C’era una volta il preside, figura apicale di una professione docente identificata nel pubblico impiego. Quella figura non c’è più. Da più di vent’anni c’è il dirigente scolastico (d’ora in avanti: DS). Precisamente, dal D.lgs. 59 del 6 marzo 1998 e a seguito dell’art. 21, comma 16, della legge 59 del 15 marzo 1997. È trascorso quasi un quarto di secolo, eppure quel passato sembra non passare, ne rimangono i riflessi condizionati.
La contrattualizzazione
La legge n. 421 del 23 ottobre 1992 ha previsto la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che rimanda al Codice Civile, Libro V, Titolo II, Capo I. L’istituto del contratto è da tempo entrato nella scuola. A chi si chiede come mai siano fondamentali le relazioni sindacali, ecco, cerchiamo di spiegarlo.
Tra le responsabilità del DS c’è anche quella di tenere insieme Codice civile e produzione normativa, non esclusa quella, nella gerarchia delle fonti, di rango secondario, note e circolari comprese, che sono andate intensificandosi, forse oltre il fisiologico, negli ultimi anni.
Da un lato, persiste l’idea del preside come di un tale seduto in un ufficio a verificare l’applicazione corretta della norma, dall’altro è andato affermandosi un modello di manager che si assume le sue responsabilità. Si tratta di un duplice equivoco rispetto al ruolo reale del DS: né impiegato, né manager.
Il fattore umano
La scuola non è più (solo) pubblico impiego. Né può essere ricondotta ad una distorsione aziendalistica. La scuola si occupa sempre meno di faldoni (ora abbiamo il sito), nè di prodotti seriali o standartizzati. La scuola, compresa quella contrattualizzata, si occupa del fattore umano, nella varietà delle sue mille sfumature, in una dimensione ricca di significati inerenti ai bisogni educativi.
Sul fronte propriamente amministrativo, il compito fondamentale che la legge (art. 4, comma 2, artt. 5, 7, 17 e, soprattutto, art. 25, del D.lgs. 165/2001) assegna al DS è quello di organizzare il servizio, definendo, altresì, la responsabilità dirigenziale in ordine ai risultati. Lo stesso D.lgs. 165/2001 (art. 25, comma 4) spiega che “spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale”.
Responsabilità gestionale
Dunque, secondo il D.lgs.165/2001, il DS ha una espressa responsabilità nella gestione. La legge 107 del 13 luglio 2015, comma 93, nell’incipit della lettera e), precisa che il DS ha una responsabilità nella direzione, meglio ancora nella direzione unitaria, al fine di ricomporre i rapporti “tra le diverse componenti della comunità scolastica” insieme a quelli “con il contesto sociale”. D’altra parte, l’Atto di indirizzo è affidato al DS – sino a pochi anni fa, gli indirizzi erano prerogativa del Consiglio di Istituto – quindi non si tratta solo di gestione, né di management, semmai di leadership.
Mentre il PTOF è affidato all’elaborazione del Collegio dei Docenti ed è “approvato”, non più “adottato”, dal Consiglio di Istituto. Il PTOF, come tutti sanno, è il “documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche” conseguente all’Atto di indirizzo (DPR 275 dell’8 marzo 1999, art. 3 comma 1, in un passaggio ripreso alla lettera nella legge 107/2015, art. 1, comma 14).
Autonomia e relazione
Non bisogna mai perdere di vista i legami con l’intero spettro della comunità scolastica – docenti, personale ATA, studenti e famiglie – considerata nel senso più ampio, coinvolgente, da un lato gli Uffici scolastici regionali e territoriali, dall’altro gli Enti locali. Un mondo, un ecosistema, del quale ciascuna scuola deve sentirsi partecipe.
Autonomia non è autosufficienza o chiusura in una enclave. Autonomia è responsabilità nella collaborazione con tutto ciò che può concorrere a garantire un servizio adeguato a favorire il diritto all’apprendimento.
Un fare bene istruito
L’ufficio non è più un luogo fisico, ma un fare bene istruito, nel rispetto del quadro normativo, nell’incessante ricerca della scelta migliore tra quelle legittime. Raramente si dà un’unica soluzione, più spesso si tratta di comprendere quale sia la più efficace tra quelle possibili. La bussola nel principio del buon andamento indicato dall’art. 97, comma 2, della Costituzione. Un’espressione tanto semplice quanto felice. Non la staticità degli adempimenti formali. La sollecitudine verso un cammino orientato a beneficio della comunità scolastica e di ciò che in essa soprattutto conta: il successo formativo. È questa la ratio della missione dirigenziale.
La scuola al cuore della Costituzione
Né vanno trascurati altri articoli della Costituzione: dal 2 al 3, dal 30 al 31, dal 33 al 34, lo si ripete spesso, con conseguenze raramente pari alle attese.
La scuola ha un carattere strategico perché in essa si concentrano alcuni diritti costituzionali primari: dal pieno sviluppo della persona umana, in relazione al diritto all’apprendimento, all’esercizio della responsabilità educativa delle famiglie, dalla libertà di insegnamento, intesa anche come ricerca e innovazione metodologica e didattica, all’autonomia declinata in una varietà di aspetti, culturali e professionali, sino ad una visione inclusiva delle relazioni sociali.
Conta la sostanza
Il DS è chiamato a far funzionare la scuola nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici (D.lgs. 165 del 30 marzo 2001, art. 25, comma 2). Dopodiché è vero che il preside continui a evocare qualcosa di positivo, e, al contempo, di autorevole, con un senso di umanità che rischia di smarrirsi e che, invece, va recuperato e custodito.
Poi si può dire dirigente scolastico o preside, conta la sostanza, non la forma.
Se si pensa allo stile di governo, è opportuno rendere attivi, realmente vissuti, i principi dell’innovazione amministrativa: semplificazione, snellezza, speditezza, nel rispetto dei ruoli, con consegne chiare e restituzioni rendicontate. Ciò significa: meno carta, più digitale, meno burocrazia, più impegno educativo.
Dall’esperienza degli ultimi due anni
L’esperienza degli ultimi due anni – a causa della pandemia – si racchiude nella suggestione dell’ossimoro: una stimolante fatica. La scuola ha mostrato di saper reggere all’urto traendone motivo per l’innovazione con spirito di adattamento. Qui il senso proprio dell’abusata resilienza. In questa transizione, destinata a segnare gli anni a venire, il profilo del dirigente scolastico – un tempo preside – ha assume l’accento di chi è chiamato a tenere insieme, spingendole innanzi, in modo unitario, tutte le componenti della comunità scolastica, nessuna esclusa.
Il Testo Unico da innovare
La scuola italiana dal 1994 lavora sulla base di un testo unico degli organi collegiali, il D.lgs. 297 del 16 aprile 1994, conseguenza, a sua volta, del DPR di vent’anni prima, il 416 del 31 maggio 1974. Sarà un caso ma nonostante le previsioni del comma 180 e del comma 181, lettera a), punto 1), della legge 107, questo è l’unico ambito che non abbia trovato attuazione nei decreti legislativi del 13 aprile 2017. Una lacuna che andrebbe colmata.
Bisogna salvaguardare l’ispirazione di una scuola aperta alle istanze democratiche degli organi collegiali e della partecipazione dei genitori e degli studenti, aggiornandole all’oggi. Senza passi indietro. Guardando avanti. Rileviamo con piacere che tra gli obiettivi annunciati nelle Linee programmatiche da Ministro il 4 maggio 2021 al Parlamento figura anche questo obiettivo: “Si rende indispensabile e prioritaria un’opera di semplificazione della normativa, volta ad adottare un Testo Unico che renda coerente la legislazione vigente e renda predittivo il quadro normativo rispetto ai bisogni del settore dell’educazione”.
Cahier de doléances
Occorre rendere il DS un po’ meno solo, un po’ più guida di una squadra, nella direzione del middle management, della meta-dirigenza, della dirigenza diffusa.
Il cahier de doléances è ampio e articolato e riguarda tutte le questioni che attengono al funzionamento del sistema, dal FUN alle reggenze, dalla valutazione dello stress lavoro correlato alla carenza di DSGA, sino alla non irrilevante sperequazione tra lo status dei dirigenti scolastici e quello delle altre dirigenze, reso ancora più stridente dopo che la dirigenza scolastica è confluita nell’area Istruzione e Ricerca.
Alcune anomalie
Non manca qualche stranezza, come quella per cui circa il 50% di coloro che, collocati nella prima parte della graduatoria come vincitori dell’ultimo concorso del 2017 – circa 1000 su poco meno di 2000 – abbiano avuto un incarico fuori dalla regione di residenza, senza che si sia trovata, nel frattempo, una soluzione, non velleitaria, ma equilibrata e ragionevole, oltre che legittima, nell’ambito della mobilità interregionale (con rispetto per tutti coloro che hanno superato il concorso).
Poi bisognerebbe anche decidere se si vuole immaginare un sistema fondato sulla disintermediazione – per cui il Ministero, a motivo delle più svariate istanze, rilevazioni e sondaggi, tende a rivolgersi direttamente ai dirigenti scolastici – oppure se i dirigenti scolastici, posto un indirizzo di carattere nazionale, debbano essere chiamati ad un fare coordinato con quegli Uffici scolastici regionali da cui ricevono anche formalmente l’incarico a cui sono preposti.
Un punto conclusivo
Nonostante il profluvio di parole e opinioni, non è semplice definire quel che è accaduto nell’ultimo anno e mezzo. Una rottura, e, al contempo, un trauma. Nonostante questo la scuola non è mai venuta meno ai propri compiti. Guai a sottovalutare il malessere prodotto dalla pandemia, ma la scuola della presenza non era solo benessere. Non possiamo non sentirci alla ricerca della normalità perduta, anche se sappiamo che non sarà un tornare al prima, non potrà che essere un cammino orientato al dopo. Forse questo è uno degli acquisti che possiamo trarre da questa dolorosa esperienza. Ritessere il filo della relazione, e, nell’esperienza didattica, dell’integrazione, irrobustirlo, rendendolo più saldo, sviluppando ulteriormente l’attitudine alla ricerca e alla sperimentazione, aspirazione autentica e profonda dell’autonomia. Di quel filo il primo tessitore non può che essere il dirigente scolastico.