L’Intercultura come prova di civiltà

Il valore sociale e formativo dell’immigrazione

La mondializzazione dei mercati, l’internazionalizzazione delle imprese, l’apertura delle frontiere economiche e finanziarie hanno prodotto da un lato notevoli opportunità di arricchimento economico e sociale, ma dall’altro hanno sicuramente esasperato disparità, discriminazioni, conflitti sociali. Il notevole aumento della mobilità degli esseri umani si accompagna all’incremento delle occasioni di conoscenza/confronto ma anche di vero e proprio scontro/conflitto tra persone con diverso background etnico, linguistico, culturale e comportamentale.

Il fenomeno migratorio in Italia e l’osservatorio scuola

Al fenomeno migratorio, iniziato negli anni Settanta, si collegano dati importanti: la tenuta demografica del nostro Paese (almeno fino a qualche anno fa) grazie alla nascita ogni anno di circa 100.000 bimbi stranieri; l’incremento dei matrimoni misti che nell’ultimo decennio si sono triplicati (se ne contano uno ogni sette celebrati). La progressiva crescita nel nostro Paese della presenza di studenti con cittadinanza non italiana, caratterizzata da una sorta di policentrismo geografico (nella scuola italiana si registrano circa 200 etnie differenti), può oramai considerarsi elemento strutturale e costitutivo dell’intero sistema formativo e sociale.

L’evidenza e la dimensione dei flussi migratori costituiscono, pertanto, un fenomeno difficilmente inquadrabile in un orizzonte compiuto e delineato da confini netti e ben definiti: non può essere trascurata la diversità per provenienze, cause determinanti, tipologie di insediamento e di distribuzione territoriale.

La scuola come luogo d’incontro tra identità e alterità

Fino a pochi anni fa il problema si affacciava appena nel nostro orizzonte territoriale assumendo i connotati di una emergenza eccezionale e provvisoria. Si cercava di affrontare, quindi, il problema dell’accoglienza e della facilitazione con la nuova realtà ospitante. Oggi, poiché la migrazione ha assunto le dimensioni e i caratteri di una condizione globale permanente, la multiculturalità è diventata una questione di ordine sociale che nella scuola si traduce nella promozione dell’integrazione socio-culturale e nello sviluppo del dialogo interculturale. L’educazione interculturale è, infatti, la prima risposta ai problemi concreti che gli studenti stranieri esprimono in campo educativo (le ristrettezze economiche, il disagio di sentirsi soli, le difficoltà di inserimento, soprattutto linguistico). Le scuole si impegnano conseguentemente a collegare, in un’interazione dinamica, orientamenti didattici, processi di apprendimento e molteplicità dei saperi. Il confronto e il dialogo tra etnie non possono rimanere solo obiettivi da perseguire, ma devono costituire gli strumenti di base per effettivi ‘ponti’ culturali tra Paesi diversi, quelli di appartenenza e quelli di accoglienza, nella più ampia prospettiva del riconoscimento e dell’accettazione reciproca tra le diverse identità culturali.

Dall’io al noi plurale: la sfida della convivenza

L’interculturalità si delinea come la più difficile sfida del presente. Rappresenta la soluzione più idonea a soddisfare le esigenze di una scuola multietnica e plurilingue, il cui obiettivo primario è la promozione, in seno ad un tessuto culturale e sociale multiforme, di una pacifica e fruttuosa convivenza. È una convivenza che si nutre di quel sentimento di fraternità che, se assunto e vissuto responsabilmente, si può concretizzare in un’esperienza di relazione che accomuni tutti gli uomini in termini di dignità umana, traducendosi in eguaglianza sostanziale.

È in questi termini che per educazione interculturale si intende educazione trasversale per tutti. La scuola è il luogo deputato a costruire percorsi interdisciplinari che formano menti aperte al dialogo, al confronto, alla solidarietà, alla cooperazione, alla pace. Sono i valori universali su cui fondare la cittadinanza attiva, la partecipazione democratica e l’idea di mondialità. Per superare confini geografici e culturali occorre, quindi, transitare dall’io al noi. Il “noi plurale”, è sinonimo di un’umanità capace di accogliere la molteplice varietà dei suoi componenti nella costruzione congiunta di obiettivi orientati al bene comune che travalichi ogni egoismo nazionalista o personale.

Accogliere persone, accogliere culture e valori

Con l’integrazione delle identità e il superamento delle disuguaglianze, le diversità devono essere elaborate e vissute, sia in termini di risoluzione dei problemi di coesistenza, sia in termini di opportunità, di risorse da gestire in una dinamica di collaborazione e di arricchimento reciproco. L’accettazione delle diversità di tipo etico, culturale, giuridico, religioso degli immigrati non confligge con i patrimoni ormai integrati della nostra tradizione greca, romana, cristiana e occidentale. Accogliere valori e tradizioni dei nuovi arrivati non significa rinunciare o sminuire i propri tesori, bensì difenderli e renderli comprensibili e fruibili anche agli stranieri, i quali non arrivano da noi a mani vuote, ma recano un fardello di coraggio, spirito di sacrificio, tenacia e aspirazioni, oltre alle risorse delle loro culture native. È in questo modo che arricchiscono la vita dei Paesi che li accolgono. Conoscere, condividere e valorizzare questo patrimonio è un obiettivo di tutti. L’umanità può diventare veramente la famiglia di tutti, una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità, le nostre città possono trasformarsi in “cantieri di pace”[1]. “Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni” sono gli strumenti più efficaci “per edificare una pace duratura”. 

Dal pregiudizio all’accoglienza. Cosa dicono i sondaggi

La ricchezza potenziale dello scambio interculturale è spesso mortificata da comportamenti negativi sempre più diffusi anche tra i giovani, che si abbandonano ad azioni tendenti alla stereotipia razziale, all’etnocentrismo e alla xenofobia.

Un sondaggio condotto dall’ UNICEF, tramite una piattaforma digitale denominata U-Report On The Move, ha messo in luce episodi di pregiudizio, razzismo e discriminazione di cui sono vittime giovani migranti e rifugiati in Italia. La Repubblica, in un articolo diffuso il 18 dicembre 2021 in occasione della Giornata Internazionale per i Diritti dei Migranti, titolava “Migranti, la voce dei giovani: il 74% dice di essere stato vittima o testimone di episodi di discriminazione”. Ebbene, dal sondaggio risulta che molti degli episodi discriminatori si sono verificati in occasione della ricerca di un lavoro o di un alloggio, altri sul posto di lavoro, altri ancora persino tra i banchi di scuola mediante attacchi verbali, minacce e violenza fisica[2].  Domande circa eventuali pregiudizi nei confronti dei migranti e rifugiati in Italia sono state rivolte anche ai nostri giovani coinvolti attraverso la piattaforma U-Report[3] Italia nell’ambito della stessa campagna. Dal dossier è emerso che oltre il 60% dei nostri giovani nutre pregiudizi inconsci. Si tratterebbe di atteggiamenti di pensiero, spesso inconsapevoli, frutto dell’influenza esercitata, sia dall’esposizione mediatica e dal fenomeno della cosiddetta ‘saggezza di massa’, sia dalla presenza di stereotipi sociali condivisi. Tali stereotipi sembrerebbero incoraggiare la formulazione di pensieri od opinioni pregiudizievoli, indipendentemente dai peculiari processi decisionali di ognuno.

In ogni caso, accoglienza e ostilità continuano a fronteggiarsi nella scuola anche per ragioni di tipo essenzialmente conflittuale dovute all’incapacità di comunicare e confrontarsi positivamente con gli altri.

Importanza dell’intervento educativo

Ecco perché l’integrazione degli immigrati nel tessuto societario rappresenta uno degli obiettivi fondamentali dell’intervento educativo; un obiettivo necessario ma non sufficiente, perchè l’integrazione effettiva si realizza oltre la convivenza partecipata. Si tratta, cioè, di fare in modo che l’individuo, come soggetto etnico, trascenda sé stesso verso la dimensione ontologica della persona come tale, che non deve mai essere definita per ‘sottrazione’. Ognuno si caratterizza non per quello che non ha, non conosce o non sa fare, ma per le sue peculiarità, per le sue personali e specifiche capacità di pensare, di sentire e di agire. Ne discende che la diversità deve essere vissuta non come un deficit da colmare, bensì come una prerogativa da valorizzare per il reciproco arricchimento socio-culturale.

A scuola di cittadinanza planetaria

L’apertura relazionale è elemento costitutivo e condizione ineludibile dello sviluppo della persona, e l’alterità è un valore da alimentare per potersi disporre a nuove forme di cittadinanza e identità nello scenario della globalizzazione. Da questo assunto parte la scuola che non si limita a svolgere il proprio compito, formando solo cittadini dello Stato nazionale, dall’identità circoscritta e dal linguaggio omogeneo. Incoraggiando l’incontro tra linguaggi e culture diverse, educa a forme di cittadinanza che si collocano ben oltre i confini nazionali, in una realtà in cui possano confrontarsi, e valorizzarsi reciprocamente, intelligenze, sensibilità e culture differenti.

Non si può correre il rischio di produrre un sistema educativo che contribuisca a rendere la formazione dei cittadini pericolosamente stagnante di fronte ad un incalzante e profondo mutamento di portata planetaria.

Globalità è l’espressione che meglio sintetizza e condensa lo spessore semantico dell’attuale nozione di cittadinanza in quanto riesce a coniugare il livello di appartenenza locale e nazionale con quello mondiale, in vista di un unico sistema sociale che presuppone la centralità della persona e il valore insopprimibile della vita di ognuno.

La centralità della persona tra unicità e molteplicità

La cittadinanza indica il rapporto tra l’individuo e l’ordine in cui si inserisce (culturale, sociale, economico, politico e giuridico) mentre il cittadino globale è colui che esercita i propri diritti, in una dimensione attiva e partecipata, non solo in quanto appartenente ad una comunità sociale, ma anche e soprattutto come persona. Educare ogni individuo a realizzarsi come persona è il compito precipuo della scuola.

Ogni persona, dall’essenza unitaria e irripetibile, è patrimonio di storia e di cultura, e sede di valori; è un soggetto unico, ma con un’originaria vocazione alla convivenza. Si configura come un’entità viva, dinamica, in continua crescita, un’unità che realizza la propria singolarità esistenziale nell’apertura all’altro umanamente diverso. La sua peculiare unicità non scompare ma si converte e si profila come una unitas multiplex[4], perché il multiplex abita nell’unitas umana. L’essere umano realizza la propria unicità nella diversità e solo con essa.


[1] Papa Francesco, Messaggio per la 51° Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 2018.

[2] È il dato che emerge dal sondaggio, diffuso nell’ambito del contest “OPS! – La tua Opinione, oltre ogni Pregiudizio, contro gli Stereotipi”, ideato e realizzato per rilevare significative esperienze di pregiudizi razziali nei giovani stranieri arrivati in Italia.

[3] La piattaforma è nata lo scorso anno (2021) da un’idea dell’UNICEF per dar voce ad adolescenti e giovani italiani sul tema della lotta al razzismo e alla discriminazione nel nostro Paese.

[4] A. Angyal, I fondamenti per una scienza della personalità, Cambridge University Press, 1941; E. Morin, Il metodo. 1 La natura nella natura, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001.