Sono molte le scuole che hanno l’abitudine di caricare gli studenti, anche piccolissimi, con troppi compiti a casa, e molti solo coloro che considerano “fannulloni” quelli che non riescono a soddisfare tale impegno. È un’abitudine abbastanza diffusa nel nostro Paese e completamente estranea a livello europeo.
I compiti devono essere “sostenibili”
Le scuole, quelle dove si danno compiti a casa persino ai bambini che frequentano il tempo pieno nella primaria, non hanno la percezione che dopo otto ore di immobilità obbligata in aule più o meno confortevoli, l’impegno richiesto potrebbe essere percepito come un accanimento e provocare una vera e propria disaffezione nei confronti dello studio, un rifiuto per la lettura e, a volte, anche atteggiamenti negativi nei riguardi della cultura in genere. Dai dati OMS sembra proprio che i giovani studenti italiani risultino quelli più stressati e insofferenti.
Assegnare un numero eccessivo di compiti non serve, dunque, a garantire il conseguimento di competenze di eccellenza. È esatto il contrario. I livelli di analfabetismo funzionale, registrati tra i diplomati italiani, sembrano purtroppo non indignare quasi nessuno.
Gli insegnamenti dei pedagogisti
Sarebbe necessario riflettere su questi effetti ripercorrendo le indicazioni dei tanti pedagogisti che ci hanno suggerito le strategie migliori per stimolare l’apprendimento e far crescere la nostra scuola. Freinet ci ha fatto capire con tanti esempi che gli studenti sono in grado di fare sacrifici, purché siano sensati, non smodati, “sostenibili” e apprezzabili; Rodari ci ha insegnato come si può imparare (meglio) sorridendo e con gioia.
Lo studente che “ha capito bene” non ha bisogno di fare i compiti, li sa fare, perciò è inutile assegnarli (e non è così vero che li faccia comunque volentieri). Chi non “ha capito” non riesce a farli senza che qualcuno gli stia accanto e gli spieghi di nuovo la lezione. L’impotenza di fronte ad un compito che non si sa risolvere può diventare motivo di depressione e perdita di autostima.
A casa i docenti non ci sono
La scuola non può delegare allo studente e alle famiglie (ammesso che la famiglia ci sia sempre) la soluzione dei suoi problemi; men che mai può respingere o emarginare chi sia diverso, chi non sappia, chi non abbia voglia di sapere e considerare lo studente che non si adatta alle regole della scuola come un problema da rimuovere. Deve, al contrario, riconoscerli tutti alla stessa maniera e riservare ad ognuno le strategie più adeguate. È a scuola, dunque che si deve sostenere l’allievo aiutandolo a ragionare, a riflettere sui problemi, ad attivare comportamenti metacognitivi. A casa l’insegnante non c’è e non è giusto delegare alle famiglie responsabilità che attengono solo alle istituzioni scolastiche.
Calibrare il carico cognitivo
Sarebbe interessante verificare quanto sia diffusa la compilazione della parte dei Registri elettronici, in uso, nella quale si può quantificare l’impegno orario richiesto, a giudizio del docente, per lo svolgimento dei compiti assegnati, stimando, in apposita casella, i minuti necessari. Sarebbe un’operazione di buonsenso in quanto permetterebbe a ogni docente di considerare il carico di lavoro quotidiano complessivo che viene richiesto agli studenti. Bisognerebbe mettere sempre a confronto i compiti di ogni insegnante per verificarne la fattibilità. Un buon lavoro cooperativo tra colleghi consentirebbe di regolarli in base al tipo di insegnamento, in base alla necessità di rinforzo immediato che un aspetto della disciplina potrebbe richiedere, ma soprattutto in base ai problemi reali degli studenti.
Sembrerebbe, da dati informali, che questa sezione del registro sia poco “frequentata”. Diversamente ci si accorgerebbe che, con tutta probabilità, la somma totale dei “minuti” stimati potrebbe risultare eccessiva rispetto al tempo che ogni studente può effettivamente sostenere.
Ignorare questo passaggio significa operare in una situazione di inconsapevolezza. È un comportamento che non tiene conto dell’importanza del lavoro collegiale e cooperativo. Se i docenti non si curano di valutare il carico di lavoro complessivo continuando ad assegnare i propri compiti in maniera autonoma, gli studenti continueranno ad avere difficoltà e i genitori saranno costretti a ricoprire un ruolo totalmente improprio.
Ponderare i carichi di lavoro a casa e il diritto al tempo libero
Sarebbero auspicabili iniziative del Ministero volte a sollecitare le scuole affinché adottino modalità ponderate e condivise su questo tema, per chiedere ai docenti di considerare oculatamente il carico cognitivo giornaliero, attraverso una stima complessiva dell’impegno richiesto, garantendo i tempi per il riposo e per attività libere, in particolar modo nei giorni festivi e durante le vacanze. La pratica dei “compiti per le vacanze” resta ancora un ossimoro pressoché generalizzato.
Un intervento di siffatto tenore rientrerebbe nelle prerogative del Parlamento e del Governo, non sarebbe in contrasto con la “libertà di insegnamento” del singolo docente, con l’autonomia delle scuole e neppure con le attribuzioni del dirigente scolastico, e risulterebbe ampiamente legittimato dalla necessità di garantire allo studente il “diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…” sancito dall’art. 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dallo Stato italiano il 27 maggio 1991, con legge n. 176.
Un esempio di “regolacompiti”
A titolo esemplificativo, si riporta un esempio di “Regolacompiti” che una scuola ha ideato per il primo ciclo di istruzione.
- I docenti che decidano di assegnare compiti a casa si impegnano a trovare le strategie per correggerli a tutti – altrimenti non avrebbe senso farli.
- I docenti che decidano di assegnare compiti si impegnano a preparare adeguatamente gli studenti perché siano in grado di svolgerli per proprio conto (devono verificarlo e garantirlo ai genitori) – sarebbe assurdo e umiliante chiedere loro di fare ciò che non sanno fare.
- Ai compiti svolti a casa non deve essere assegnato alcun voto – il docente non può sapere come e da chi siano svolti.
- I compiti non fatti non possono essere “recuperati” sacrificando la ricreazione a scuola che per nessun motivo, men che mai “disciplinare”, deve essere ridotta o annullata – gli studenti ne hanno bisogno e diritto.
- I compiti non svolti durante i periodi di assenza (esempio, per malattia) non devono essere recuperati – non sarebbe possibile e si rischia di perdere le nuove acquisizioni.
- La giustificazione del genitore per il mancato svolgimento dei compiti deve essere recepita evitando reprimende o punizioni – umilianti per lo studente e offensive per le famiglie.
- Nelle classi a 40 ore (tempo pieno), non si assegnano compiti: le attività didattiche devono esaurirsi nelle 8 ore di lezione – pretendere un ulteriore impegno sarebbe controproducente.
- I docenti che decidano di assegnare compiti pomeridiani verificheranno, preventivamente, che non richiedano a nessuno studente un impegno giornaliero complessivo che superi:
- 10 minuti nelle classi prime della scuola primaria
- 20 minuti nelle classi seconda e terza
- 30 minuti nelle classi quarta e quinta
- 40 minuti nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado
- 50 minuti nelle classi seconde
- 60 minuti nelle classi terze.
- Non devono essere assegnati compiti “di punizione” – pratica didatticamente aberrante e inammissibile che svilisce lo studio, l’impegno degli studenti e ne tradisce il senso.
- Non devono essere assegnati compiti nel fine settimana e durante i periodi di vacanza o sospensione delle lezioni – agli studenti deve essere garantito il “diritto al riposo e al gioco”, e alle famiglie il diritto di ritrovarsi.