In questa fase della vita scolastica il richiamo alla didattica per competenze si sta facendo sempre più esplicito. I saperi restano sempre gli aspetti fondamentali che caratterizzano il fare scuola, ma, da soli, servono a poco. Come ripeteva Umberto Eco: essere “colti” non significa essere imbottiti di nozioni, ma saper trovare le conoscenze dove sono, quando servono. La scuola è quel luogo, unico e inconfondibile, in grado di insegnare ad orientarsi nel mare magnum delle conoscenze, aiutare gli studenti a saperle applicare nella quotidianità e a usarle per i loro progetti di vita. La scuola non è il luogo degli adempimenti, ma della crescita culturale e civile.
Il passato che non passa
Il nostro sistema scolastico è ancora retaggio del Neoidealismo di Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) e di Giovanni Gentile (Castelvetrano, 29 maggio 1875 – Firenze, 15 aprile 1944). Entrambi, non casualmente, Ministri della Pubblica Istruzione[1].
Non sempre si ricorda che la stessa Istruzione tecnica ha preso avvio dalla riforma Gentile del 1923[2], così come i Licei scientifici, in un primato, tuttavia, affidato all’Istruzione classica, di primo grado nei Ginnasi, di secondo nei Licei.
All’apice di questa tendenza è stato il più recente tentativo di “liceizzare” la stessa istruzione tecnica con la riforma Moratti (legge n. 53 del 28 marzo 2003, art. 2, comma 1, lettera f) poi superato dalla Legge n. 40 del 2 aprile 2007 (art. 13, comma 1).
A distanza di quasi un secolo dalla riforma Gentile, ancora oggi si risentono gli effetti. Lo testimonia il primato dei Licei che persiste anche nelle iscrizioni che si sono appena concluse: secondo il dato diffuso dal Ministero, il 56,6% degli studenti ha scelto il percorso liceale.
Per un umanesimo comprensivo
L’offerta formativa nella scuola secondaria del secondo ciclo è composita e articolata. Lo stesso concetto di umanesimo è così ricco da comprendere la scienza, la tecnologia e le loro applicazioni. Non a caso, nel Rinascimento, il pittore poteva essere anche scienziato: è la storia di Leonardo, ma non solo.
Può essere interessante osservare come la stessa letteratura si nutra di una varietà di accenti. Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo o Il Saggiatore fanno parte della storia della letteratura italiana al punto che, secondo Italo Calvino, Galileo Galilei sarebbe stato tra i maggiori scrittori in lingua italiana, fonte di ispirazione anche per Leopardi.
Esempi illustri di nuovo umanesimo
Rilevanti scrittori del Novecento, o contemporanei, vengono da una formazione non strettamente letteraria. Robert Musil era un ingegnere meccanico. Aleksandr Isaevič Solženicyn era laureato in Matematica. Primo Levi in Chimica. Laureato in Chimica anche Elias Canetti. Carlo Emilio Gadda in Ingegneria Elettrotecnica. Non pochi sono gli scrittori provenienti da una formazione giuridica. Marcel Proust era laureato in Legge.
Particolare è la storia di Franz Kafka: iniziò a studiare Chimica, poi passò a Giurisprudenza, per essere assunto dalle Assicurazioni Generali di Trieste dalle quali si dimise entrando nell’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni del Regno di Boemia.
Alberto Arbasino, tanto snob da farsi portavoce della “casalinga di Voghera”, era laureato in Diritto Internazionale. Eugenio Montale, premio Nobel per la Letteratura nel 1975, aveva frequentato l’Istituto Tecnico Commerciale “Vittorio Emanuele”, dove si era diplomato in ragioneria. Così pure uno dei maggiori giornalisti del secolo scorso, Enzo Biagi, diplomato, sotto le Due Torri, nell’Istituto Tecnico “Pier Crescenzi”.
Due scrittori dell’attuale panorama letterario italiano sono magistrati: Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo: il primo ha dato le dimissioni, dichiarando di volersi dedicare alla scrittura a tempo pieno; il secondo è tuttora giudice della Corte d’Assise di Roma. Paolo Giordano, al quale dobbiamo acute riflessioni sulla pandemia, è laureato in Fisica. Si potrebbe continuare.
Dunque, si può saper scrivere senza aver frequentato un Liceo o una Facoltà di Lettere.
Le competenze-chiave per l’apprendimento permanente
Le conoscenze sono indubbiamente alla base delle abilità e delle competenze, le quali possono essere acquisite attraverso un apprendimento formale, ma anche non formale o informale. In controtendenza rispetto alla tradizione neoidealistica, verso questa prospettiva il sistema scolastico italiano è stato incoraggiato dall’Europa, di cui l’Italia è tra i Paesi fondatori e ha cercato di concretizzarla attraverso la partecipazione ai progetti europei.
In particolare con il recepimento delle Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio EU del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008 si è consolidata l’importanza sia delle competenze chiave, sia del quadro europeo delle qualifiche (EQF).
En passant, sarebbe il caso di prendere atto che l’Italia fa parte dell’Unione Europea e che, quando adotta misure europee, non lo fa perché “lo chiede l’Europa”, ma perché lo chiede l’Italia in sede europea.
Le 8 competenze-chiave per l’apprendimento permanente sono state rivisitate nella versione del 22 maggio 2018 e declinate al singolare con il termine “competenza”.
Le “competenze nelle lingue straniere” sono diventate la “competenza multilinguistica”. Le “competenze sociali e civiche”, la “competenza in materia di cittadinanza”. In posizione centrale, sia nella versione del 2006, sia nella versione 2018, la competenza digitale, a disposizione della didattica sia a distanza sia in presenza. Lo “spirito di iniziativa e imprenditorialità” è diventato lo “spirito imprenditoriale”, inteso non in senso “aziendalistico”, ma come capacità di tradurre “idee in opportunità a favore degli altri”, sulla base di valori quali la “creatività” e l’“innovatività”.
Nell’ultima voce torna ad evidenziarsi l’influsso della convenzione siglata nella città portoghese di Faro, nel 2005, in ordine al valore del patrimonio, dell’identità e dell’eredità culturali.
EQF e QNQ
L’European Qualifications Framework (EQF)prevede otto livelli. La Raccomandazione del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente aveva stabilito che entro il 2010 i Paesi membri avrebbero dovuto rapportare i propri sistemi nazionali di qualificazione all’EQF, ed entro il 2012, nei singoli certificati di qualifica, fornire un riferimento al livello corrispondente dell’EQF. La referenziazione italiana è intervenuta in data 20 dicembre 2012, in un documento di particolare interesse perché offre la descrizione compiuta del sistema scolastico e formativo del nostro Paese.
Da ultimo va ricordato il Decreto 8 gennaio 2018 che offre la “traduzione” dell’EQF nel QNQ (Quadro Nazionale delle Qualificazioni). La Raccomandazione europea era stata recepita dall’Italia precocemente con l’emanazione del DM 139 del 22 agosto 2007, che, all’art. 1, aveva previsto “L’istruzione obbligatoria è impartita per almeno dieci anni”. Il DM 139/2007 ha fissato la certificazione delle competenze al termine dell’obbligo di istruzione, attraverso l’articolazione in assi culturali, indicati nell’allegato al Documento tecnico (dei linguaggi; matematico; scientifico-tecnologico; storico-sociale).
Vanno, per completezza, ricordate le “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione” (DM. n. 254 del 16 novembre 2012) in linea con le competenze-chiave europee[3].
Una linea che attraversa la legislazione scolastica italiana
Il fil rouge delle competenze continua ad attraversare la legislazione scolastica in forme sempre più o meno articolate fino ad arrivare ai provvedimenti più recenti:
- al DM n. 742 del 3 ottobre 2017, a seguito del D.lgs. n. 62 del 13 aprile 2017, nel quale si fornisce un modello nazionale per la certificazione delle competenze nel primo ciclo d’istruzione (art. 1, comma 1);
- al Decreto 24 maggio 2018 n. 92, nel cui art. 2 vengono ribadite le Definizioni di “apprendimento formale”, di “apprendimento informale”, di “apprendimento non formale”, facendo espresso riferimento all’art. 2, comma 1, lettera c), del D.lgs. n. 13 del 16 gennaio 2013;
- al Curriculum dello studente, avviato dall’a.s. 2020/2021, a seguito di una previsione risalente al comma 28 della Legge 107/2015[4].
Insomma, mentre, nella vita pubblica del Paese, negli ultimi anni, vi è stata una tendenza sociale, talvolta compiaciuta, nell’accusare la scuola di incompetenza, in realtà, nel nostro sistema formativo ed educativo, pur nella varietà delle sue articolazioni, sono state poste le premesse fondamentali per radicare sempre di più il valore della competenza.
[1] Benedetto Croce tra il 15 giugno 1920 e il 4 luglio 1921, in un governo presieduto da Giovanni Giolitti, dopo la fine del fascismo fu presidente del Partito Liberale Italiano (PLI). Giovanni Gentile, tra il 31 ottobre 1922 e il 1° luglio 1924, fu nominato Ministro della pubblica istruzione nel primo gabinetto di Benito Mussolini e artefice della riforma del 1923.
[2] Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio 1923, nella “Gazzetta Ufficiale” del 2 giugno 1923 n. 129.
[3] Con l’aggiornamento contenuto nella Nota Miur n. 3645 del 1° marzo 2018, presentazione del documento Indicazioni Nazionali e nuovi scenari, del 22 febbraio 2018, elaborato dal Comitato Scientifico Nazionale. Cfr. anche la Circolare n. 3 del 13 febbraio 2015, Adozione sperimentale dei nuovi modelli nazionali di certificazione delle competenze nelle scuole del primo ciclo di istruzione ela Nota n. 1865 del 10 ottobre 2017, Indicazioni in merito a valutazione, certificazione delle competenze ed Esame di Stato nelle scuole del primo ciclo di istruzione.
[4] Quindi l’art. 21 del D.lgs. n. 62 del 13 aprile 2017 e il D.M. n. 88 del 6 agosto 2020.