Lo sappiamo bene, si dice “Esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione”; mai come adesso, tuttavia, la parola maturità lo descrive con completezza e pertinenza.
Cinquecentosettantamila giovani, nati tutti nel terzo millennio, la vera incarnazione dei versi di Kalil Gilbran: “Poiché le loro anime abitano la casa del domani che neppure in sogno potrete visitare”.
Ma tant’è! Siamo in migliaia, presidenti e commissari, a stare con loro, il tempo di un esame, un tempo che ha il sapore della “durata” di Bergson, perché nessuna ragazza e nessun ragazzo lo dimenticherà, quel tempo trascorso in quell’unica prova, che dura indicativamente sessanta minuti ma che contempla, da una parte, l’apoteosi dell’adolescenza e, dall’altra, l’esaltazione della più autentica burocrazia, incarnata nelle rigide procedure amministrative dentro le quali molti trovano perfino un senso di pace e beatitudine.
Un colloquio per la “maturità”
È il secondo anno che l’esame di Stato si svolge con la modalità emergenziale, dettata dalla pandemia, che fatica a dissolversi, ma sta rivelando una piacevole modalità di relazione educativa con gli studenti, in generale, e soprattutto con quelli dell’ultimo anno di scuola superiore; con loro si è creato un rapporto ancora più compatto e saldo del solito.
Questo modello, nel quale tutti si sono ritrovati, giunge non proprio inaspettato, dopo un lunghissimo anno e mezzo di scuola “trans camerale”. La locuzione è per rendere meglio l’idea di un apparato – la scuola – rimasto uguale a sé stesso sebbene abbia dovuto transitare attraverso uno strumento, la camera, capace di convertire un corpo in un’immagine.
Ebbene, alla luce dei fatti, e dopo aver assaporato nuovi modi di stare o non stare insieme a scuola, gli studenti hanno dovuto ripetere il rito conclusivo del loro percorso di studi superiori. A dire il vero è un rituale, quello di quest’anno, non stanco e consunto come nelle annate precedenti, rimasto inattuale anche dopo la riforma del 2017. Questo nuovo modello, legato alla formula transitoria dell’unico colloquio orale esame, appare perfino un modo più realistico e efficace per accertare, mediante una prova, il livello globale di maturazione e di aderenza al proprio profilo educativo culturale e professionale (P.E.Cu.P.) da parte degli innumerevoli candidati.
Una rivoluzione avvenuta con naturalezza
Se pensiamo all’evoluzione degli esami di Stato potremmo, in apparenza, condividere alcune interpretazioni popolari del suo sviluppo che, secondo i più, sembra percorrere una parabola discendente, in termini di complessità, ma anche in termini di quantità di contenuti da memorizzare ed utilizzare durante le prove.
Non molto tempo fa, soprattutto alla prima applicazione del disposto del D.lgs. 62/2017, si sottolineavano l’opportunità e la necessità di evitare qualsiasi rigurgito di nozionismo, in particolare nella complessa conduzione del colloquio. Gli esami di Stato del secondo ciclo hanno sempre sofferto la patologia del “programma” come concentrato di nozioni da restituire a memoria negli scritti e nel colloquio, quasi come una sorta di lasciapassare per accedere all’età adulta.
Il tempo passa ma gli esami restano gli stessi
Sembra che gli anni che separano l’esame di maturità dei componenti della Commissione da quello dei loro candidati non abbiano scalfito minimamente alcuni capisaldi delle nozioni di ogni tempo.
L’attentato di Sarajevo, la poetica del “fanciullino”, la marcia su Roma, il pessimismo cosmico e altri punti di riferimento culturali di “tale importanza” da far dimenticare completamente gli ultimi cinquanta anni di storia, di letteratura, di cultura, di tecnologia e di progresso civile, che pure potrebbero essere spunto e sollecitazione per tante intelligenze pronte e sagaci, quelle dei giovani, che sarebbero ben liete di affiancare al triste “Si sta come d’autunno”, il fischio insistente de “I Treni di Tozeur”.
Eppure il nostro Paese è cambiato molto anche per effetto della “stagione delle stragi”, per l’immigrazione clandestina, per i problemi ambientali; la nostra Letteratura ha conosciuto Gatto, Caproni, Fallaci, Aleramo, Merini; le scienze, le tecnologie, la medicina e il costume sono cambiati più negli ultimi trenta anni che nei precedenti cento… eppure l’Esame di Stato ignora completamente queste persone, questi eventi, queste nuove realtà.
Una prova per la scuola
Fuor di ogni immagine che voglia radicalizzare e generalizzare, non tutti hanno percepito che la vera messa alla prova, in questo delicato e difficile frangente, non è tanto per gli studenti ma per la scuola.
Quest’ultima, ancora una volta arranca, facendo, apparentemente, di necessità virtù, mal sopportando, invero, un modello agile ed efficace di accertamento delle competenze, che potrebbe essere l’esame di questi ultimi due anni, al punto da stravolgerne il senso e le caratteristiche. Lo stesso sbilanciamento a favore del percorso col modello 60 punti credito e 40 punti esame, non ha trovato facile presa nelle liturgie precedenti e susseguenti che hanno caratterizzato tradizionalmente l’esame. Ci sono quelli che auspicano un veloce rientro alle modalità tradizionali di distribuzione dei pesi/punteggi.
Il pur debole contributo che giunge da un’esperienza personale, sia pur alimentata da un continuo confronto professionale, non impedisce di notare che, nell’esame di Stato della transizione pandemica, vi sono alcune potenzialità ed alcune criticità che vanno attentamente scrutate e passate al setaccio della obiettività. Forse è utile che si compia questa analisi per cogliere le opportunità immancabili che, pur sempre, ci sono.
L’elaborato: un vero compito di realtà
L’elaborato sulle discipline caratterizzanti, ma dal sapore multidisciplinare, è una poderosa opportunità, data ai Consigli di classe, per accertare la capacità di problem solving da parte del candidato, dato per scontato che non ha dovuto affrettarsi a trovare una soluzione ma, sulla scorta della sterminata disponibilità di materiali reperiti in rete ed a scuola, ha potuto scegliere la migliore soluzione possibile per il compito di realtà, attivando e mobilitando tutte le risorse che possiede. Si opera più o meno da sempre così per le sedute di laurea all’università e nessuno si preoccupa del fatto che il candidato potrebbe copiare. Se dovesse farlo non sarà capace di affrontare il colloquio con padronanza. È parere diffuso che questa modalità, con pochi correttivi e alcune limature, possa sostituire la seconda prova dell’esame di Stato in maniera definitiva.
Un nuovo modo per accertare le competenze linguistiche
Il testo di italiano da analizzare, desunto dai materiali presenti e dichiarati nel documento del Consiglio di classe, come svolti durante l’anno scolastico, rappresenta, per molti, ancora una criticità. Il testo può essere o meno di carattere letterario ma la funzione dell’analisi testuale, che rimane la più importante, rischia di essere fagocitata da modelli obsoleti d’approccio alla letteratura, alla poesia ed alla sterminata produzione linguistica italiana. Piuttosto che leggere qualche verso di autori che, solitamente, viene prescelto tra quelli scomparsi almeno un secolo fa, sarebbe opportuno che attraverso questa fase dell’esame si riuscisse a capire il ruolo della lettura nella vita del candidato e gli influssi che gli autori, anche quelli contemporanei, riescono ad apportare alle coscienze in via di consolidamento. L’inflessibilità di molti docenti di lettere, ancorché alimentata dalla preoccupazione per il dilagante fenomeno dell’analfabetismo funzionale, deve cedere il passo ad un nuovo modo di accertare le competenze linguistiche che superi sia il saggio scritto sia il commento e la parafrasi come modelli di riferimento.
Riflettere sui nodi concettuali
Il materiale scelto dalla commissione per accertare le competenze sui nodi concettuali delle discipline non pare abbia destato molte preoccupazioni o creato situazioni conflittuali tra i commissari. Tuttavia è opportuno riflettere sulla funzione di questa fase dell’esame, che appare ancora in bilico tra la suggestione di un’immagine evocativa e l’analisi grandangolare di una frase di Comenio. Eppure questa terza fase del colloquio, inizialmente avviata con il contestato rituale delle tre buste, stile quiz televisivo, sarebbe il vero punto di svolta per renderlo davvero innovativo. L’idea di sollecitare la riflessione ed il confronto dei candidati sui nodi concettuali disciplinari ed interdisciplinari, infatti, rimanda al costrutto bruneriano che considera le discipline nella loro accezione strumentale, esaltandone il valore formativo e sostenendo il contributo che esse danno e daranno alla persona nel suo percorso evolutivo. Dubito che in questo momento, la poderosa innovatività della fase dell’esame di cui stiamo parlando sia stata colta dalla maggior parte degli attori in scena.
L’importanza delle competenze trasversali
L’esposizione delle esperienze compiute nell’ambito dei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO) è, in questa fase storica, un momento dell’esame che non desta particolari preoccupazioni. I PCTO, nati come Alternanza scuola lavoro, obbligatoria in tutte le classi degli ultimi tre anni delle scuole secondarie di secondo grado, secondo un gradiente sempre più divaricato tra istruzione professionale, tecnica e liceale, ha subito forti ridimensionamenti a causa della pandemia. Anche per quanto riguarda l’esame di Stato, la momentanea stasi è evidente al punto che, una parte importante delle attività curricolari, come i PCTO, può essere citata o descritta senza eccessive angosce da parte dei candidati per ricercare connessioni significative con la propria esperienza scolastica.
È opportuno ricordare che la matrice delle competenze trasversali rappresenta un aspetto non secondario nel sistema delle competenze chiave europee, non senza sottolineare che la funzione di fulcro costituita dalla quinta competenza — competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare – non può essere sottovalutata o trattata in maniera superficiale.
Come sempre, due fazioni
Ci sono quelli che non vedono l’ora di tornare al modello di esame consolidato con prove scritte e colloquio e importanza maggiore alle prove piuttosto che al percorso scolastico.
Ci sono anche coloro i quali non hanno disdegnato questa sperimentazione forzata degli ultimi due anni e che, in una visione integrata con il nuovo modo di fare scuola dettato dalla didattica integrata digitale (DDI), intravedono una possibile svolta che renda, nell’insieme, attraverso piccole ma significative riforme, più innovativo ed efficace il secondo ciclo d’istruzione italiano, esame conclusivo compreso.
Mi viene in mente che alcuni modelli descolarizzatori dell’ultimo scorcio del secolo XX rinvenibili nelle pubblicazioni dell’OCSE, paventavano una necessità di cambiamento della scuola entro il primo ventennio del secolo XXI a pena della scomparsa, in maniera critica e repentina, del modello tradizionale. Forse il cambiamento è arrivato, lo stiamo vivendo e non lo abbiamo ancora realizzato?