Risale all’11 gennaio scorso l’approvazione alla Camera della proposta di legge “Disposizioni per la prevenzione della dispersione scolastica mediante l’introduzione sperimentale delle competenze non cognitive nel metodo didattico”. In altre parole alcune “posture” come l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura mentale dovrebbero diventare parte integrante dei curricoli di ogni ordine di scuola, dopo una prima fase sperimentale. Lo scopo è quello di sviluppare negli studenti abilità e competenze trasversali quali la flessibilità, la creatività, l’attitudine alla risoluzione dei problemi, la capacità di giudizio, la capacità di argomentazione e la capacità di interazione.
Perché questa proposta
L’iniziativa, che vuole essere di ampio respiro, è finalizzata a stimolare nei giovani autonomia e senso di responsabilità per la propria salute, intesa nella sua più ampia accezione di status psicofisico-relazionale e ambientale. La strada da privilegiare è quella del miglioramento delle relazioni e del potenziamento di abilità: sono presupposti per acquisire comportamenti positivi e funzionali ai cambiamenti e alle difficili sfide della quotidianità. Una strategia che si aggiunge alle azioni già messe in campo per combattere il fenomeno della dispersione scolastica contro gli analfabetismi funzionali e la povertà educativa.
L’obiettivo è quello di riuscire a costruire situazioni di benessere perché sono quelle che meglio si traducono in comportamenti consapevoli e responsabili e che fanno acquisire nuove sensibilità sul piano affettivo e sociale, ma anche spirituale ed etico. Il presupposto è che La qualità della vita si realizza favorendo anche un buon adattamento al contesto culturale e relazionale di appartenenza.
Il gruppo dei parlamentari promotori della proposta definisce non cognitive le competenze che in verità sono quelle che fino ad oggi abbiamo chiamato trasversali: sposando infatti il concetto di intelligenza emotiva, tutte le competenze in quanto tali rientrano nelle attività intellettive del soggetto.
Partire dalla scuola: la sperimentazione
La scuola, con il suo patrimonio fisico, umano e professionale, si connota come agenzia pubblica di alfabetizzazione culturale, come contesto in cui si intrecciano linguaggi e relazioni, come spazio di inclusione per tutti e per tutte le dimensioni. È di fatto la sede più appropriata in cui poter incrementare le “competenze per la vita” (life skills)attraverso l’apprendimento sistematico, il controllo delle pratiche, la riflessione sui comportamenti.
Il testo della proposta di legge prevede che, a partire dall’anno scolastico 2022-2023, prenda avvio una sperimentazione nazionale triennale finalizzata all’individuazione di queste competenze, all’adozione di buone pratiche e percorsi formativi innovativi. A monte c’è l’obiettivo di favorire il recupero della motivazione all’apprendimento che rappresenta una delle principali cause di dispersione scolastica.
Saranno poi le singole scuole, nell’ambito della propria autonomia, a cimentarsi nell’elaborazione di progetti specifici sulle “competenze non cognitive” da loro stesse individuate: I progetti si possono realizzare singolarmente o in rete e saranno valutati da un’apposita commissione ministeriale che si avvarrà della collaborazione di INDIRE e INVALSI.
La sperimentazione sarà preceduta da un piano triennale straordinario di azioni formative del Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con l’INDIRE, destinate ai docenti con lo scopo di orientarli e rendere più efficace il loro intervento. Al termine della sperimentazione Il Ministero stilerà, per tutti gli ordini e gradi d’istruzione, apposite Linee guida con l’indicazione di traguardi e con specifici obiettivi di apprendimento, in coerenza con le Indicazioni nazionali relative a ciascun segmento e tipologia del percorso di studi.
Le “competenze non cognitive”: un problema di contenuti?
Nel disegno di legge non è prevista l’introduzione delle “competenze non cognitive” come nuova materia curricolare, né si contempla l’eventualità di stravolgere gli ordinamenti didattici esistenti. Tale innovazione dovrà essere avviata senza incrementi o modifiche dell’organico del personale scolastico, senza ore di insegnamento aggiuntive all’orario obbligatorio vigente e senza costi ulteriori per le finanze pubbliche.
Formare i giovani alle “competenze non cognitive” non vuol dire introdurre nuovi contenuti nei già affollati programmi di studio, bensì lavorare con gli studenti in modo nuovo e strategico. Tali competenze si inseriscono nel processo di formazione della persona perché risultano indispensabili per affrontare con successo le diverse transizioni esistenziali (infanzia-adolescenza-vita adulta). Esse veicolano forme di comportamento tali da consentire ai ragazzi di rapportarsi con fiducia e in modo competente con sé stessi, con i coetanei e con la comunità in genere.
È solo un problema di metodo?
Si tratta, quindi, di competenze non fini a sé stesse, ma interagenti con tutte le altre per dare vita a reticoli di saperi tra loro interdipendenti: flessibilmente si adattano ad ogni tipo di attività, andando ad intessere trasversalmente e longitudinalmente il percorso scolastico e a integrarlo. Sarà, pertanto, compito dei singoli docenti declinare lo sviluppo delle nuove competenze all’interno dei propri insegnamenti e coniugando i contenuti di ogni disciplina anche in chiave esistenzialistica, creativa ed emotiva.
L’introduzione delle “competenze non cognitive” nel processo didattico ordinario ha proprio lo scopo di condurre i nostri giovani a conoscere e comprendere meglio sé stessi, per poter adottare comportamenti positivi per ogni contesto di vita.
Una delle sfide più complesse della cittadinanza attiva, ad esempio, è legata alla capacità di assumere le responsabilità rispetto al proprio ruolo sociale, alla capacità di comunicare in modo partecipativo e costruttivo, ad esprimere tolleranza e comprensione per l’opinione altrui. Si può dunque insegnare a ridurre la suscettibilità e l’impulsività, ad entrare in consonanza con gli altri, a prendere decisioni e operare scelte, come pure risolvere conflitti, senza ricorrere a comportamenti che danneggino la propria o l’altrui persona.
La scuola come osservatorio privilegiato
Il disegno di legge non enuncia specifiche e inedite “life skills” comeabilità da privilegiare per la promozione del benessere. È certo però che il provvedimento intende valorizzare l’unicità della persona, con la sua biografia, la sua narrazione e il suo vissuto. Intende altresì costruire le condizioni per migliorare il successo formativo di ogni studente, prevenendo inabilità funzionali, disaffezione e demotivazione, elaborando un programma di prevenzione dei comportamenti a rischio di devianza. È infatti universalmente riconosciuto che l’apprendimento e il successo scolastico possono essere ostacolati non solo dalla mancanza di efficacia personale, ma anche dall’assenza di un clima scolastico sereno e di soddisfacenti relazioni interpersonali: la scuola è l’osservatorio privilegiato per cogliere con chiarezza i primi segni di sofferenza e di disagio sociale.
La mancata promessa dell’ascensore sociale
La scelta ministeriale di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica è certamente scaturita dal fatto che il Rapporto sulla Conoscenza 2018, curato dall’ISTAT[1], faceva rilevare come al termine del primo ciclo di istruzione la percentuale dei giovani che ancora non aveva raggiunto un sufficiente livello di competenze alfabetiche si attestava al 35%, mentre la percentuale saliva oltre il 40% se si tenevano in considerazione le competenze numeriche. Anche gli esiti delle prove Invalsi 2019 lasciavano trapelare un panorama allarmante per quanto concerneva il conseguimento delle competenze di base, rilevando una forte disparità tra le regioni. il Consiglio dell’Unione europea nello stesso anno evidenziava che il tasso di abbandono scolastico si collocava ben al di sopra della media dell’Unione (14%), in particolare per gli studenti che non erano nati nell’Unione (33%). Tra gli oggetti di prevenzione, il riferimento va agli episodi di vandalismo, microcriminalità, bullismo, sessismo, xenofobia, violenze e stupri che da qualche tempo affollano le cronache nazionali e locali.
Le ragioni della proposta di legge
L’iniziativa è destinata all’intera popolazione scolastica, dall’infanzia alla scuola secondaria superiore (nel testo originario la proposta di legge era destinata ai soli studenti di scuola media e superiore). Intervenire fin dalla tenera età è ottimale per l’apprendimento di quelle competenze che servono per la vita, in quanto eventuali comportamenti a rischio non sono ancora consolidati.
La scuola, rappresentando il primo esempio di ambiente sociale, svolge un ruolo determinante nei processi di socializzazione, in quanto si configura come l’ambiente ideale per avviare lo sviluppo dei ragazzi alla dimensione relazionale: sui banchi di scuola essi cominciano a conoscersi, a stringere relazioni, a collaborare con gli altri oltreché a pensare criticamente e vivere straordinarie opportunità di crescita intellettuale.
Inoltre, la grande diffusione delle tecnologie e del digitale sta esponendo sempre più i nostri giovani ad un inaridimento delle consuete abilità sociali. Si aggiunge a ciò la crisi pandemica, tuttora in corso, che ha accentuato situazioni di disagio preesistenti, aumentando criticità relazionali, disuguaglianze sociali e rendendo i nostri ragazzi molto più vulnerabili.
Verso un nuovo umanesimo integrale
Ogni persona raggiunge una condizione di benessere quando tutte le molteplici dimensioni che la compongono, biologiche, psichiche, sociali e spirituali, interagiscono armonicamente. Per questo l’educazione deve necessariamente promuovere un umanesimo integrale sviluppando, nella società in cui ciascuno si trova a vivere, il senso di autonomia, libertà e responsabilità, ma anche la capacità comunicativa e adattiva.
Ogni persona, nelle istanze più profonde della propria interiorità, rinviene la forza della vita: le emozioni non solo giocano un ruolo fondamentale nella psiche umana, ma molto spesso sono il motore dell’azione e del cambiamento.
L’educazione della persona nella sua globalità e nell’insieme dei suoi aspetti cognitivi, emotivi e relazionali è il traguardo ambizioso e impegnativo che la scuola si impegna a conseguire.
La scuola è, quindi, lo spazio di incontro e di crescita, il luogo in cui si prende coscienza delle proprie capacità, il contesto ideale in cui si incomincia a controllare le emozioni e a sviluppare il pensiero critico. A scuola si impara a leggere e governare la realtà, ad affrontare le sfide e gestire efficacemente i cambiamenti, ad orientare e compiere responsabilmente le proprie scelte.
[1] Il disegno di legge è stato originariamente presentato in Parlamento il 6 febbraio 2020.