Da lunedì 22 marzo 2021 e sicuramente per le prossime settimane, niente zone gialle in Italia per l’emergenza Covid-19. Le Regioni italiane saranno arancioni o rosse, con colorazione perfino rinforzata a seconda dell’incidenza del coefficiente di contagio che sta assumendo carattere esponenziale e comporta conseguenze piuttosto radicali sulla vita di ciascuno.
La scuola, l’istruzione e la formazione in generale, nonché i servizi educativi del singolare mondo zero-sei, risultano ancora una volta fortemente penalizzati da queste disposizioni, tanto urgenti quanto insopportabili, dopo più di un anno di forti limitazioni alle relazioni umane e sociali.
Disposizioni differenziate in base al colore
L’esigenza è quella di accompagnare il difficile percorso di contenimento dei contagi, nella maniera più possibile adeguata ai bisogni delle varie fasce di popolazione scolastica, e di costruire con i bambini, gli alunni e gli studenti “legami educativi a distanza” (LEAD) oppure una didattica digitale integrata (DDI), coinvolgendo tutte le scuole del Paese.
Nel corso dell’ultimo anno, infatti, avendo ricevuto vari “assist” da alcuni DPCM, con disposizioni propense ad organizzare l’accoglienza di alunni con disabilità e BES e di studenti con diverse esigenze di attività laboratoriale (si pensi ad alcuni indirizzi dell’Istruzione professionale che annoverano quadri orario con più di un terzo di laboratori ed esercitazioni), tutte le istituzioni scolastiche hanno ricercato ed applicato strategie, modelli ed occasioni di apprendimento per salvaguardare questi irrinunciabili bisogni educativi, acuiti dalla epocale circostanza della pandemia.
Peraltro, accanto alle categorie di alunni sopra menzionate, si sono aggiunti i cosiddetti alunni FLI, cioè i figli di lavoratori indispensabili, anche a seguito di vivaci manifestazioni dei loro genitori, andati su tutte le furie dopo un anno di difficile gestione familiare.
La scuola italiana è abituata a prendere in considerazione qualsiasi bisogno, esigenza, istanza e rivendicazione, soprattutto quando le vengono ricordate le prerogative dell’Autonomia scolastica, percepita, sempre più spesso, come se fosse un “bollino blu” piuttosto che una prerogativa costituzionale.
In sintesi, i provvedimenti per la scuola definiti dal DPCM 2 marzo 2021
Dal 6 marzo, nelle zone rosse è attiva la sospensione dell’attività in presenza delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia ed elementari. Resta garantita la possibilità di svolgere attività in presenza per gli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali.
Nelle zone arancioni le scuole funzioneranno secondo le disposizioni dei Presidenti delle regioni che, in alternativa all’apertura controllata, con servizio pressoché invariato nel primo ciclo e gestione a gruppi con frequenza alternata nel secondo ciclo, potranno giungere a disporre la sospensione delle attività scolastiche:
- nelle aree in cui abbiano adottato misure più stringenti per via della gravità delle varianti;
- nelle zone in cui vi siano più di 250 contagi ogni centomila abitanti nell’arco di 7 giorni;
- nel caso di una eccezionale situazione di peggioramento del quadro epidemiologico.
Nuove istruzioni per le attività in presenza in fase pandemica
Analizzando le ultime disposizioni, intervenute al riguardo sull’argomento “accoglienza e garanzia in tempi di Covid -19”, le scuole, oltre alle disposizioni del DPCM, radicali ma chiare e definite, sempre in nome dell’Autonomia, sono state invitate ad agire, rispondere, operare su uno dei processi più delicati e problematici della scuola: l’inclusione.
In ordine di tempo, solo per citare quanto accaduto nell’ultimo scorcio, dopo il DPCM del 2 marzo 2021, con la nota 10005 del 7 marzo 2021, il capo di Gabinetto del Ministro dell’Istruzione ha ricordato che nelle diverse situazioni di Regioni con differente colore, fatte salve eventuali misure maggiormente restrittive da parte di autorità locali, occorre garantire attività in presenza degli studenti, commisurata alla gravità dell’emergenza pandemia che, rispettando i limiti di presenza nella fascia percentuale 50-75, consenta l’uso dei laboratori ove necessario. Nel contempo, occorre mantenere una relazione costante con alunni e studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali. È infatti necessario garantire la frequenza in presenza a tutti i portatori di BES, con riferimento costante alle attività di didattica digitale integrata della classe che bisogna contemporaneamente seguire online, per un opportuno motivo di inclusione, sebbene solo virtuale. Le precisazioni del Capo di Gabinetto sono in linea con “quanto previsto dal decreto del Ministro dell’istruzione n. 89 del 7 agosto 2020, e dall’ordinanza del Ministro dell’istruzione n. 134 del 9 ottobre 2020”.
Ma le indicazioni c’erano già
Queste ultime norme già consentivano un sereno modello di inclusione, forse parziale, incompleto ma, nel complesso, soddisfacente. Esse suggerivano l’applicazione su tutte le scuole, ma con l’avvio di esperienze prudenti e misurate, sicure rispetto al pericolo di contagio e piuttosto efficaci sul piano del mantenimento di proficui rapporti e legami educativi con studenti, a vario titolo ammessi alle attività in presenza. A complicare la situazione ha contribuito la nota n. 662/2021 del 12 marzo, firmata dal Direttore Generale per lo studente, l’inclusione e l’orientamento scolastico. Questa nota, riprendendo le disposizioni del DPCM 2 marzo del 2021 ed in risposta agli immancabili quesiti ed alle proteste che pervengono all’Amministrazione centrale dell’istruzione, detta ulteriori indicazioni delle quali molte scuole avrebbero volentieri fatto a meno, sempre che non siano un invito al “Gioco del fare finta”.
Una “rotazione” degli alunni per garantire l’inclusione
La nota 662/2021 auspica che venga garantita, in accompagnamento alla frequenza degli studenti con BES, la rotazione completa degli alunni delle rispettive classi in un tempo definito. Naturalmente con metodi autonomi e laddove ricorrano le condizioni di accoglienza. Ipotizzando la suddetta organizzazione, con una rotazione di tre alunni al giorno in ogni classe, nel giro di 7/9 giorni scolastici, i gruppi di accoglienza, così costituiti, garantirebbero ai compagni meno fortunati, la “necessaria rotazione”, giusto per palesare l’inequivocabile natura inclusiva delle azioni poste in essere. Il suggerimento contenuto nella nota consolida i principi fondamentali delle azioni per favorire il processo inclusivo.
Un suggerimento non privo di rischi
Tuttavia, sembra completamente dimenticata la natura dell’odiosa catena di RNA detta Sars-Cov 2, che, purtroppo, ancora funesta le nostre esistenze. La rotazione dei compagni di classe, per la corretta inclusione degli alunni con BES, pur risultando ineccepibile sul piano organizzativo, aderente ai dettami della moderna psicopedagogia ed in linea con ogni principio costituzionale ed etico, risulta inattuabile sul piano pratico. Seguendo tale modello aumenterebbero le occasioni di infezione, causate dall’avvicendarsi di persone diverse nell’arco temporale considerato e spesso aggravate dal fatto che buona parte degli studenti con BES, non è in grado di utilizzare correttamente i DPI prescritti dalla legge, per il contenimento del contagio.
Il DPR 275/1999, che il Ministero dell’istruzione cita volentieri in ogni possibile occasione, è sicuramente uno strumento di grande efficacia per la scuola e per il suo mandato sociale e costituzionale ma, notoriamente, non costituisce un dispositivo taumaturgico.
Anche alla luce di ogni possibile declinazione organizzativa, la rotazione degli studenti ipotizzata dalla nota in parola è un principio organizzativo contrario alle necessità di prevenzione che diventano, come si vede, sempre più stringenti giorno dopo giorno.
Come mantenere i legami educativi e relazionali
Il risultato delle indicazioni consigliate potrebbe essere contrario alle aspettative poiché le scuole, impossibilitate ad applicare i suggerimenti della suddetta nota, sarebbero orientate alla sospensione di ogni attività in presenza di studenti con Bisogni educativi speciali, alla luce delle difficoltà che si andrebbero a verificare e dei rischi di contagio connessi.
Il difficile equilibrio finora faticosamente costruito per mantenere i legami educativi e relazionali tra alunni, compagni di classe e compagni di altre classi, mediante modelli organizzativi e didattici mai sperimentati finora, ha consentito agli alunni e studenti portatori di BES di mantenere relazioni positive con tutti gli attori del loro processo di inclusione. Gli stessi dirigenti scolastici hanno supportato, in ogni momento, le occasioni di rafforzamento dei legami e dei vincoli di appartenenza affettiva alla comunità educante. Non si comprendono le interpretazioni che ritengono disperse e frammentate le comunità educanti italiane tanto da considerarle incapaci di applicare i principi basilari dell’inclusione. Esse, invece, hanno saputo mantenere l’identità distintiva e i vincoli di appartenenza e di relazione anche in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, da più di un anno.
I figli dei lavoratori indispensabili, cosa fare
Il problema della gestione familiare, a scuole chiuse, dei figli del personale sanitario e dei lavoratori nei servizi essenziali è, di fatto, un’emergenza di difficile soluzione. Per affrontare la questione è stata emanata la nota 4 marzo 2021 n. 343 del Capo dipartimento Marco Bruschi.
Secondo la suddetta nota, l’ammissione alla frequenza dei figli dei lavoratori indispensabili (operatori sanitari, servizi di vendita di beni essenziali, addetti alla produzione di beni essenziali) dovrebbe avvenire “alla luce di specifiche, espresse e motivate richieste, anche in ragione dell’età anagrafica”. Ne deriva che la scuola dovrebbe garantire, in contemporanea, sia l’accoglienza di questi alunni, altrimenti incustoditi, sia la didattica digitale integrata, destinata alle numerose classi che seguono da remoto, in caso di sospensione delle lezioni in presenza.
Coordinare gruppi più o meno consistenti di alunni in maniera “combinata” è difficile ma non impossibile. Tuttavia, alla luce dell’emergenza epidemiologica, accogliere alunni secondo criteri dettati solo dal caso, potrebbe alimentare pericolose catene di contagio, difficilmente gestibili anche come focolai individuati, atteso che le ASL riescano finalmente a gestire queste emergenze mai affrontate finora.
Non è facile gestire i problemi senza rinunciare alla qualità
È innegabile, per quanto accaduto nell’ultimo anno e nonostante la buona volontà delle scuole nell’allestire piani di accoglienza con “metro e compasso”, che in alcune zone d’Italia, i contagi nelle fasce di età scolare ed adolescenziale siano aumentati in coincidenza con l’attività scolastica in presenza.
I protocolli scolastici non hanno potuto arginare le varianti più aggressive del virus che stanno turbinando indisturbate in Italia. Proprio per questi motivi, i recenti provvedimenti sanitari raddoppiano le distanze interpersonali, impongono mascherine sempre indossate e finestre spalancate in ogni ambiente ed allungano tempi e verifiche mediche per le modalità di profilassi; appare fin troppo chiaro che alla scuola non si possano chiedere impegni difficili da mantenere dovendo soprattutto garantire l’incolumità dall’epidemia di chi la frequenta.
Si palesa la difficoltà di mantenere alta la qualità dei processi di apprendimento mediante l’utilizzo esclusivo di strumenti a distanza o di strumenti che impongono la contemporanea gestione dei gruppi, in presenza e a distanza. Le prescrizioni che impongono e coefficienti di presenza del 50-75 per cento con didattica a distanza per la rimanente parte delle classi sono, difatti, poco efficaci sul piano dei processi formativi.
I danni della didattica a distanza
La conferma viene dai risultati di alcune recenti ricerche sugli effetti delle attività didattiche a distanza che lasciano già presagire come, nel secondo anno di didattica digitale integrata, la problematica della dispersione e della disaffezione alla scuola abbia assunto dimensioni incontrollabili. Nonostante lo sforzo non comune del Ministero per fornire device, connettività e supporto alle scuole, i dati a disposizione promettono che una delle incognite più grandi sarà quella di valutare ed arginare i danni prodotti da oltre dodici mesi di didattica digitale integrata, prevalentemente a distanza, con tutte le problematiche che la caratterizzano e che si riverberano sugli studenti più fragili. L’arretratezza tecnologica delle famiglie si accompagna, spesso, alla difficoltà delle scuole di tenere il passo con la rivoluzione delle dinamiche metodologiche, didattiche ed organizzative.
Quanti studenti si sono persi per strada? Quanto è stata efficace la didattica digitale integrata alla luce della congerie di norme, note, circolari ed indicazioni che la scuola ha dovuto sopportare in lunghi mesi di emergenza? L’indice ELET (Early leavers from education and training) – che l’Europa fissa al massimo del 10% della popolazione 18-24 anni che risente, in età post adolescenziale, di un abbandono precoce degli studi – già nel 2019 ci vedeva al 13,5 % davanti solo a Bulgaria, Romania, Montenegro e Spagna. L’emergenza pandemia ha sicuramente peggiorato la situazione provocando ulteriore danno agli studenti che hanno scarsa motivazione ed interesse allo studio.
Un piano eccezionale per la tutela dei diritti
Per evitare che le schiere dei post adolescenti si arricchiscano di numerose persone senza prospettive di vita inclusiva, occorrono interventi di natura eccezionale. Non saranno periodi lunghi di recupero durante la prossima estate a risolvere la situazione, potenzialmente devastante, che si prospetta per gli studenti più fragili.
La scuola come strumento di tutela costituzionale dei diritti, impegnata verso la promozione della persona anche e soprattutto nei contesti complessi e diversificati, dovrà mobilitare le proprie risorse in maniera finora mai sperimentata. Infatti, la ripresa completa delle attività in presenza, sull’intero territorio nazionale, è un sogno che nasconde in sé degli incubi. Nulla avverrà in maniera spontanea e naturale, sarà necessario un periodo lungo e faticoso che vedrà la scuola in prima linea per organizzare “il tempo della rinascita”.