Nella turbolenta fase di insicurezza collettiva, causata dalla simultanea emergenza della perdurante pandemia e del conflitto bellico da poco esploso nel cuore dell’Europa, i nuovi “Orientamenti interculturali”, illustrati il 17 marzo scorso presso l’Università degli Studi Roma Tre alla presenza del Ministro Bianchi, rappresentano l’intenzione educativa e la risposta della scuola italiana al bisogno di pace, di fratellanza e di speranza della famiglia umanitaria che popola il nostro territorio.
Scuola inclusiva e solidale
L’iniziativa, curata dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero dell’Istruzione, ben si inserisce nella stretta attualità che vede molte scuole italiane impegnate ad offrire accoglienza a bambini e ragazzi provenienti dalle zone di guerra nell’intento di assicurare “il sostegno necessario per una serena prosecuzione del loro percorso scolastico”. La scuola italiana, da sempre inclusiva e solidale, ancora una volta si è aperta a processi di accoglienza umanitaria e, rendendo concreta testimonianza del dovere di solidarietà richiesto dalla nostra Costituzione, si è profilata come casa e rifugio, luogo di riscatto e di salvezza per chi fugge dalla guerra.
Scuola di accoglienza e aggregazione
La nostra scuola, come comunità educante e primo esercizio di civiltà e democrazia, ha avuto da sempre vocazione all’accoglienza e all’inclusione, ma tale fisionomia deve ora riprofilarsi alla luce degli avvenimenti degli ultimi tempi, dalla pandemia al conflitto in Ucraina, affinché possa continuare a configurarsi come ambiente in grado di accogliere, includere ed educare alla interculturalità e alla cittadinanza. È questo l’obiettivo dei nuovi “Orientamenti interculturali”: forgiare una scuola come spazio di incontro, di aggregazione e integrazione fra tradizioni e culture diverse, come ambiente vivo, dinamico, animato da intenzioni, desideri e senso di appartenenza. Ed è questa la descrizione della scuola che emerge nella prima delle tre parti in cui si articola il documento.
Scuola del dialogo
Infatti, nella prima sezione denominata “Il contesto e i riferimenti”, dopo aver delineato il nuovo volto del fenomeno migratorio ed enunciato quelle criticità che, continuando a permanere nel tessuto sociale, il documento si permea dei tratti distintivi che dovrebbero connotare la nostra scuola. Una istituzione sociale pubblica fa della diversità[1] e del dialogo[2], inteso come umiltà e capacità di ascolto, gli elementi propulsivi della pratica educativa. Il dialogo è la vera sfida verso una condivisa azione cooperativa da realizzarsi mediante un’intenzionale creazione di momenti di contatto tra culture diverse, in cui la regola è aprirsi alla relazione con gli altri.
Per poter approdare ad una conciliazione dialettica e costruttiva è necessario, infatti, costruire rapporti significativi in una prospettiva di partecipazione e condivisione, perché la convivenza senza dialogo, senza fecondità di relazioni, senza una fiduciosa conoscenza reciproca si traduce solo in una giustapposizione di storie, senza interazione fra chi arriva da lontano e chi vive stabilmente in un luogo. Entrambe le parti devono proporsi come sistemi aperti affinché la reciprocità tra la società ospitante e gli immigrati possa funzionare proficuamente.
Scuola dell’incontro
Da spazio pedagogico che scaturisce dall’impegno educativo di ogni singola comunità, la scuola deve trasformarsi in luogo dell’incontro[3], costituito e disciplinato da quello spirito interculturale che, superando la molteplicità delle esperienze conoscitive, è proteso a costruire un habitus e un habitat nutriti di dialogo, di confronto e di intesa reciproca: uno spazio abitato da modelli culturali diversi, plurali e asimmetrici per identità e appartenenze, ma che nel contesto educativo sono destinati a porsi in relazione gli uni con gli altri, accordarsi e far maturare aperture comuni, seppur nel rispetto delle differenze e del loro intrinseco valore. Perché l’intercultura, pur non negandole, conduce oltre le singole identità verso un orizzonte di vita, di relazione e di scambio costruito sull’incontro e sul métissage[4].
Scuola come luogo di mediazione
D’altra parte l’incontro, intriso di sorpresa e sospetto, ma anche di attrazione e riconoscimento, si realizza solo tra diversi perché tra identici si compie solo un rispecchiamento reciproco: è dall’incontro che scaturisce il confronto, dal quale prende poi le mosse il dialogo, la pattuizione delle regole e la reciproca accoglienza. Non bisogna, pertanto, chiudere gli occhi di fronte al diverso per paura di poter essere sopraffatti da tradizioni culturali altre rispetto alla nostra, ma occorre, caso mai, aprirli ancora di più cercando di guardare e accogliere il mondo nella sua molteplicità. E la scuola, ponendosi come luogo di mediazione tra culture diverse, è il terreno privilegiato per creare quello scambio tra sistemi culturali in grado di consentire una reale comprensione delle diversità senza svalutare l’alterità.
Scuola internazionale
Un’altra connotazione di scuola che emerge dal testo dei nuovi “Orientamenti interculturali” è la nozione di “scuola internazionale”[5], perché il senso dell’armonia, della comprensione, della condivisione, del procedere insieme verso orizzonti di giustizia e di pace coincide con il senso dell’appartenenza ad un mondo senza confini. “Le scuole internazionali” con riferimento a “istituti fortemente connotati da multiculturalità e multilinguismo”[6] dilatano gli orizzonti dei ragazzi e permettono loro di interagire con un universo che comprende linguaggi, tradizioni e realtà culturali diverse, in modo tale da poter crescere a livello cognitivo, emotivo e sociale in un contesto caratterizzato da una molteplicità di culture in seno ad una società in divenire che continua a plasmarsi e configurarsi sempre più come multietnica.
Scuola di frontiera
È necessario acquisire consapevolezza che esistono culture diverse, che danno vita ad un pluralismo di punti di vista, e che ci sono dei confini anche se non è semplice disegnarli. Ma è bene anche ribadire che, accanto ai confini, esistono le frontiere, ossia i luoghi dell’incontro. Il concetto di cultura trova la propria collocazione proprio là dove è stato gettato un ponte o si è aperta una porta tra culture, alla frontiera appunto, anzi è la cultura stessa che si fa frontiera. Perché la cultura non ha casa e non ha confini: viaggia nel tempo e nello spazio scavalcando il presente per cavalcare il futuro. La cultura funge, pertanto, da ‘filtro’ che la sottrae a logiche di appartenenza e di stanzialità, travalica nazionalismi e integralismi, supera particolarismi e marginalità negando il valore dello spazio, dell’habitat e della relativa circoscritta antropologia a favore di un valore di tempo in cui la cultura stessa si eleva a livelli di trans-nazionalità, smaterializzando così la tradizionale categoria dell’assolutezza e compiutezza del sapere.
Scuola di cittadinanza
Il richiamo alla cittadinanza emerge ripetutamente e con forza dal documento dei nuovi “Orientamenti interculturali”, specialmente nella seconda parte che va sotto il nome di “I soggetti destinatari delle azioni” dove al tema della cittadinanza è riservato un intero paragrafo.
Educazione alla cittadinanza, come chiarisce la stessa etimologia del termine[7] è innanzitutto educazione alla città e all’esercizio del ‘diritto alla città’ per quanto inserita oggi nel più ampio contesto nazionale, sovranazionale, planetario. Ma il concetto di cittadinanza, che assurge oggi a parola-chiave nell’ambito del lessico filosofico-politico contemporaneo, assume una dimensione pregnante anche nel linguaggio pedagogico. La cittadinanza infatti, non è solo una caratteristica anagrafica e giuridica, strumento di accesso alla sfera dei diritti umani, ma anche veicolo di inclusione e di integrazione, mezzo di promozione sociale e di partecipazione attiva alla vita comunitaria.
Sotto questo profilo, il concetto di cittadinanza include anche la dimensione spirituale e culturale delle persone: una prospettiva che riguarda il sentimento e la coscienza della propria identità, della propria e dell’altrui dignità. La nozionedi cittadinanza è l’espressione che meglio riesce a coniugare il livello di appartenenza locale e nazionale con quello internazionale, e la scuola, definita come “il primo luogo di cittadinanza”[8], sta ad indicare il cammino progressivo verso un unico sistema universale caratterizzato dalla coesistenza di tante identità e appartenenze, dove il cittadino globale è colui che esercita i propri diritti non solo in quanto cittadino, ma anche e soprattutto come persona, con una sua storia ed un suo percorso, un suo carattere unico ed irripetibile. Ne discende che essere cittadini significa appartenere, essere parte del proprio contesto di vita e, al contempo, aprirsi all’orizzonte multietnico e multiculturale. Significa anche saper rispettare e valorizzare le diversità, essere solidali, vedere nello scambio e nell’interazione una risorsa, una fonte di arricchimento.
Scuola come città educativa
Nell’antichità era la città lo scenario dello spazio pubblico. L’agorà, il teatro e successivamente la piazza, le strade, i cortili, i caffè erano accesi dalla convivenza tra estranei, densa di relazioni e di tensioni ma anche ricca di significati. Oggi, nell’era della globalizzazione, è ancora la città che diventa punto di incontro e matrice di nuove forme di convivialità, di innovative pratiche di democrazia: la città, ovvero la grande metropoli globale, si configura oggi come un tessuto estremamente complesso, stratificato dal tempo e variabile nello spazio, rutilante, segnato dai tratti della transitorietà e incompiutezza, una trama di relazioni e significati condivisi, un intreccio di memorie e di mondi, uno spazio vissuto, un luogo in cui si condensa e si esplica la variegata esperienza umana. Da qui lo spunto per una nuova definizione di scuola come “città educativa”[9]. È la qualificazione più adeguata per rappresentare la convivenza molteplice e differenziata, in seno ad uno stesso tessuto sociale, di dimensioni, linguaggi, tradizioni, costumi, prospettive e per promuovere l’inclusione mediante l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile.
Scuola come rete interistituzionale
Nella terza parte del documento, intitolato “Le attenzioni e le proposte”, il testo individua negli Uffici scolastici regionali, negli Ambiti territoriali e nelle Scuole-polo strumenti utili per definire interventi e promuovere azioni mirate e coordinate in vista di una cultura di rete da realizzarsi “attraverso patti educativi”[10] ma anche “attraverso un collegamento tra reti di scuole che possano condividere pratiche, informazioni ed esperienze”[11], in grado di valorizzare i ruoli di ciascun soggetto scolastico e attuare quella collaborazione interistituzionale indispensabile per un impegno razionale ed efficace delle risorse stanziate con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tra gli interventi enunciati merita il richiamo all’insegnamento trasversale dell’Educazione civica e della Lingua italiana come L2 e alla valorizzazione del plurilinguismo come base essenziale per il confronto, il superamento dei divari territoriali, la formazione continua e l’orientamento.
Scuola come lingua per comunicare
In particolare, per un efficace inserimento degli alunni stranieri nelle nostre scuole, bisogna intervenire per favorire un buon apprendimento della lingua italiana, sia come lingua della sopravvivenza e della risoluzione di problemi emergenziali, sia come lingua veicolare per l’apprendimento e il successo formativo. Tale impegno non va a minimizzare la cultura d’origine e la “lingua parlata nel contesto familiare”[12]. È importante che anche lo studente straniero scopra l’universo dell’altro e comprenda il suo sistema culturale interiorizzando i suoi codici di riferimento.
Il contatto tra etnie, culture e religioni diverse richiede a ciascuno un radicamento più profondo nella propria identità culturale ed esige, al tempo stesso, la disponibilità ad apprezzare la cultura degli altri. Strumenti importanti per avviare processi di fusione di tanti patrimoni diversi sono l’ascolto e il confronto, l’incontro e l’accoglienza.
[1] F. Cambi, La sfida della differenza. Itinerari italiani di pedagogia critico-radicale, Clueb, 1987.
[2] N. Valenzano, Il dialogo. Dimensioni pedagogiche e prospettive educative, Unicopli, 2021.
[3] G. Milan, Educare all’incontro: La pedagogia di Martin Buber, Città nuova editrice, 1994.
[4] A. Dupront, L’Acculturazione, Storia e scienze umane, Einaudi, 1967 (seconda edizione).
[5] “Orientamenti interculturali: idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori”, marzo 2022, pag. 15.
[6] Ibidem pag. 15.
[7] Dal latino civitas che indica, sia la comunità dei cittadini, degli individui che abitano la città, sia la condizione qualificante del civis.
[8] “Orientamenti interculturali: idee e proposte per l’integrazione di alunni e alunne provenienti da contesti migratori”, marzo 2022, pag. 23.
[9] Ibidem pag. 14.
[10] Ibidem pag. 29.
[11] Ibidem pag. 32.
[12] Ibidem pag. 34.