Prima di elencare sommariamente cosa possiamo aspettarci dal prossimo inquilino di Viale Trastevere credo sia opportuno mettere in evidenza alcune condizioni di contesto che necessariamente potrebbero condizionare la sua azione.
Un limite: il tempo
Il governo Draghi è il terzo governo di questa legislatura e sarà sostenuto da una maggioranza diversa da quelle che hanno sostenuto i due precedenti. Il tempo che avrà a disposizione sarà relativamente breve, al massimo un paio d’anni. Ogni riforma, e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ne prevede molte, potrà solo essere avviata, lasciando al governo successivo la sua concreta implementazione.
Una opportunità: Mario Draghi
Al fianco di questi limiti, vedo anche alcune opportunità. Il fatto che il sostegno a Draghi possa essere ampio e trasversale in teoria dovrebbe mettere al riparo la fase di implementazione delle riforme che avvierà dai prossimi cambi di governo. Nonostante il tempo sia poco, i vincoli esterni connessi ai finanziamenti europei impongono di pensare comunque in grande, dato che ogni finanziamento è condizionato alla realizzazione di riforme strutturali. Infine, la condizione favorevole più importante: Mario Draghi.
Investire sull’istruzione
Cosa pensi il Presidente del Consiglio incaricato della necessità di investire in istruzione e più in generale sulle nuove generazioni è noto: Cosa pensi della necessità di fare debito buono, e quindi investimenti, anche. Alcuni esempi tra i tanti: «I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri»; «Vi è però un settore dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani. Questo è stato sempre vero ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore»; «Ma c’è anche una ragione morale che deve spingerci [a investire sui giovani] e a farlo bene: il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono giovani oggi».
La continuità nelle scelte prioritarie
Se questi sono i vincoli e le opportunità, cosa è realistico auspicare per la scuola? Alcuni indizi li possiamo trovare nel PNRR presentato dal governo dimissionato. Infatti è certamente vero che tutte le indiscrezioni giornalistiche parlano di una sua revisione, ma è altrettanto vero che per il vincolo temporale di cui si è detto non potrà certo essere stravolto e soprattutto che quanto già presente sull’istruzione è abbastanza coerente con l’impostazione cara a Draghi (prevede infatti molti investimenti e nessun sussidio). Ecco cosa dunque prevede: investimenti su 0-6 e tempo pieno, in particolare per ridurre i divari territoriali; riforma del sistema di reclutamento e carriere dei docenti; riforma della filiera professionalizzante sia secondaria che terziaria; riforma del sistema di orientamento; integrazione nelle attività curricolari delle competenze STEM e digitali. Tutti interventi certamente utili e necessari sui quali si è intervenuti in questa legislatura in modo disorganico (reclutamento) o insufficiente.
L’attenzione allo 0-6
L’unico ambito nel quale si è certamente ben lavorato e con continuità rispetto alle scelte dei governi Renzi e Gentiloni è il sistema integrato di educazione e istruzione per i bambini da 0 a 6 anni. Le risorse per l’infanzia in generale sono state notevolmente incrementate dal governo e molte di più sono previste nel PNRR; parallelamente il Ministero dell’Istruzione ha spinto per consolidare l’impianto politico, istituzionale, pedagogico a supporto della riforma del 2017.
L’urgenza del reclutamento
Per quel che riguarda il reclutamento, alla ministra Azzolina va certamente riconosciuto di aver rappresentato una inversione di tendenza importante rispetto a Bussetti e Fioramonti, resistendo alle richieste di sanatoria, arrivate trasversalmente da quasi tutte le forze che si sono alternate al governo del paese in questa legislatura. Si è scelta la strada del doppio binario, concorso straordinario per i precari e ordinario per tutti gli altri aspiranti alla professione docente. Il nuovo governo, in accordo con i sindacati, dovrà però intervenire con molta speditezza perché il Covid ha impedito lo svolgimento del concorso ordinario e il nuovo anno scolastico rischia di iniziare all’insegna del caos. Servono soluzioni che consentano di non sacrificare né le aspirazioni dei 400.000 cittadini che si sono iscritti al concorso ordinario, né gli studenti che hanno diritto ad avere tutti i docenti in classe il primo giorno di scuola e che questi siano adeguatamente formati e selezionati.
Nuove carriere per il personale docente
Per due interventi previsti dal PNRR siamo ancora ai primi cenni ed è necessario concretizzare: l’introduzione delle carriere per il personale docente e la riforma complessiva della filiera professionalizzante. La speranza è che l’introduzione delle carriere diventi il fulcro attorno al quale costruire il rinnovo del contratto, chiaramente unito a un generalizzato allineamento delle retribuzioni di tutto il comparto alla media dei paesi europei: il prossimo contratto potrebbe rappresentare un primo banco di prova della volontà dei sindacati della scuola e della politica a sfidarsi nel tentativo di realizzare insieme una scuola diversa.
La filiera professionalizzante
La riforma della filiera professionalizzante (dell’istruzione secondaria e terziaria) è invece un obiettivo per il quale il nuovo governo potrebbe spendersi molto, essendo con ogni probabilità più consapevole di altri dell’importanza di far fare al paese un passo avanti verso i paesi con i quali dobbiamo confrontarci nel resto d’Europa e non solo.
La scuola tra autonomia e scarico di responsabilità
L’altro grande ambito di intervento sul quale serve partire da subito con le idee molto chiare è quello delle conseguenze della pandemia sul sistema e sugli studenti. In quest’ultimo anno è cambiata la percezione che le scuole hanno di se stesse e della propria relazione con l’amministrazione e l’utenza; lo stesso ministero si è collocato per lo più in una posizione rispettosa dell’autonomia, accantonando l’ossessione per le circolari esplicative; è cambiata, infine, la consapevolezza delle famiglie di cosa avvenga ogni giorno nelle classi dei loro figli, con il rischio – è vero – di un ulteriore logoramento dell’autorevolezza di scuola e docenti, ma anche l’opportunità di una minore autoreferenzialità e sfiducia reciproca. Dopo un inizio promettente, però, sono emerse anche le resistenze di sempre. Anche da parte dell’amministrazione centrale si è alimentato a volte il sospetto di non avere chiaro il confine tra autonomia e scarico di responsabilità. Il nuovo ministro dovrà di chiarire con il suo operato la differenza.
Didattica digitale e lotta contro le disuguaglianze
In concreto? Porre fine alla guerra tra «apocalittici e integrati» sulla didattica digitale disponendo una seria indagine ministeriale su cosa hanno effettivamente realizzato le singole scuole, in modo da distinguere quello che può essere proiettato nell’era post covid e ciò che sarebbe meglio dimenticare in fretta.
E poi valorizzare sempre di più e sempre meglio il lavoro che in alcuni territori si è avviato per costruire una stretta sinergia tra scuole e tra scuola e territorio a cominciare dagli enti locali. Per quel che riguarda l’impatto sugli studenti, è auspicabile che tutti gli attori assumano come prioritario il contrasto alle disuguaglianze.
Intervenire su tre fronti
Questo vuol dire intervenire rapidamente su tre fronti:
- far svolgere in sicurezza le prove Invalsi, eventualmente posticipandole alla fine dell’anno scolastico;
- recuperare giornate per un tempo in presenza di qualità per tutti raccogliendo la proposta che ad esempio viene dal Gruppo Condorcet sul calendario scolastico;
- per quegli studenti per i quali è ancora possibile, purtroppo non sono tutti, immaginare tempi di recupero distesi su più anni scolastici.
Mi permetto di avanzare solo un consiglio al futuro ministro: non si lasci trascinare nella bulimia normativa. Faccia tesoro delle parole di Antonino Scopelliti, un grande magistrato prematuramente scomparso per mano mafiosa: «Alle nuove leggi con vecchi giudici sono da preferire le vecchie leggi con giudici nuovi». È un insegnamento che vale anche per le politiche per l’istruzione.