La pubblicazione di numerosi rapporti di ricerca, sia internazionali che italiani, sullo stato di salute del nostro sistema educativo consente di disporre di una mole di dati significativi per orientare le decisioni sul futuro, anche se poche volte la politica è disposta a seguire criteri “evidence based”. È l’OCSE a fare testo, con i suoi rapporti sui programmi di valutazione degli apprendimenti (cfr. OCSE-PISA alla voce “Valutazione”) e con l’annuale “Education at a Glance” (v. Prontera, 152). L’emergenza italiana è fortemente connessa alla presenza di NEET (soggetti non impegnati nell’educazione, nella formazione professionale, nel lavoro) che rasenta il 26% dei giovani tra i 18 e i 24 anni (rispetto alla media OCSE del 14%), per salire ulteriormente con riguardo alla fascia 25-29. Nonostante l’ampia diffusione della scuola dell’infanzia per i bambini dai 3 ai 6 anni (con indici, viceversa, assai critici per la presenza di asili nido per la fascia 0-3) la povertà educativa infantile continua ad essere una piaga per il nostro Paese. Il Rapporto 2019 di “Save The Children” (v. Seccia, 158) segnala che in dieci anni è triplicata la presenza di minori in povertà assoluta (dal 3,7% del 2008 al 12,5% del 2018). Aree periferiche e quartieri delle grandi città si presentano come fattori di rischio (dove si sommano variabili familiari, sociali geografiche) per la crescita dei nostri ragazzi. Anche il calo demografico, i fenomeni immigratori, le distrazioni della politica sembrano testimoniare la perdita di interesse verso le condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza (v. Seccia, 159). Negli ultimi anni si sono realizzate nuove politiche di contrasto alla povertà (reddito di inclusione, reddito di cittadinanza, progetti delle Fondazioni, ecc.) che potrebbero avere un effetto positivo se accompagnate da misure strutturali (come servizi educativi, tempo scuola, opportunità culturali) per combattere la dispersione. Sia quella esplicita, sia quella implicita (intesa come carenza negli apprendimenti di base)(v. Prontera, 156). Qualche segnale lo si osserva anche negli impegni contenuti nella legge di bilancio per il 2020 in favore dell’infanzia. Ma il rapporto del nostro Paese con l’istruzione resta problematico, come rivela l’annuale Rapporto CENSIS (v. Prontera, 165): scarso numero di laureati, tassi alti di dispersione, livelli di apprendimento non soddisfacenti, marginalità dell’educazione permanente. L’invecchiamento della popolazione e il calo demografico impellente sono segnali non incoraggianti, così come l’emigrazione di cervelli, o la non corrispondenza tra studenti formati dalla scuola ed esigenze del mondo del lavoro. Insomma, ci sono ampi margini di miglioramento…
2020-01-07