È la Costituzione del 1948 a introdurre elementi di decentramento nel governo del Paese, individuando le Regioni come organi dotati di potere legislativo. Esse furono istituite solo nel 1970 affiancandosi alle regioni ad autonomia speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia). Con l’eccezione delle province di Trento e Bolzano e della Valle d’Aosta, che godono di un’ampia autonomia istituzionale anche per la gestione diretta delle scuole e del personale, le altre regioni hanno via via cercato di ampliare le loro scarse prerogative (notevoli comunque in materia di diritto allo studio e istruzione professionale) fino al punto di equilibrio della riforma costituzionale del 2001 (Titolo V), individuato con la dicitura di legislazione concorrente (Sacchi, 123). Le Regioni avrebbero potuto legiferare in materia di istruzione, nel rispetto però delle norme generali, dei principi fondamentali, dei livelli essenziali delle prestazioni (questi ultimi però mancano), di sicura pertinenza dello Stato. Insomma, lo Stato centrale ha mantenuto molte delle sue competenze e le Regioni non sempre hanno saputo fare buon uso dei poteri conferiti (Siena, 128).
Ora il processo di decentramento riprende con più vigore, in quanto alcune regioni hanno chiesto di avvalersi di una autonomia “potenziata” nelle materie comunque previste dal Titolo V (tra cui l’istruzione). Così, Veneto e Lombardia rivendicano la possibilità di “regionalizzare” i rispettivi sistemi scolastici (assorbendo gli USR e reclutando direttamente il personale), mentre l’Emilia-Romagna intende rafforzare i già solidi legami tra scuola, territorio, enti locali, però rispettando la statualità della scuola e la sua autonomia (Sacchi, 147). Le diverse proposte, comunque, vanno approvate dal Parlamento e dovranno fare “salva” l’autonomia delle singole istituzioni scolastiche (altro principio inserito in Costituzione) (Tiriticco, 144), che proprio nel 2019 compie i suoi primi vent’anni di vita, a far tempo dal regolamento istitutivo (DPR 275/1999).
La proposta di conferire maggiori poteri ad alcune regioni ha aperto un forte confronto all’interno del Governo Conte, per il timore che questo sistema a geometria variabile potesse portare a rompere l’unitarietà del Paese e differenziare diritti fondamentali dei cittadini, come quello all’istruzione. Ci sono infatti incognite sulla ripartizione dei finanziamenti e sull’assenza dei livelli essenziali delle prestazioni. Insomma, l’operazione “autonomia differenziata” nella scuola è ad alto rischio.