La “questione” dirigenti scolastici è stata al centro di molte attenzioni e preoccupazioni del mondo della scuola. Quasi tutti sono disponibili a riconoscere che la presenza di una efficace leadership negli istituti scolastici è elemento decisivo per la qualità dell’organizzazione didattica e per gli stessi esiti formativi degli allievi. Ma poi le idee sulla dirigenza divergono nel delinearne le caratteristiche. Chi è il “bravo” dirigente? Un efficiente manager pubblico? Un convincente leader educativo? Un corretto garante delle procedure amministrative? Un attore “sociale” impegnato sui diversi fronti della governance interna ed esterna? Il ruolo del dirigente, per come lo conosciamo nella sua evoluzione normativa (D.lgs. 165/2001; D.lgs. 150/2009; Legge 107/2015), tocca queste diverse dimensioni, che sono riepilogate anche all’interno della legge 107 cit. (in particolare ai commi 78 e 93).
Tuttavia l’interpretazione di questa funzione non è stata unanime; in particolare si è messo in evidenza che l’indurimento di certe prerogative datoriali (visibile anche nella “Buona Scuola”) rischia di compromettere la tenuta e la concordia della comunità professionale. D’altra parte l’esigenza di perseguire gli obiettivi di un pubblico servizio strategico, come è l’istruzione, richiede la definizione di competenze e responsabilità in capo ai diversi soggetti.
I diretti interessati, i dirigenti scolastici, lamentano gli scarsi strumenti a disposizione per svolgere questa delicata funzione di direzione e di coordinamento, e denunciano un trattamento giuridico ed economico al di sotto degli standard riconosciuti ai restanti dirigenti pubblici. Questo malessere ha dato luogo ad eclatanti forme di protesta, soprattutto nella “ricusazione” della procedura di valutazione attivata con la Direttiva 36/2016. Così molti capi di istituto non hanno compilato il portfolio professionale di autovalutazione, passaggio indispensabile per avviare l’intero processo. La valutazione è stata faticosamente effettuata, con molte incertezze e problematicità (cfr. Lerede, 70), e già si parla di snellire i diversi passaggi, rivedere l’eccessiva mole di documentazione, ricentrare la valutazione sull’effettivo apprezzamento dell’azione del dirigente nel proprio contesto professionale. Vedremo nei prossimi mesi.
Intanto il cane si morde la coda, perché una valutazione accurata richiede la presenza di autorevoli nuclei di valutazione, coordinati da dirigenti tecnici, che però sono presenti in misura insufficiente. Su questa figura si sono riaccesi i riflettori, e molti autorevoli osservatori (l’associazione Trellle, da ultimo) rilanciano la questione, proponendo un serio investimento su questo “bistrattato” ruolo professionale, che potrebbe invece dedicarsi alla valutazione delle scuole e dei dirigenti, ma anche orientare i processi di miglioramento (cfr. Acerra, 70).