La didattica digitale integrata (DDI) è diventata in breve tempo pane quotidiano per tutti i docenti e gli alunni, assieme alle loro famiglie. Si è imposta come novità necessaria per trovare soluzioni concrete alla pandemia per limitare le possibilità di contagio, consentendo alla scuola di mantenere la sua missione formativa e di offrire percorsi di apprendimento più o meno efficaci per i propri discenti.
La lezione dell’esperienza
Il digitale e la rete internet hanno dato una possibilità reale di “scuola”, diversa dalla scuola che fino al 2019 conoscevamo e, si spera, diversa da quella che conosceremo nei prossimi anni. Andando oltre ai dibattiti (pertinenti e necessari per leggere l’attualità) sulla didattica della lontananza, delle classi metà a casa e metà in classe, delle quarantene spot, proviamo a capire cosa ci ha lasciato di positivo questa risposta all’emergenza e cosa dobbiamo imparare dalle buone e cattive pratiche, cercando di ragionare in prospettiva.
La possibilità di sviluppare l’attività didattica attraverso modalità sincrone e asincrone a distanza (anche in modo misto casa/scuola) ha costituito sicuramente una opportunità.
La piattaforma (già ben delineata nel PNSD del 2015 come necessaria nello sviluppo digitale di un istituto) è diventata il luogo di incontro e comunicazione, di lavoro.
Dicono che “piuttosto che niente è meglio piuttosto”. Il problema è che il “piuttosto”, in questo caso, sono dei bambini e dei ragazzi rimasti indietro per fragilità già presenti. Non che la scuola precedente al 2019 fosse così capace di recuperare i gap cognitivi e le difficoltà di apprendimento (i dati sappiamo non essere così lusinghieri), certamente però questa distanza ha contribuito ad aggravare ulteriormente questa forbice.
Una DDI da migliorare
La DDI è stata e rimane uno strumento imprescindibile per continuare la mediazione didattica, ma ci sarebbero diverse modifiche da operare.
Innanzitutto non si può e non si deve mutuare anche online la lezione frontale in presenza meramente trasmissiva e lineare. Non funziona e soprattutto non intercetta le possibilità immense del digitale (favoriscono: individualizzazione, diversificazione, accessibilità, inclusione, creatività…).
Ancora, la lezione frontale viene disinnescata nelle sue già labili certezze, soprattutto nelle fasi di sviluppo orale dei contenuti, in quella di verifica degli stessi e nella valutazione (come posso essere certo che quell’alunno non abbia letto? Non abbia copiato?).
Occorre progettare unità di apprendimento diverse, che valorizzino l’autonomia dell’alunno e mettano a disposizione strumenti e materiali diversificati, stimolando anche la dimensione creativa ed esecutiva (non compilativa); occorre seguire maggiormente una logica di palestra di attività in cui si raggiungono i contenuti e si impara in modo più profondo, legando l’apprendimento ad esperienze e a percorsi/ circuiti graduati.
Monitorare per meglio individualizzare
Si è insistito molto sui gap fisici, materiali (mancanza di connessione e di dispositivi), meno sui gap tecnici, sociali, culturali. Probabilmente diversificare le proposte, aprendo le classi e costruendo gruppi di alunni maggiormente in difficoltà da seguire da subito in modo più supportato, senza chiedere loro autonomie non ancora concretizzabili, avrebbe aiutato a monitorare meglio le fragilità e a costruire percorsi individualizzati e un pronto soccorso più efficace. In questo è mancata la figura dei docenti tutor che avrebbero avuto una funzione di sostegno, di collegamento e monitoraggio dell’andamento di tutti gli alunni in relazione allo sviluppo delle attività a distanza.
Queste modalità sono mancate in buona parte delle esperienze sul campo ed è uno dei principali motivi dei vuoti su cui, professionalmente, dobbiamo riflettere per migliorare come insegnanti la nostra azione educativa in previsione di altre possibili emergenze.
Una polarizzazione senza senso
Il dibattito su questa fase si è come di consueto polarizzato su argomentazioni francamente scontate. Il digitale è uno dei tanti strumenti che dobbiamo utilizzare ma è sicuramente da preferire una dimensione ampia e integrata di strumenti analogici e digitali nella scuola e nella vita dei nostri ragazzi. È certo che le relazioni e le interazioni autentiche e non mediate su uno schermo siano mancate, che le uscite didattiche siano rimaste un bel ricordo, che le attività fisiche e ludiche all’aperto e in palestra siano state soffocate e mantenute con attività teoriche o pratiche ma distanziate (senza palla, frisbee, vortex e altri attrezzi) ma questo vuoto non ha nulla a che fare con la maggiore o minore presenza del digitale nella scuola.
Sarebbe come dire che, in caso di cattivo tempo, l’umidità sia causa dell’ombrello e del suo utilizzo. Il digitale è stato l’ombrello che ci ha consentito di non inzupparci, ma non è la causa degli eventuali insuccessi formativi e dei bisogni evidenziati in tempo di covid dei nostri ragazzi, perché rimane uno strumento. Certamente meglio una bella giornata di sole, certamente meglio una scuola in presenza, con un contatto fisico e una comunicazione verbale e non verbale quotidiana.
Le piattaforme e la rete: grazie di esserci!
Ribadite queste certezze (che suonano un po’ come le famose massime di Catalano), questo utilizzo massiccio dell’ombrello digitale qualche risultato positivo lo ha portato: oggi tutti gli insegnanti sanno gestire una piattaforma, inserire contenuti, gestire un meeting online, lavorare su file pdf, costruire moduli, creare learning object. Questo è un cambiamento importante non per l’introduzione in sé del digitale (già ben presente in tante esperienze e realtà scolastiche) ma per la portata della diffusione su tutto il corpo docente. La necessità ha creato l’urgenza di acquisire nuove competenze digitali anche da parte di quegli insegnanti più restii e allergici alla dimensione digitale della didattica. Questo patrimonio ora deve essere valorizzato e lasciato a sistema, ripensandolo in una scuola che recuperi la dimensione della presenza, della socialità, del contatto fisico ma che si rimetta in discussione e rielabori nuovi modelli di insegnamento che rispondano alle esigenze formative ed educative del momento storico che stiamo vivendo.
Dobbiamo riflettere bene su questi aspetti e ragionare mettendo al centro le nuove generazioni, recuperando la centralità dello studente e ripensando agli ambienti di apprendimento, ai processi, agli strumenti, agli obiettivi educativi e formativi. In questa riflessione il digitale non può non essere contemplato.
Un mondo di “acqua salmastra”
Le spinte gentili che ci hanno portato oggi a vivere costantemente in una dimensione iperconnessa attraverso smartphone e dispositivi mobili o indossabili ci stanno man mano abituando ad un approccio diverso con la realtà, estendendo le nostre possibilità di azione nello spazio, nel tempo, nelle relazioni, nella conoscenza e ampliando la percezione di noi stessi nel concetto stesso di identità che si apre anche all’identità digitale. Per vivere in questo mondo, che il noto filosofo Luciano Floridi definisce dell’onlife, un mondo di acqua salmastra in cui digitale e analogico si integrano e si mischiano, occorre partire da una conoscenza attenta e consapevole della realtà che stiamo vivendo e favorire lo sviluppo di una vera e propria alfabetizzazione al digitale, sempre più urgente e fondamentale.
Le digital skills
Da un lato, quindi, se la dimensione digitale da sola (non solo come è stata vissuta in epoca covid) non favorisce una crescita armonica ed efficace di un ragazzo, dall’altro sono sempre più necessarie le competenze digitali perché la crescita di un ragazzo e di una ragazza di oggi sia armonica. Le cosiddette Digital skills intersecano aree di interesse e processi ad ampio spettro e in modo trasversale; hanno a che fare con la comunicazione, lo spirito critico, il problem solving, la sicurezza, l’identità/privacy, la ricerca/conoscenza, la creatività, la collaborazione, la condivisione, la progettazione, la cittadinanza, il computational thinking, il computational tinkering, la programmazione.
Basta leggersi con attenzione il Digicomp 2.1 e il Digicomp Edu per comprendere la trasversalità e l’urgenza di queste competenze che tutti continuiamo a chiamare del XXI secolo come sinonimo di “futuro” quando di questo secolo stiamo già vivendo il quinto lustro.
Quale digitale nella scuola dei prossimi anni?
Nella scuola del dopo Covid vorremmo un digitale trasparente, inserito e integrato in ogni attività didattica, con esplicitate le competenze trasversali messe in campo, già nella prima fase progettuale di ogni modulo di apprendimento. Un digitale pratico, creativo, che riporti nelle scuole attività pratiche del fare, del costruire. Un digitale che porti la realtà in classe e la classe fuori dalle mura scolastiche, anche solo come sfida autentica, come compito di realtà. Un digitale che permetta una fruizione varia dei contenuti, più accessibile e multimediale. Un digitale che sia nell’astuccio dello studente e nelle proposte di lavoro del docente in modo strutturato e abituale, come lo è già nella nostra vita quotidiana.
Oltre a ciò, sono urgenti dei percorsi di sensibilizzazione ed educazione ai rischi connessi al web, per costruire una educazione vera e propria alla rete. Questo filone può essere sviluppato attraverso il curricolo di educazione civica, ma va ben pensato e proposto in tutte le classi in modo strutturato e non episodico.
Occorre che i docenti facciano i docenti, che integrino la dimensione digitale nella loro pratica quotidiana ma che non la improvvisino, che la pianifichino anche in base agli strumenti a disposizione.
Alcuni problemi da affrontare e risolvere
In questa prospettiva, la piattaforma rimane uno strumento essenziale di raccordo, di condivisione e documentazione delle attività e delle pratiche e i dispositivi mobili propri degli studenti (anche in Byod) e della scuola diventano strumenti sempre più necessari.
Anche in questa ottica il Ministero dell’istruzione con i fondi del Recovery fund e quelli del PNSD continuerà nel lancio di bandi per l’acquisto di materiali specifici per il digitale in classe.
Rimane il problema di chi se ne potrà concretamente occupare, perché questo lavoro di messa a sistema e di manutenzione non può gravare sulle sole spalle degli animatori digitali e dei loro team e non ci sono sufficienti competenze diffuse, fra i docenti, di risoluzione dei problemi tecnici. Non è un problema banale perché rischia di vanificare uno degli investimenti più significativi in termini di tecnologie mai fatto sulla scuola, in un momento di forte ricettività da parte di docenti e alunni.
Una certezza l’abbiamo: la scuola non potrà non essere che digitale. Non per questo non più analogica, sempre aperta e incline alle attività all’aperto, a quelle manuali, laboratoriali, di realtà. Una scuola della mente, del cuore e delle mani in cui si vive e si impara a vivere in quella dimensione ibrida a cui siamo già abituati nel quotidiano.