L’emanazione del DM 50 del 3 marzo 2021, relativo all’aggiornamento delle graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia del personale ATA, nonché due recenti sentenze[1], suggeriscono l’opportunità di provare a fare il punto sulla questione della natura giuridica del procedimento di formazione delle graduatorie, e conseguente giurisdizione, nonché sulle diverse problematiche nascenti dai controlli sulle stesse.
Natura giuridica del procedimento di formazione delle graduatorie
Sul contenzioso nascente dalle Graduatorie ad esaurimento (GAE) la giurisprudenza è da tempo concorde nel ritenere la competenza del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, sulla base della circostanza che l’art. 63, co. 4, D.Lgs. 165/2001 limita la giurisdizione amministrativa alle controversie inerenti leprocedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazionie che tale qualifica deve riferirsi ai concorsi intesi stricto sensu, quindi «limitata a quelle procedure, dirette alla assunzione di pubblici impiegati, che iniziano con l’emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati e dalla compilazione finale di una graduatoria, la cui approvazione, individuando i “vincitori”, rappresenta l’atto terminale del procedimento» (Cons. St., ad. plen., 11/2011).
Tali caratteristiche non si ravvisano nelle GAE in quanto si tratta di «inserimento in graduatoria di coloro che sono in possesso di determinati requisiti, anche sulla base della pregressa partecipazione a concorsi, graduatoria preordinata al conferimento di posti che si rendono via via disponibili; è esclusa comunque ogni tipologia di attività autoritativa sulla base di valutazioni discrezionali» (sent. cit.).
Trattandosi quindi di atti che esulano da quelli compresi nelle procedure concorsuali per l’assunzione, né potendo essere ascritti ad altre categorie di attività autoritativa (identificate dal D.Lgs. 165/2001, art. 2, co. 1), gli stessi non possono che restare compresi tra le determinazioni assunte con la capacità e i poteri del datore del lavoro privato (D.Lgs. 165/01, art. 5, co. 2), di fronte ai quali sono configurabili soltanto diritti soggettivi e la conseguente competenza del giudice ordinario.
GPS e graduatorie di istituto
Sul tema delle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS) e delle graduatorie di istituto, viceversa, la giurisprudenza è divisa e si assiste ad un frequente rimpallo di competenze tra autorità giudiziaria ordinaria e amministrativa.
In una recente pronuncia, il Consiglio di Stato (sent. 2007 del 9.03.2021), dopo aver ribadito che per le GAE la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, ha affermato che, di contro, «nelle controversie riguardanti le graduatorie di istituto … ricorrono tutti gli elementi caratteristici della procedura concorsuale pubblica: il bando iniziale, la fissazione dei criteri valutativi dei titoli, la presenza di un Commissione incaricata della valutazione dei titoli dei candidati, la formazione di una graduatoria finale» e pertanto la giurisdizione appartiene al Giudice Amministrativo.
Propendono per la competenza del Giudice Amministrativo, oltre al citato Cons. St. n. 2007/2021, anche CGA Sicilia n. 102 e n. 237/2021, TAR Basilicata n. 272/2021, TAR Emilia-Romagna n. 840/2020, Cass. civ. ord. 21198/2017.
Critica della sentenza
L’autorevolezza della pronuncia non fa, tuttavia, venir meno la sensazione che si tratti di un principio tralatizio che prescinde dall‘analisi delle effettive caratteristiche dei due procedimenti (quello volto alla formazione e aggiornamento delle GAE e quello volto alla formazione delle GPS e conseguenti graduatorie di istituto) che, diversamente da quanto affermato, sono sostanzialmente identiche.
Infatti sia nella procedura di aggiornamento delle GAE (l’ultima è stata effettuata sulla base del DM 374/2019), sia in quella di formazione delle GPS (sulla base dell’OM 60/2020), così come in quella di aggiornamento delle graduatorie di istituto[2], ritroviamo i medesimi elementi caratterizzanti. Siamo, infatti, in presenza di un atto amministrativo generale che dà avvio alla procedura, ad una valutazione dei titoli e servizi che non implica un esercizio di discrezionalità, ma il semplice riscontro tra quanto dichiarato ed i punteggi contenuti negli allegati dei decreti ministeriali che danno avvio alla procedura, l’assenza di commissioni, la redazione finale di una graduatoria.
La principale fonte normativa che regola le supplenze è l’art. 4 della legge 124/1999 che, relativamente alla procedura di individuazione delle persone abilitate a svolgere supplenze scolastiche, incluse quelle temporanee, prevede che il Ministro dell’Istruzione emani un regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee nel rispetto dei criteri indicati nei commi seguenti della norma[3].
Il regolamento, così come i decreti che prevedono l’aggiornamento periodico delle graduatorie, sono corredati da appositi Allegati che provvedono ad individuare la corrispondenza tra i titoli dichiarati dagli aspiranti ed i punteggi che devono essere attribuiti in corrispondenza dell’uno o dell’altro di tali diversi titoli.
La procedura non è assimilabile ad un concorso
Pertanto, come ha puntualmente osservato il Consiglio di Stato nella sent. n. 5847/2017, nella disciplina di cui al citato art. 4 non si rinvengono elementi che conducano a ritenere che vi sia una procedura concorsuale in senso tecnico, infatti «la determinazione del punteggio massimo conseguibile da ciascun aspirante, in relazione ai titoli che il medesimo indichi di possedere con la sua domanda di inserimento in graduatoria – alla luce di tale allegato – è estremamente semplice e, soprattutto, praticamente meccanica, dato che l’Amministrazione non deve far altro che abbinare a ciascun titolo indicato il punteggio per esso previsto e, quindi, procedere alla sommatoria dei vari punteggi.
In questo tipo di attività non si ravvisa, dunque, alcun tipo di discrezionalità né certamente essa ricorre nel momento in cui l’Amministrazione procedere a riconoscere, fra i titoli indicati dagli aspiranti, quelli soli che possono essere utilmente presi in considerazione.
Dato ciò allora, per quanto l’elenco degli aspiranti (valutati nel modo anzidetto) possa essere definito graduatoria, lo stesso resta nei fatti null’altro, appunto, che un elenco di nominativi, al cui interno la posizione di ciascun individuo non è determinata (ad esempio) dal loro ordine alfabetico ovvero da altri parametri analogamente discretivi, sebbene dal punteggio massimo conseguito da ciascuno in funzione della natura e quantità dei titoli (tra quelli soli che possono essere presi in considerazione) indicati[4].
In sostanza, e conclusivamente, escluso che ricorra nella procedura per cui è causa una predeterminazione di criteri valutativi (oltre che di punteggi) affidata alla amministrazione attiva (dato che gli stessi risultano predeterminati a livello normativo) ed escluso che, pertanto, l’organo valutatore (il dirigente scolastico, ove non si debba – come non è nella fattispecie – costituire un’apposita commissione giudicatrice) disponga di spazi discrezionali nell’attività di computo del punteggio da attribuire ai titoli esposti da ciascun candidato, i pur eventualmente residui indici che connotano la procedura (bando e graduatoria) non risultano essere tali da far iscrivere la procedura stessa fra quelle qualificabili concorsuali in senso stretto».
La competenza del Giudice Ordinario
Aderiscono alla tesi della competenza del giudice ordinario in tema di controversie riguardanti le graduatorie di istituto (per il personale docente ed Ata) come delle GPS, le seguenti recenti pronunce: TAR Lombardia-MI n. 128/2021, TAR Toscana n. 236/2021, TAR Campania n. 2026/2021, TAR Lazio n. 10388/2020, Corte App. Genova n. 247/2020, sulla base di una distinzione operata da Cass. civ., SU, con sent. n. 5454/2019 e ord. n. 17123/2019, che in una causa avente ad oggetto la graduatoria di istituto, ha stabilito che la giurisdizione si determina in base al petitum sostanziale, e pertanto «occorre distinguere – alla luce dei principi enunciati da questa Corte (Cass., S.U., n. 22805/2010; Cass., S.U., n. 27991/2013; Cass., S.U., n. 16756/2014; Cass., S.U., 25840/2016; Cass., S.U., 21196/2017) – a seconda che la questione, involgente un atto di gestione delle graduatorie, riguardi in via diretta la posizione soggettiva dell’interessato e il suo diritto al collocamento nella giusta posizione nell’ambito della graduatoria ovvero l’oggetto del giudizio sia l’accertamento della legittimità della regolamentazione stessa delle graduatorie ad esaurimento quale adottata con atto ministeriale, in quanto in tal caso viene contestata la legittimità della regolamentazione, con disposizioni generali ed astratte, delle graduatorie ad esaurimento al fine di ottenere l’annullamento di tale regolamentazione in parte qua, e non già la singola collocazione del docente in una determinata graduatoria, eventualmente previa disapplicazione degli atti amministrativi presupposti, anche eventualmente di natura normativa sub primaria.». Dello stesso tenore Cass. civ., SU, sent. n. 8098/2020.
E pertanto ove non si contestino i criteri di attribuzione dei punteggi fissati dall’atto amministrativo generale (DM o OM), ma semplicemente la corretta applicazione degli stessi da parte del soggetto incaricato di formare la graduatoria, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario che può anche verificare, in via incidentale, la legittimità degli atti generali di autoregolamentazione dell’ente pubblico (per eventualmente disapplicarli).
Peraltro milita a favore della competenza del giudice ordinario la circostanza che lo stesso DM 50/21 all’art. 8, co. 4, preveda che la graduatoria sia impugnabile con ricorso al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro.
La natura giuridica dell’attività di formazione delle graduatorie
Poiché la corretta individuazione della giurisdizione dipende dalla qualificazione della natura giuridica degli atti volti alla formazione delle graduatorie, la questione, per quanto molto tecnica, non interessa solo chi deve gestire il contenzioso successivo alla formazione delle graduatorie stesse, ma investe anche l’esercizio del potere dirigenziale di apportare correzioni alle graduatorie già formate. Infatti, ritenere che la giurisdizione sia del giudice amministrativo implica assumere che l’attività di formazione/aggiornamento delle graduatorie sia regolata dal diritto amministrativo e possa quindi applicarsi anche l’istituto dell’annullamento in autotutela, previsto dall’art. 21 nonies legge 241/1990. Invece, propendere per la giurisdizione del giudice ordinario, significa riconoscere l’esercizio del potere di gestione tipico del datore di lavoro, regolato dal diritto privato. In tal caso diviene più complessa l’individuazione del potere di modificare l’atto errato. E così veniamo al secondo aspetto della questione.
Le problematiche nascenti dai controlli delle graduatorie di istituto
Come previsto anche dal citato DM 50 del 3.03.21, spetta al dirigente dell’istituzione scolastica ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro, effettuare i controlli delle dichiarazioni presentate[5].
Dai controlli possono emergere dichiarazioni mendaci sul possesso dei titoli oppure sulla mancata presenza di precedenti penali. Come previsto dal citato DM, può prospettarsi la necessità di rideterminare il punteggio assegnato, da cui poi può conseguire l’obbligo di risolvere il contratto allorché risulti che l’errato punteggio abbia alterato il corretto posizionamento in graduatoria dell’aspirante, che conseguentemente ne ha impropriamente beneficiato al momento dell’individuazione dell’avente diritto alla supplenza.
Del pari può rendersi necessaria la risoluzione del contratto in presenza di determinate condanne penali non dichiarate o dal mancato possesso di titoli essenziali per l’ammissione.
L’iter procedurale
In entrambe le circostanze, l’iter procedurale da seguire dipende, come detto, dall’inquadramento giuridico del potere di gestione delle graduatorie.
Se, infatti, si inquadra l’attività come procedimento amministrativo, il dirigente adotterà la procedura dell’annullamento in autotutela, opportunamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7-8 della legge 241/1990).
Qualora, invece, si propenda per la natura privatistica degli atti di gestione delle graduatorie, il modulo dell’autotutela diviene inapplicabile e, come precisato da Cass. civ. SU, n. 27197/2017, «Il comportamento della P.A. nella veste di datrice di lavoro, va valutato alla stregua dei principi civilistici in ordine all’inadempimento delle obbligazioni (art 1218 c.c.), anche secondo i parametri della correttezza e della buona fede con la conseguenza che se l’amministrazione, res melius perpensa, modifica o ritira l’atto di conferimento esercita un potere organizzativo e non il potere amministrativo di autotutela, inconcepibile nei confronti di atti di tutela privati».
Si può sostenere che la fase volta alla rideterminazione del punteggio e della conseguente posizione in graduatoria non deriva da un potere amministrativo di riesame, ma dall’obbligo di rispettare la previsione contenuta nei decreti ministeriali che procedimentalizzano l’attività dirigenziale di diritto privato.
Inoltre, come già chiarito da Cass. civ. n. 24216/2017 – n. 13800/2017 – n. 19626/2015, «qualora l’atto adottato risulti in contrasto con norma imperativa, l’ente pubblico può tuttavia sottrarsi unilateralmente all’adempimento delle obbligazioni che trovano titolo nell’atto illegittimo, alla stregua del contraente che non osservi il contratto stipulato, ritenendolo affetto da nullità».
Qualora l’atto adottato risulti in contrasto con una norma imperativa, infatti, la pubblica amministrazione, che è tenuta a conformare la propria condotta alla legge, può sottrarsi all’adempimento di obbligazioni che trovino la loro fonte nell’atto illegittimo e la condotta è equiparabile a quella del contraente che non osservi il contratto stipulato ritenendolo inefficace perché affetto da nullità ex art. 1418 c.c.
Le casistiche prevalenti possono raggrupparsi in due fattispecie: le dichiarazioni mendaci su titoli o qualità dell’aspirante oppure l’omessa dichiarazione di precedenti penali.
Cause di esclusione
L’art. 7 del DM 50/2021 prevede che sia disposta l’esclusione dalla graduatoria degli aspiranti che risultino privi dei requisiti di accesso e di ammissione[6], come di coloro che abbiano reso dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale. Precisa inoltre che «le autodichiarazioni mendaci o la produzione di certificazioni false comportano l’esclusione dalla procedura di cui al presente decreto per tutti i profili e graduatorie di riferimento, nonchè la decadenza dalle medesime graduatorie… e comportano, inoltre, l’erogazione delle sanzioni di cui alla vigente normativa, come prescritto dagli artt. 75 e 76 del DPR 445/2000». Tra i requisiti che precludono l’ammissione, la norma indica, oltre ai reati indicati nell’art. 25-bis del DPR 313/2002[7], le condanne «per reati che costituiscono un impedimento all’assunzione presso una pubblica amministrazione».
La locuzione è innovativa rispetto ai precedenti decreti ministeriali che, di norma, facevano un rinvio recettizio alla legge 16/1992 o, come invece ha fatto l’OM 60/2020 (sulle GPS), un rinvio al D.lgs. 235/2012, contenente norme sull’incandidabilità alle elezioni amministrative.
Le condanne nel DM 50/2021
Nel DM in commento, invece, a parte il richiamo ad un articolo del DPR 313/2002, si lascia all’interprete individuare quali siano le condanne preclusive all’instaurazione di un rapporto di pubblico impiego e quindi anche all’inserimento in graduatoria. Compito, invero, non semplicissimo per i dirigenti scolastici. Si reputa che la fonte di riferimento debba essere il Codice penale e quindi quelle condanne (definitive) che, ai sensi degli artt. 28 e ss. c.p., comportano l’interdizione dai pubblici uffici, l’interdizione legale, l’incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione.
Dal confronto tra l’elencazione cui fa rinvio l’OM che regola la formazione delle GPS e quella che, in via interpretativa, può desumersi dal DM che regola le graduatorie ATA, si noterà che si riduce il numero dei reati, scomparendo, ad esempio, le condanne relative all’ipotesi di spaccio di stupefacenti, previsto dall’art. 73 DPR 309/1990[8]!
L’intervento della Cassazione di febbraio 2021
Con recente pronuncia (sent. n. 4057 del 16 febbraio 2021), la Suprema Corte, dopo aver stigmatizzato «la patologica inversione procedimentale, che sovente si sostanzia nella prassi della verifica postuma all’immissione in ruolo», prassi che può comportare un obbligo risarcitorio per chi abbia fatto affidamento sul comportamento dell’Amministrazione (Cass. civ. n. 8236/2020), ha chiarito che, dopo la conclusione del contratto, la PA non esercita poteri di carattere autoritativo, ma agisce con le capacità proprie del datore di lavoro privato e pertanto «non può far valere la mancanza o il vizio della procedura concorsuale attraverso lo strumento tecnico-giuridico dell’autotutela. Ciò però non significa che le norme inderogabili di legge che disciplinano le modalità e le forme del reclutamento non condizionino la validità del contratto concluso, bensì solo che (…) il vizio del negozio deve essere necessariamente ricondotto ad una delle categorie note al diritto civile ed assoggettato alla relativa disciplina».
Pertanto, quale che sia l’inquadramento giuridico dell’iter relativo alla formazione delle graduatorie, l’atto col quale -dopo la stipula del contratto- si revochi l’assunzione, a seguito dell’annullamento della procedura concorsuale o dall’inosservanza dell’ordine in graduatoria, equivale in ogni caso alla condotta del contraente che non dia esecuzione ad un contratto nullo.
La Corte ricorda che l’art. 36. co. 5, del D.lgs. 165/2001 sanziona la violazione delle norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori con la nullità e che tale norma «ha una portata generale che va oltre il più ristretto ambito di applicazione indicato nella rubrica dell’articolo ed è idonea ad attrarre nella sfera della nullità anche il mancato rispetto delle procedure imposte per le assunzioni a tempo indeterminato dell’art. 35 del decreto».
Quindi ribadisce che «la regola che impone l’individuazione del contraente sulla base di una graduatoria formulata all’esito della procedura concorsuale nel rispetto dei criteri imposti dalla legge e dal bando si riflette necessariamente sulla validità del negozio, perchè individua un requisito che deve imprescindibilmente sussistere in capo al contraente».
In buona sostanza, nel caso di attribuzione di un punteggio improprio in virtù della dichiarazione di titoli inesistenti, come nel caso della presenza di condanne ostative al rapporto di lavoro, il dirigente potrà direttamente procedere alla revoca dell’individuazione con conseguente risoluzione del contratto di lavoro.
A corroborare questa conclusione soccorrono, peraltro, le norme dei contratti collettivi di lavoro: l’art. 25, co. 5, e l’art. 44, co. 7, del CCNL 2007, come l’art. 41, co. 1, del CCNL 2018, prevedono, infatti, che siano causa di risoluzione dei contratti di lavoro l’annullamento della procedura di reclutamento o l’individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie.
No agli automatismi
L’ultima questione che appare necessario affrontare è l’automatismo o meno dell’esclusione dalla graduatoria nel caso di dichiarazioni mendaci.
Il DM 50/2021 all’art. 6, co. 1, precisa che alle autodichiarazioni non veridiche si applicano le decadenze previste dall’art. 75 DPR 445/2000[9] ed all’art. 7, co. 1, prevede l’esclusione di coloro che abbiano reso, nella compilazione della domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale.
Anche in questo caso la giurisprudenza si divide tra chi ritiene sempre necessario procedere all’esclusione senza margini di discrezionalità (Cons. St. n. 8920/2019, TAR Roma n. 7140/2019, Cons. St. n. 1172/2017, Corte App. BO n. 234/2017) e chi rifugge da ogni automatismo.
Quest’ultima, preferibile, impostazione interpretativa si fonda su un ragionamento più articolato che, prendendo in esame anche l’art. 127 lett. d) del DPR 3/1957[10], consente di rilevare come sia tale norma sia l’art. 75 DPR 445/2000 facciano riferimento alla derivazione causale certa dell’accesso all’impiego dai documenti o dalle dichiarazioni false prodotte.
Se ne può desumere che, solo allorquando la legge (o il bando), rispetto ad un certo requisito, tra cui quello relativo alle pregresse condanne penali, stabilisca una regola certa di incompatibilità con l’accesso al pubblico impiego, la decadenza operi di diritto, al di fuori di un procedimento disciplinare, quale effetto del manifestarsi di un vizio “genetico” del contratto. Quindi «è solo la falsità sui dati sicuramente decisivi per l’assunzione che comporterà la decadenza, senza possibilità di qualsivoglia valutazione di diverso tipo.
Ciò consente di impostare su tale base la portata differenziale del D.lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, norma che, per i falsi documentali e dichiarativi resi in relazione all’accesso al pubblico impiego prevede il licenziamento ma quale effetto di procedimento disciplinare e quindi previa valutazione di gravità dell’accaduto» (Cass. civ. n. 18699/2019).
Analogamente si è espressa Cass. civ. n. 22673/2020.
Occorre, in sostanza, distinguere tra vizi “genetici” e vizi “funzionali”: allorquando le falsità non riguardino circostanze certamente ostative al rapporto, esse, a rapporto instaurato, vanno valutate in concreto come possibili, ma non automatiche, ragioni di risoluzione, allorché cioè siano tali da comportare, in un giudizio di proporzionalità, la lesione del vincolo fiduciario.
Come si può quindi agevolmente comprendere al termine di questa disamina, le problematiche giuridiche che attendono i dirigenti scolastici, nell’imminente formazione e successiva gestione delle graduatorie di istituto di terza fascia per il personale ATA, sono estremamente complesse ed il lavoro non è certo agevolato da una giurisprudenza ondivaga, che non è ancora riuscita ad assestarsi su un’interpretazione univoca dei principali aspetti.
Del resto nella “società liquida” di Bauman, l’incertezza è l’unica certezza.
[1] Ci si riferisce a Cons. St., VI sez., sent. n. 2007 del 9.03.2021 e Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 4057 del 16.02.2021.
[2] Per i docenti, precedentemente all’OM 60/20, si effettuò sulla base del DM 374/2017; per gli ATA si effettua ora sulla base del DM 50/2021.
[3] Il comma 6 del medesimo articolo ha disposto che per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee, sino al termine delle attività didattiche, si utilizzano le graduatorie permanenti, mentre il successivo comma 7 aggiunge che “Per il conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto. I criteri, le modalità e i termini per la formazione di tali graduatorie sono improntati a principi di semplificazione e snellimento delle procedure con riguardo anche all’onere di documentazione a carico degli aspiranti”. Le norme menzionate hanno poi trovato loro attuazione con il decreto 13 giugno 2007, n. 131, del Ministro della pubblica istruzione. In esso l’art. 5, la cui rubrica si è riferita alle graduatorie di circolo e di istituto, prevede tra l’altro – in relazione a quanto qui più specificamente interessa – che: “1. Il dirigente scolastico, ai fini del conferimento delle supplenze (…), costituisce, sulla base delle domande prodotte (…) apposite graduatorie in relazione agli insegnamenti o tipologia di posto impartiti nella scuola, secondo i criteri di cui al comma 3.
2. I titoli di studio e di abilitazione per l’inclusione nelle graduatorie di circolo e di istituto sono quelli stabiliti dal vigente ordinamento per l’accesso ai corrispondenti posti di ruolo.
3. Per ciascun posto di insegnamento viene costituita una graduatoria distinta in tre fasce, da utilizzare nell’ordine, composte come segue: (…). III Fascia: comprende gli aspiranti forniti di titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento richiesto.
4. (…) Gli aspiranti inclusi nella III fascia sono graduati secondo la tabella di valutazione dei titoli, annessa al presente Regolamento (Allegato A). Per la valutazione dei titoli artistici dei docenti di strumento musicale (cl. 77/A) sono costituite apposite commissioni presiedute dal dirigente dell’ufficio scolastico provinciale o da un suo delegato e composte da un dirigente scolastico di una scuola media, ove sia presente l’insegnamento di strumento musicale, da un docente di Conservatorio di musica dello specifico strumento e da un docente titolare di strumento musicale nella scuola media per strumento diverso da quello cui si riferisce la graduatoria. La commissione è nominata dal competente dirigente dell’ufficio scolastico provinciale. (…)
9. Avverso le graduatorie di circolo e d’istituto è ammesso reclamo alla scuola che ha provveduto alla valutazione della domanda entro il termine di 10 giorni dalla data di pubblicazione della graduatoria all’albo della scuola e la scuola deve pronunciarsi sul reclamo stesso nel termine di 15 giorni, decorso il quale la graduatoria diviene definitiva. La graduatoria diviene, altresì, definitiva a seguito della decisione sul reclamo”.
[4] Unica eccezione a tale principio può rinvenirsi, sempre a parere del Cons. Stato, lì dove il regolamento n. 131/2007 all’art. 5 co. 4, prevede che “Per la valutazione dei titoli artistici dei docenti di strumento musicale (cl. 77/A) sono costituite apposite commissioni presiedute dal dirigente dell’ufficio scolastico provinciale o da un suo delegato“.
[5] Prevede l’art. 6 che «L’istituzione scolastica ove l’aspirante stipula il primo contratto di lavoro, sulla base della graduatoria di circolo o d’istituto di terza fascia nel periodo di vigenza delle graduatorie effettua, tempestivamente, i controlli delle dichiarazioni presentate. Tali controlli devono riguardare il complesso delle situazioni dichiarate dall’aspirante, per tutte le graduatorie in cui il medesimo è risultato incluso. All’esito dei controlli di cui al comma 11, il dirigente scolastico che li ha effettuati convalida a sistema i dati contenuti nella domanda e ne dà comunicazione all’interessato. In caso di esito negativo della verifica, il dirigente scolastico che, ai sensi del comma 11, ha effettuato i controlli, adotta il relativo provvedimento registrando a sistema l’esclusione di cui all’articolo 7, ovvero la rideterminazione dei punteggi e delle posizioni assegnati all’aspirante. Il dirigente scolastico comunica il provvedimento di esclusione o di rideterminazione del punteggio all’aspirante e alle scuole da quest’ultimo individuate in fase di presentazione dell’istanza. Restano in capo al dirigente scolastico che ha effettuato i controlli la valutazione e le conseguenti determinazioni ai fini dell’eventuale responsabilità penale di cui all’articolo 76 del citato DPR 445/2000».
[6] Tra i requisiti di accesso indicati nell’art. 2 del DM 50 vi sono, ad esempio, i titoli di studio; mentre tra i requisiti di ammissione indicati nell’art. 3 vi sono, tra gli altri, l’assenza di provvedimenti di destituzione o dispensa o decadenza dall’impiego e l’assenza di condanne penali definitive «per reati che costituiscono un impedimento all’assunzione presso una pubblica amministrazione» o i «provvedimenti giudiziari indicati nell’art. 25 bis del DPR 14.11.2002 n. 313».
[7] Sono i reati a sfondo sessuale in danno di minori: artt. 600 bis- ter- quater- quinquies- art. 609 undecies c.p.
[8] I fatti di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, DPR 309/1990 non prevedono una pena che possa giungere a cinque anni di reclusione, e quindi -stante quanto previsto dall’art. 29 c.p.- all’interdizione perpetua dai pubblici uffici; al più, ma nella prassi assai raramente, si potrebbe giungere alla pena di tre anni di reclusione, che comporta un’interdizione temporanea.
[9] La norma prevede che «il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera».
[10] Norma che pure prevede la decadenza “quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile“.