel manifesto trasse ispirazione anche un’altra iniziativa: l’AIPH (Associazione di Public History) nella sua conferenza annuale presso il Museo del Novecento di Mestre aderì all’appello inoltrando un altro manifesto dal titolo “Storia bene comune” teso a ridare dignità nelle scuole all’insegnamento della materia. La traccia di Storia venne poi reinserita l’anno successivo.
È tempo di costruire il futuro
Ma non basta che la Storia sia ritornata in via obbligatoria fra le 7 tracce della prima prova all’esame di Stato. È necessario fare molto di più per un buon insegnamento della storia. I giovani vanno sollecitati e sensibilizzati con strumenti efficaci affinché si riapproprino della memoria delle lororadici,imparino a recuperare il passato, ad interrogarlo, ad averne cura, a riflettere criticamente sugli accadimenti del passato per comprendere il presente e acquisire competenze adatte per gestire responsabilmente il futuro che li attende.
Ed è proprio quanto ha testimoniato il Presidente Mattarella nel giorno del 2 giugno.
Con un chiaro riferimento al trascorso periodo pandemico ha rivolto ai giovani un accorato appello sollecitandoli alla ripartenza e invitandoli a raccogliere il testimone di quanti 75 anni fa riuscirono, animati da grande ottimismo, a risollevarsi dalle macerie del dopoguerra. “Questo è il tempo di costruire il futuro” – ha dichiarato il Capo dello Stato – e con l’evidente richiamo ad un testo musicale di De Gregori, ha aggiunto: “La storia siamo noi, nessuno si senta escluso”.