Nello scorso mese di marzo è stato pubblicato il Manifesto per la nuova Scuola, sottoscritto anche da noti intellettuali tra cui Chiara Frugoni, Carlo Ginzburg, Vito Mancuso, Dacia Maraini, Massimo Recalcati, Salvatore Settis, Gustavo Zagrebelsky, e che ha raccolto allo stato attuale 4582 firme.
Otto punti per il rilancio della scuola
Il manifesto propone 8 punti per rilanciare il ruolo della scuola:
- La scuola come luogo della relazione umana e del rapporto intergenerazionale
- Per una scuola della conoscenza
- Un giusto rapporto tra mezzi e fini
- Il mancato coinvolgimento degli insegnanti nelle “riforme” degli ultimi vent’anni
- Il reclutamento e la formazione degli insegnanti
- Restituire centralità all’ora di lezione
- Rivedere l’intero impianto fallimentare dell’“autonomia scolastica”
- Un diverso rapporto numerico tra studenti e insegnanti.
Una scuola senza le prove Invalsi
In realtà, dai titoli, i temi del programma del manifesto non si discostano, in linea di massima, dalle Linee programmatiche del Ministro dell’istruzione e dal Patto per la scuola.
Tra le varie proposte che vengono avanzate, però, ce n’è una che qui vorrei approfondire, ossia la questione delle prove Invalsi, che si ripresenta ciclicamente nel dibattito scolastico italiano. Nel Manifesto viene detto testualmente: “via i test Invalsi, che sottraggono settimane di tempo all’attività scolastica senza che se ne siano mai chiariti il senso, la funzione e l’utilità”.
Come verificare lo stato di salute di una scuola?
C’è da puntualizzare, innanzi tutto, che le prove Invalsi non sottraggono settimane di tempo, in quanto di solito si esauriscono in tre diverse giornate (lingua, matematica, lingua inglese) per ciascuno studente. Per capire la funzione che esse svolgono bisogna rispondere ad una domanda preliminare: come fa un sistema scolastico a tastare il polso della situazione rispetto ai risultati del processo di apprendimento degli alunni? Naturalmente si può ritenere che la conoscenza dello stato di salute generale non è importante in quanto ogni scuola ha gli strumenti per verificare la qualità degli esiti della propria popolazione scolastica. E questo potrebbe avere una base di verità, ma il problema è che se si vuole passare da un dato meramente idiografico, inerente la realtà di una specifica istituzione scolastica, ad un dato più generale, riguardante una popolazione più ampia, si deve fare necessariamente ricorso a prove che siano comparabili e dunque standardizzate, sia nella loro definizione che nella procedura di somministrazione.
Dalla diagnosi alla terapia
Purtroppo quello che è mancato nel corso di questi anni è che alle rilevazioni dei risultati attraverso le prove Invalsi non è sempre seguita una politica di interventi per tentare di colmare eventuali differenze tra le diverse realtà territoriali, tra tipologie di scuole, ma anche tra classi della stessa istituzione. In fondo le prove Invalsi fanno solo una fotografia; tocca poi al decisore politico il passo successivo, quello di definire i piani d’azione sulla base dei dati emersi. Il vero valore delle prove Invalsi è proprio questo, altrimenti il tutto si traduce in una sorta di diagnosi senza terapia. Sappiamo bene che senza le terapie giuste il sistema non migliora.
Nel PNRR una terapia per ridurre i divari
La paradossalità del Manifesto è che viene divulgato proprio nel momento in cui il decisore politico, per la prima volta, programma degli interventi per colmare i gap tra scuole, tra classi e tra territori; e sono proprio le prove Invalsi a rilevarli. Infatti il PNNR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza), recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, e trasmesso alla commissione europea, nella sezione dedicata all’Istruzione e Ricerca, esplicitamente prevede una serie di interventi dedicati alla “riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado”. Infatti il Piano prevede le seguenti misure:
- la riduzione dei divari territoriali per quanto concerne il livello delle competenze di base (italiano, matematica e inglese), inferiore alla media OCSE, in particolare, nel Mezzogiorno;
- lo sviluppo di una strategia per contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico;
- la personalizzazione dei percorsi per quelle scuole che hanno riportato livelli prestazionali critici;
- azioni di supporto mirate per i dirigenti scolastici, a cura di tutor esterni e docenti di supporto (per italiano, matematica e inglese) per almeno un biennio;
- mentoring e formazione (anche da remoto) per almeno il 50% dei docenti;
- il potenziamento del tempo scuola con progettualità mirate, incremento delle ore di docenza e presenza di esperti per almeno 2000 scuole;
- programmi e iniziative specifiche di mentoring, counseling e orientamento professionale attivo.
Interventi di sistema, ma anche interventi mirati
Insomma, per la prima volta, l’Amministrazione Centrale sembra aver imboccato la strada giusta per creare un collegamento organico e virtuoso tra esiti delle indagini e interventi di miglioramento, come peraltro doveva essere fatto nel corso degli anni passati. Ovviamente, si può discutere nel merito di queste proposte, ma non può essere misconosciuto il fatto che si tenti di stabilire un rapporto consequenziale tra “fotografia” e azioni di miglioramento, almeno per quel che concerne la dimensione macropolitica.
Per quanto riguarda, invece, la dimensione micro, è possibile da sempre intervenire dall’interno. Fin dalla prima somministrazione delle prove Invalsi, le scuole sono state costantemente sollecitate a condurre delle riflessioni nella comunità professionale sugli eventuali discostamenti (negativi) tra i dati locali e quelli provinciali, regionali e nazionali, per cercare di individuare le cause di tali differenze e per tentare di porre alcuni rimedi attraverso un processo di rivisitazione della didattica e degli approcci metodologici.
E se si eliminassero le prove l’Invalsi, cosa fare in alternativa?
Viene spontaneo porre ai promulgatori del Manifesto per la scuola alcune domande: cosa proponete in alternativa alle prove Invalsi per avere un quadro attendibile dei livelli di apprendimento degli studenti italiani? Ritenete che il decisore politico non abbia necessità di questi dati per impostare degli interventi di miglioramento? Ma, in tal caso, la diagnosi della situazione come può essere condotta? Bastano dati impressionistici? Basta ascoltare alcuni testimoni privilegiati? Basterebbero, in ultima analisi, prove campionarie e non censuarie? È possibile conciliare altre eventuali scelte con l’esigenza di avere dati comparabili a livello regionale o nazionale?
Se si pensa che la raccolta di dati “oggettivi” sui risultati di apprendimento sia inutile (come di fatto sottolinea il Manifesto), bisognerebbe nel contempo offrire al decisore politico proposte alternative fattibili per condurre una diagnosi scientificamente fondata sullo stato di salute dell’istruzione nel Paese, altrimenti qualsiasi presa di posizione, come quella espressa dal Manifesto, rischia di suonare come ideologica e fortemente pregiudiziale. soprattutto non serve a migliorare l’offerta formativa della scuola, innalzare il livello di istruzione degli studenti, la qualità del sistema-Paese.