Il dibattito sulla formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria[1] ritorna periodicamente al centro dell’interesse politico. In questa fase di pandemia sta assumendo un valore ancor più rilevante, dato il clima di grande incertezza dentro le scuole e nei diversi contesti sociali in cui ci troviamo a vivere. La scuola è stata in questi due anni di criticità il luogo della resilienza, della gestione emergenziale delle relazioni: ai docenti e ai dirigenti sono state richieste competenze professionali sempre più complesse.
Per una professionalità alta
È una situazione che, assieme all’immissione incrementale di giovani docenti nel sistema scuola, ha riacceso i riflettori su tre questioni fondamentali: la ridefinizione delle competenze professionali dei docenti, la formazione in servizio e la riorganizzazione della formazione iniziale, con particolare riferimento alla scuola secondaria di primo e secondo grado. I tre aspetti sono strettamente interrelati fra loro: il riconoscimento di una professionalità alta dei docenti è possibile in presenza di una capillare formazione in servizio e di una solida e mirata formazione iniziale.
Collegata alla questione della formazione iniziale è anche quella del reclutamento, questione molto complessa e alla quale nel corso degli anni si è dato spesso una risposta estemporanea e poco attenta ad un serio ragionamento sulla professionalità[2].
È proprio di questi giorni, per voce del Ministro e ripresa da vari organi di stampa, l’anticipazione di alcune novità, sulla riforma della formazione iniziale per i docenti della scuola secondaria e, in attesa di leggere le proposte legislative è utile condividere un ragionamento che possa focalizzare le questioni culturali di fondo che dovrebbero orientare le scelte e definire gli assetti organizzativi a livello universitario e scolastico.
Orientamento alla professione
Una prima questione riguarda l’orientamento alla professione docente che dovrebbe occupare una posizione centrale a partire dalle aule universitarie. Il livello culturale costituisce la pre-condizione per un profilo lavorativo di alto livello orientato alla relazione e alla cura della persona: è qui che si gioca l’efficacia del lavoro dell’insegnante.
Chi si iscrive alle aree umanistiche sa già che acquisisce sensibilità e competenze utili per l’insegnamento. Non è così per chi si iscrive nelle aree scientifiche e tecnologiche. Gli attuali ingegneri, i chimici, i biologi, gli architetti… che insegnano le discipline relative alle corrispondenti classi di concorso non hanno avuto nel loro curricolo universitario un orientamento specifico. Hanno scelto la professione soltanto dopo la laurea. Non si può accettare l’insegnamento come “lavoro di ripiego” per chi non riesce a inserirsi in altri settori del mercato più competitivi. Per superare questo equivoco bisogna ripensare alla formazione iniziale dei docenti in maniera tale che si si prefiguri una formazione universitaria mirata per chi vuole intraprendere il mestiere dell’insegnare.
C’erano una volta le SISS, i TFA e i 24 CFU
Attualmente nel nostro paese, per diventare insegnante nelle scuole secondarie, i laureati devono superare un concorso, la cui ammissione richiede l’acquisizione di 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche e in metodologie e tecnologie didattiche. Tali crediti possono essere ottenuti durante il corso di laurea magistrale (se inclusi) oppure dopo la laurea (se non inclusi nel percorso di studi). In tempi non lontani, sono stati sperimentati diversi sistemi di formazione iniziale, sicuramente più articolati e solidi. Ci riferiamo all’esperienza delle SISS (Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario) e dei TFA (Tirocini formativi attivi). L’istituzione delle SSIS fu stabilita con la legge 19 novembre 1990, n. 341. Il decreto del 26 maggio 1998 ne definì i criteri generali. Per alcuni anni le SSIS rappresentarono il principale canale di abilitazione all’insegnamento nelle scuole secondarie, consentendo agli specializzati l’iscrizione nelle graduatorie permanenti provinciali del personale.
Successivamente le SSIS furono sostituite dai percorsi di TFA. Ne furono svolti però solamente due cicli: il primo relativo all’anno accademico 2011-2012 (anche se i corsi si svolsero di fatto nell’anno accademico successivo), il secondo nel 2014-2015.
Non si tratta di un approccio nostalgico, ma di un richiamo a riflettere sulla complessità del problema e sulla necessità di verificare l’efficacia di una esperienza prima di accantonarla definitivamente. Forse è arrivato il momento di recuperare ciò che di positivo è stato fatto e allineare il modello di formazione agli standard di altri paesi in linea con gli orientamenti europei[3].
È necessario un percorso mirato
A partire da queste riflessioni si potrebbe allora avanzare l’ipotesi, per chi vuole svolgere il lavoro dell’insegnante, di un percorso specifico in aggiunta alla laurea magistrale che preveda un impianto formativo fortemente strutturato e specifico. Si può immaginare un percorso di formazione iniziale orientato all’acquisizione delle competenze fondamentali specifiche della professione (core professional competencies). Ci riferiamo ad un solido possesso degli aspetti epistemologici, alla conoscenza delle dimensioni didattiche e dell’insegnabilità delle discipline, alla padronanza delle più importanti metodologie didattiche e dei sistemi di valutazione. Tali competenze dovranno fondarsi su una profonda cultura pedagogica e sulla consapevolezza dei vincoli normativi e organizzativi in cui si esercita il ruolo professionale.
Collaborazione Università-Scuola
In questa direzione si dovrebbe immaginare un segmento di formazione costituito, per esempio, da 60 crediti formativi specifici per l’insegnamento. Questi potrebbero essere acquisiti sia durante il percorso universitario primario, sia dopo la laurea magistrale. Tali crediti possono essere organizzati in maniera collaborativa fra università e scuola attraverso momenti laboratoriali e utilizzando pratiche di tirocinio. Tali attività consentirebbero di mettere alla prova l’insegnabilità delle discipline attraverso la didattica, di imparare ad utilizzare gli strumenti della pedagogia, della psicologia e delle scienze cognitive, di capire soprattutto come far dialogare le discipline tra di loro[4].
Laboratorio e tirocinio per la messa alla prova dei saperi
L’assetto formativo privilegiato dovrebbe essere quello laboratoriale in cui possono convergere sia professionalità provenienti dal mondo accademico sia quelle provenienti dal mondo scolastico. È la modalità più proficua per confrontare i punti di vista, le rispettive competenze e gli strumenti della ricerca.
La pratica di tirocinio è il momento di “messa alla prova” dei saperi attraverso l’osservazione sul campo (tirocinio indiretto), la sperimentazione in classe (tirocinio diretto) e la riflessione guidata (tirocinio di riflessione). Ad accompagnare questo percorso dovrebbero essere docenti “esperti” con funzione di supervisori e tutor capaci. Gli aspiranti docenti devono essere aiutati a capire la ricchezza e la complessità della dimensione professionale. Si tratta di sperimentare un vero e proprio “apprendimento situato” in cui tutti gli aspetti del profilo devono diventare oggetto di attenzione: la relazione educativa, la gestione della disciplina, la progettazione didattica, la valutazione, la partecipazione alle attività collegiali e ai gruppi di lavoro.
Documentare il percorso formativo
Tutto ciò dovrebbe confluire in una documentazione conclusiva che dia conto del percorso formativo e delle esperienze di tirocinio effettuate. Tale documentazione ha anche lo scopo di restituire, a chi vuole diventare insegnante, la dimensione reale del profilo professionale. Si tratta di uno strumento molto utile per verificare la propria disponibilità a svolgere tale lavoro. Rielaborare l’esperienza formativa consente di mettere alla prova attitudini e motivazioni ad intraprendere una professione molto impegnativa, come quella dell’insegnante, che richiede un coinvolgimento della persona in tutti i suoi aspetti.
Una formazione iniziale solida è il punto di partenza ineludibile per formare docenti più preparati e più adeguati ad affrontare anche le attuali difficoltà, ma è soprattutto il presupposto per rinnovare il nostro sistema scolastico migliorando la qualità dell’istruzione.
[1] In questo contributo si fa riferimento solo alla formazione iniziale dei docenti della secondaria in quanto per i docenti della primaria e dell’infanzia esiste già una formazione specifica con i percorsi di Laurea in Scienze della formazione e Scienze dell’educazione.
[2] Per una attenta disamina della questione, si rimanda a G. Cerini, Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, 2021 e in particolare alle parti relative a profilo professionale, reclutamento e formazione in servizio.
[3] Si veda a tal proposito il rapporto Euridice, Teachers in Europe – Careers, Development and Well-being, 2020.
[4] Si pensi a titolo di esempio alle ricerche in ambito psicologico e nelle neuroscienze sui processi cognitivi che sottendono l’apprendimento della lettura e della scrittura.