Nonostante la flessione di 1 o 2 anni, una delle conseguenze della pandemia, l’Italia continua a vantare un primato nel mondo grazie ad una delle più alte aspettative di vita, segno di diversi fattori che vanno dalla condivisione sociale dei progressi della medicina ad un sistema universalistico che, nonostante taluni limiti, garantisce una condizione di vita orientata alla salute.
Gli esploratori del tempo
Conosciamo i grandi esploratori dello spazio, un tempo sulla terra, oggi rivolti verso altri pianeti. Contestualmente cresce una tipologia di nuovi esploratori, quelli del tempo. Pionieri di una nuova frontiera. Il conseguimento di un’età avanzata è sempre meno una rarità, con trafiletto sui giornali, e comporta l’accentuarsi di situazioni di fragilità, sino alla non autosufficienza, sino a richiedere un welfare familiare allargato a figure dedite alla cura, all’assistenza, all’accompagnamento, comunemente dette “badanti”, per lo più provenienti dall’est Europa, in particolare di origine ucraina.
Già prima dell’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa il 24 febbraio, l’Italia era il primo Paese europeo per presenza di persone provenienti dall’Ucraina. Il numero degli ucraini nell’ultimo decennio è raddoppiato, sino ad arrivare alla cifra di 236.000, l’80% dei quali sono donne, in media di 45 anni, dotate di una formazione, con permesso di soggiorno di lungo periodo, senza figli a carico.
Un’immigrazione qualificata
È una smentita all’immagine di un’immigrazione irregolare, dequalificata e marginale. Già dal 2014, a seguito dell’invasione russa della Crimea e delle tensioni nel Donbass, circa 5000 cittadini ucraini hanno fatto domanda di protezione internazionale in Italia, il 50% uomini.
L’Ucraina è l’ottavo paese per numero di abitanti in Europa. Secondo le stime del servizio statistico statale dell’Ucraina, la popolazione, al 1° maggio 2021, esclusa la Crimea, era di 41.442.615. Attualmente, dopo lo shock della guerra scatenata dalla Russia e la fuga di milioni di profughi, tale numero si è notevolmente abbassato.
Quel che sta succedendo in Ucraina rompe l’incantesimo di una speranza di consolidare un tempo di pace in Europa. Dal 24 febbraio suonano le sirene, tuonano i cannoni, marciano i blindati, le case crivellate di colpi, incenerite, nelle strade cavalli di frisia, rovina e desolazione, materiale ma non solo materiale. Sono colpite le infrastrutture fisiche, al contempo sono distrutte le famiglie, le comunità. La sofferenza e il terrore costringono milioni di persone a tenere pronto un piccolo bagaglio di fortuna per poter fuggire, da un momento all’altro, lasciando tutto.
È un fenomeno migratorio di proporzioni bibliche, non più dal sud, questa volta dal nord est, sono milioni le persone che, comprensibilmente, cercano un riparo nei Paesi dell’Unione Europea.
La “bomba” non può essere argomento polemico
Incredibilmente, l’interdetto nucleare che, nel corso degli ultimi 77 anni, ha avuto effetti di deterrenza, è entrato a far parte del dibattito pubblico, derubricato a motivo polemico o, peggio, a minaccia possibile. Qualcosa di inimmaginabile. Si pensava che dopo Hiroshima e Nagasaki la “bomba” – come scriveva Theodor Wiesengrund Adorno – potesse servire paradossalmente ad evitare di usarla. Dimostrando, drammaticamente, ciò che non bisogna fare, ciò che bisogna assolutamente evitare.
Ripudio e accoglienza
Tra le missioni educative della scuola c’è un’idea di cittadinanza fondata sui valori costituzionali. Alcuni articoli della Costituzione, promulgata all’indomani della seconda guerra mondiale, sono rilevanti proprio per questo. Mi limito a ricordarne due, entrambi tra i Principi Fondamentali:
- l’art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”.
- l’art. 11, sul quale ha richiamato l’attenzione il Ministero dell’Istruzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…”.
Qui è espressa la volontà di un congedo – radicale e definitivo – da una politica di sopraffazione delle persone e dei popoli. Nel segno di una visione ben consapevole del fatto che la sicurezza, nazionale e internazionale, è un bene fondamentale da custodire: solo, non offendendo “la libertà degli altri popoli” o utilizzando la guerra “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
La scuola deve richiamarsi a questo patrimonio ideale. La pace non è retorica, ma realistica, lucida comprensione del fatto che la guerra produce solo guasti, distruzioni, ingiustizie, vittime. Le nostre scuole stanno facendo accoglienza giustamente nello spirito del comma 2 dell’art. 34: “La scuola è aperta a tutti”.
Quali tempi sono questi
Lo spirito di pace va vissuto anche con i piccoli gesti. Dobbiamo adoperarci perché nelle nostre aule i rapporti tra studenti di origine ucraina e studenti di origine russa possano proseguire nel rispetto reciproco, nel dialogo, nell’amicizia.
Parafrasando il verso di un poeta del secolo scorso, ci si potrebbe chiedere: “Quali tempi sono questi” quando discorrere del legame tra giovani adolescenti sembra in contraddizione con tutto ciò che sta accadendo?
Non dobbiamo dimenticare le rovine che la guerra lascia dietro di sé; ma sapere che un’esperienza educativa serena è presagio di quel futuro di normalità a cui, nonostante tutto, dobbiamo continuare a credere.
Un esodo biblico
Il movimento di profughi dall’Ucraina è comprensibilmente ingente: una triste prosecuzione di quel che accadde, da est a ovest, durante il secolo scorso. Primo approdo è la Polonia. Contestualmente l’Unione Europea ha formulato un’ipotesi di distribuzione per quote tra i Paesi europei, ma per la verità chi fugge dalla catastrofe cerca un riparo dove è possibile trovarlo e un riparo può essere garantito presso i parenti che hanno già acquisito una sistemazione nei Paesi europei. Soprattutto presso le nonne, per quanto ancora giovani.
È così che non pochi profughi ucraini raggiungono l’Italia, il padre rimane, la madre con i figli ripara presso la mamma o la suocera in Italia. Ed è la nonna, che conosce già, in genere, abbastanza bene la lingua italiana, che fa da mediatrice linguistica e stabilisce un contatto con le scuole dove iscrivere i nipoti. Sono le nonne che oggi sorreggono come una rete di solidarietà e di sussidiarietà l’impegno per la prima accoglienza.
Viktoria, Iryna, Yuriy
È Viktoria che telefona a scuola, chiede un appuntamento e si presenta accompagnando Iryna, la giovane figlia o la giovane nuora, con un giovane al fianco, Yuriy: ha espresso il desiderio di iscriversi in quella scuola dopo essersi fatto illustrare l’offerta di istruzione presente sul territorio dalla nonna.
La nota ministeriale prot. n. 781 del 14 aprile 2022, a firma del Capo Dipartimento Dr. Stefano Versari, ha per oggetto: Accoglienza scolastica per gli studenti ucraini. Indicazioni operative, e faseguito alle precedenti note ministeriali (prot. n. 381 del 4 marzo 2022 e prot. n. 576 del 24 marzo 2022). Ci spiega che: “Secondo gli ultimi aggiornamenti del Ministero dell’Interno, le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte attualmente in Italia sono 91.137, di cui 33.796 minori. Le rilevazioni quotidiane di questo Ministero riportano, a oggi, 17.657 studenti ucraini accolti nelle scuole del sistema nazionale di istruzione. Di questi, 3.728 bambini nella scuola dell’infanzia, 8.196 nella scuola primaria, 4.203 ragazzi nella scuola secondaria di primo grado e 1.530 in quella di secondo grado. Il 45% degli studenti profughi frequenta le scuole di Lombardia (22%), Emilia-Romagna (12%) e Campania (11%). Tale situazione, come noto, è in continua evoluzione”.
La scuola come infrastruttura civile
Le scuole italiane, ancora una volta, sono l’infrastruttura civile preposta a far fronte ad un’emergenza, con spirito di servizio, sollecitudine, duttile capacità organizzativa, nonostante tante difficoltà.
Accoglienza, inserimento, corsi di italiano, presa in carico di un “vissuto” che comporta sensibilità, ascolto, un’attenzione non episodica ma protratta per un tempo adeguato.
Anche in questo caso l’autonomia scolastica non è qualcosa di irrelato, ma di coordinato in un sistema di relazioni, nel sistema formativo e in quello territoriale, insieme agli enti locali, al capitale sociale, al mondo non profit, all’associazionismo e al volontariato.
Libertà ed eguaglianza
Anche così si affronta il compito della responsabilità di chi non accetta la logica della forza, della brutale esibizione del Wille zur Macht, di chi sa che la pace non è fatta solo di parole ma di azioni, di una trama di propositi e fatti concreti che mostrano che si può fare, che ci si deve provare.
Occorrono costruttori di pace tenaci e concreti. Dotati di una strategia e di un pensiero. Nel suo saggio sulla pace perpetua il filosofo Immanuel Kant ha spiegato come sia indispensabile il rispetto del diritto internazionale inteso come estensione di quello pubblico che prevede la libertà di ogni membro della società in quanto uomo insieme all’uguaglianza con ogni altro uomo. Non c’è pace senza libertà ed eguaglianza.
Questa volta bisogna abbattere i muri prima che vengano eretti
È bene diffidare da chi ha verità in tasca. Occorre riflessione, ponderazione, guardando al mondo che vogliamo. Un mondo di contrapposizioni, ostilità e muri? O un mondo che comprende la convenienza di tutti ad un ragionevole margine di cooperazione reciproca? Questa volta bisogna abbattere i muri ancor prima che vengano eretti.
La pace deve diventare una missione possibile. Questo non significa confondere aggrediti e aggressori. Non ci sono dubbi su qual è la parte giusta, quella di chi è stato aggredito. Nessuna equidistanza. Sostenere gli aggrediti pensando al futuro di un nuovo ordine che consenta la convivenza pacifica tra popoli e nazioni. Se vuoi la pace prepara il dopoguerra. Allo stesso tempo deve essere chiaro che questa guerra va fermata prima che degeneri ulteriormente e che sfugga di mano.