Ripercorrere con la mente il primo anno di insegnamento per chi ha iniziato la propria carriera come docente di scuola primaria o dell’infanzia negli anni Novanta, o ancora prima, significa rivivere i timori, le ansie e il senso di inadeguatezza di fronte alla classe. Non giovava il sentirsi “armato” solo di teoria, mancava l’esperienza “sul campo”, né erano di conforto le sporadiche ore di tirocinio durante la formazione magistrale.
C’era una volta la legge 471/1996
A porre rimedio a tale situazione fu la Legge 31 luglio 1996 n. 471, che precisò modalità di svolgimento e contenuti del Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, corso di studi quadriennale strutturato in un biennio comune e in due indirizzi, uno per la scuola elementare e l’altro per la scuola materna, che prevedeva un curriculum articolato in attività teoriche, laboratoriali e di tirocinio[1].
Il tirocinio era attivato dal primo anno di corso e veniva svolto presso una scuola con la sola guida di un insegnante, ma presto siffatta pianificazione si mostrò non adeguata all’avvicinamento alla professione del futuro docente: la semplice osservazione delle attività scolastiche, senza uno spazio di riflessione e con l’affiancamento a maestri non selezionati, si rilevò poco efficace.
E poi vennero i Supervisori
Con il D.M. 2 dicembre 1998 la conduzione del tirocinio venne affidata ad una nuova figura professionale: il Supervisore, dirigente o docente distaccato all’Università per l’intero orario di servizio o con orario suddiviso tra scuola ed Ateneo. Il suo compito era quello di accompagnare lo studente verso la costruzione del sé professionale.
Persona di scuola “prestata” all’Università, il Supervisore si interfacciò con i docenti e con gli organi di Facoltà riuscendo gradatamente, seppur con una certa fatica, a far riconoscere il proprio ruolo e le proprie specifiche funzioni. L’introduzione della nuova figura professionale nell’organigramma dell’Università comportò il riconoscimento dell’importanza, per la formazione dei nuovi docenti, della collaborazione con le scuole e del contributo di insegnanti esperti.
Dai supervisori ai tutor
L’efficacia del tirocinio nella formazione dei maestri diede le mosse nel 2009 ad una ricerca universitaria[2] che coinvolse diverse comunità scientifiche, dal Nord al Sud d’Italia, guidate dai proff. Cosimo Laneve ed Elio Damiano. Si trattò di un’indagine partecipativa, con il “Supervisore in servizio” oggetto e soggetto dello studio; lo strutturarsi della professionalità del “Formatore pratico” venne ripercorso attraverso l’analisi dei testi scritti sulle proprie routine lavorative. La ricerca aveva uno scopo alto: delineare le caratteristiche salienti del Supervisore di Scienze della Formazione Primaria, al di là dell’influenza delle differenti realtà contestuali, per indicarle agli esperti del Ministero interessati al riordino della formazione degli insegnanti. Infatti, di lì a poco, il D.M. 10 settembre 2010 n. 249 riformò il corso di laurea, che divenne laurea magistrale a ciclo unico abilitante all’insegnamento nei due ordini di scuola Primaria ed Infanzia.
Per il tirocinio le novità sono state molte e vantaggiose: è stato statuito un impianto nazionale, pur salvaguardando l’autonomia dei singoli Atenei; l’inizio delle attività è stato trasposto al secondo anno di corso per rispondere alla sentita esigenza di permettere agli studenti, prima dell’ingresso nelle classi, di consolidare la propria base teorica, in specie a coloro, sempre più numerosi, provenienti da percorsi scolastici non direttamente orientati all’insegnamento, quali licei di diverso indirizzo ed istituti tecnici e professionali. Inoltre al Supervisore subentrerà una nuova figura professionale: il Tutor. Questo trova anche più spazio nella Commissione di laurea, che viene integrata da due Tutor in luogo del singolo Supervisore.
Le tipologie di tutor
Il Decreto citato ha previsto tre diverse tipologie di Tutor con compiti diversi e complementari:
- al tutor dei tirocinanti è assegnato l’incarico di orientare gli studenti riguardo agli assetti organizzativi e didattici dell’Istituzione scolastica e della propria scuola;
- ai tutor coordinatori sono affidati i compiti di rapportarsi coi tutor scolastici, supervisionare e valutare le attività del tirocinio diretto ed indiretto e seguire lo studente nella preparazione delle relazioni annuali e della Relazione finale da portare in seduta di laurea;
- ai tutor organizzatori viene assegnato il compito di gestire i rapporti con gli organi del Dipartimento, con l’Ufficio Scolastico Regionale e con i Dirigenti Scolastici delle scuole convenzionate con l’Ateneo; di assegnare ai tutor coordinatori, di anno in anno, il contingente di studenti da seguire; di ritagliare per sé stessi anche spazi di attività didattica, per seguire in modo personalizzato studenti con particolari esigenze.
L’accompagnamento riflessivo
Il tirocinio si svolge come apprendimento in situazione in tempi e modalità interdipendenti e comprende il tirocinio diretto e quello indiretto
- Il tirocinio diretto è compiuto con l’accompagnamento del tutor dei tirocinanti, che ospita lo studente nella propria classe di scuola primaria o nella sua sezione di scuola dell’infanzia, e che accompagna e monitora il suo percorso.
- Il tirocinio indiretto prevede attività in piccoli gruppi di analisi e riflessione sull’esperienza vissuta nella scuola. I tirocinanti ripercorrono gli eventi vissuti focalizzandosi sulle problematiche emerse, si confrontano con il tutor coordinatore, il quale partendo dalle loro prime conoscenze li conduce ad individuare le metodologie e le pratiche didattiche più opportune per quella situazione e quel contesto scolastico.
Superando la concezione classica di mera applicazione di quanto appreso sul piano teorico, ma comunque ispirandosi al modello culturale consolidatosi nella pratica universitaria, il tirocinio si configura come accompagnamento riflessivo dello studente, affinché acquisisca gradatamente consapevolezza del proprio sapere, ricostruisca il senso dell’esperienza, renda esplicite le teorie sottese all’azione, in quella relazione continua tra esperienza e riflessione, tra sapere pratico e sapere teorico.
È qui che si costruisce la professionalità̀ del docente: “La conoscenza è dentro l’azione, essa è implicita nei modelli della propria azione e nella sensibilità con la quale si affrontano le cose”[3].
Tempi e modi per il tirocinio
Il Tirocinio[4], a partire dal DM 249/2010, si svolge secondo un flusso diacronico con un aumento progressivo del numero di ore e dei relativi crediti formativi universitari dal secondo al quinto anno[5].
- Nel secondo anno di corso (1° di tirocinio) sono previste attività di osservazione nei due ordini di scuola, infanzia e primaria; i campi di indagine privilegiati sono la conoscenza degli assetti organizzativi e funzionali della scuola dell’autonomia, l’analisi dei documenti identitari della scuola accogliente, la relazione educativa e le funzioni della mediazione.
- Il secondo anno di tirocinio è incentrato sui processi di intenzionalità educativa del docente, sul Curricolo verticale e le attività didattiche con riferimento ai campi di esperienza/aree disciplinari.
- Le esperienze di tirocinio nel terzo e quarto anno si caratterizzano per l’accompagnamento attivo del tirocinante in un’esperienza di insegnamento praticata nella classe o sezione accogliente. Il tutor ne supervisiona il completo percorso dalla fase di progettazione all’attuazione alla sua valutazione e documentazione; in tal modo il tirocinante si sperimenta in un compito di realtà in forma protetta.
- In particolare nel quinto anno di corso lo studente, avvalendosi delle competenze maturate nel quadriennio di tirocinio, elabora un percorso educativo-didattico in prospettiva inclusiva, a beneficio di tutti gli alunni della classe/sezione, la cui narrazione costituisce la Relazione finale da discutere in seduta di laurea insieme alla Tesi di base. La valutazione della relazione finale e delle quattro annualità di tirocinio concorrono alla determinazione del voto finale di laurea, aggiungendosi al totale dei voti riportati dallo studente.
Dai progetti di tirocinio alle buone pratiche
Il Progetto di Tirocinio viene periodicamente rivisto dai tutor universitari, coordinati dal presidente del Corso di laurea, per aggiornalo in riferimento ai cambiamenti normativi intervenuti e agli “incidenti critici” rilevati nel confronto narrativo coi tirocinanti o attraverso l’esame delle schede di monitoraggio redatte dai tutor scolastici. Insieme si analizzano le azioni didattiche inefficaci e si condividono le strategie individuate e sperimentate per la risoluzione del problema, in modo da creare un patrimonio comune di “buone pratiche” a cui attingere per progettare le attività e predisporre gli strumenti di supporto al tirocinio: i protocolli osservativi, il materiale di approfondimento utile all’autoformazione assistita dello studente, la rivisitazione dei Kit di formazione e la sostituzione delle schede divenute obsolete con schemi di lavoro rispondenti alle nuove istanze[6].
Le attività didattiche del tirocinio e l’intero percorso universitario che raccoglie le più recenti acquisizioni del dibattito pedagogico nazionale ed internazionale, sono verosimilmente bastevoli a formare docenti capaci di “condurre” una classe e di personalizzare l’insegnamento per sviluppare al massimo grado il potenziale di ogni allievo.
Le criticità della politica del numero chiuso
L’impalcatura costruita dalle norme evidenzia però alcune criticità. Il Decreto 249/2010 prevede che il Corso di laurea sia a numero programmato, stabilito sulla base del fabbisogno di personale docente delle scuole statali maggiorato del 30%, ma la politica del “numero chiuso” ha mostrato la sua inefficacia anche nel campo scolastico. Di fatto, la carenza di docenti nelle scuole del centro e del nord Italia ha spinto il Ministero ad autorizzare i Dirigenti scolastici a servirsi di studenti al terzo anno di frequenza universitaria, con all’attivo una sola annualità di tirocinio, portando nuovamente in cattedra docenti privi di esperienze di insegnamento in situazione protetta.
Altro vulnus è costituito dall’aumento di iscrizioni al Corso di laurea di adulti in cerca di una seconda occasione lavorativa. Ci si augura si tratti di una scelta consapevole, dettata dal voler seguire una vocazione in precedenza sopita, e che non rappresenti invece solo un necessario ripiego. Occorre che si prenda coscienza del peso socio-politico ricoperto dalla professione docente e non si accetti di ridurla ad un ammortizzatore sociale.
È necessario che gli insegnanti vengano selezionati soprattutto sulla base della motivazione affinché essi stessi sappiano a loro volta motivare i propri allievi. Solo così il processo di insegnamento-apprendimento potrà diventare sempre più efficace e ricadere proficuamente sull’intero Paese.
[1] Con la legge 28 marzo 2003, n. 53, art. 5, l’esame di laurea sostenuto a conclusione dei Corsi in scienze della formazione primaria, acquisisce valore di esame di Stato e abilita all’insegnamento, rispettivamente, nella scuola materna o dell’infanzia e nella scuola elementare o primaria.
[2] La ricerca è stata condotta dal Gruppo “Analisi delle Pratiche Educative” (APRED) e ha interessato le realtà universitarie di Bari, Cattolica di Milano (sede di Brescia), Macerata, Milano Bicocca, Milano SILSIS, Napoli Suor Orsola Benincasa, Padova-Verona, Palermo, Perugia, Torino.
[3] Donald A. Schӧn, Il Professionista riflessivo, 1983 New York, 1993 Edizioni Dedalo srl, Bari.
[4] Cfr. progetto di tirocinio dell’Università Suor Orsola Benincasa, Napoli.
[5] Le attività di tirocinio si svolgono per complessive 600 ore, pari a 24 crediti formativi universitari.
[6] Nell’a.s. 2019/2020 per il periodo in cui le attività di tirocinio in presenza sono state sostituite dalla DAD, venne utilizzato in luogo del classico Kit un apposito supporto “smart”, finalizzato alla realizzazione di protocolli descrittivi calibrati sull’attività di didattica a distanza adottata dalla scuola.