Sono aboliti i voti nella scuola primaria
Il 4 dicembre, dopo il parere positivo del CSPI, è stata firmata l’Ordinanza relativa alla valutazione periodica e finale della scuola primaria, secondo quanto stabilito dal Decreto Scuola approvato a giugno. I docenti ora utilizzeranno giudizi descrittivi riferiti ai livelli di apprendimento per la valutazione degli alunni al termine del primo periodo didattico (trimestre o quadrimestre) e alla fine dell’anno scolastico. Finalmente nella scuola primaria è stata superata la pseudo-oggettività dei voti!
È una modifica che, purtroppo, arriva a ridosso del trimestre o del quadrimestre, quindi quasi a metà anno scolastico. È vero che non si possono cambiare le regole mentre si gioca. Le scuole hanno poco tempo per riflettere sulle modifiche; anche le famiglie avrebbero dovuto essere informate prima… Insomma l’Ordinanza esce in ritardo e questo non si può negare. Ma si tratta di una modifica importante e necessaria per riannodare i fili della valutazione che, a partire dalla scuola primaria, dovrebbe far riflettere tutto il sistema scolastico. Vale la pena, quindi, andare oltre questo innegabile ritardo.
Il rischio corso per una “disattenzione” normativa
Va anche considerato che l’abolizione dei voti per la scuola primaria è contenuta nel decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22[1], corretto poi dal decreto-legge 14 agosto, n. 104 che, per un grossolano e “apparentemente” banale errore, avrebbe potuto inficiare tutto il sistema che si andava costruendo. La formulazione del decreto legge avrebbe paradossalmente costretto le scuole a valutare con i voti i risultati del primo quadrimestre e con i giudizi quelli di fine anno scolastico. Così è stato necessario aspettare la conversione in legge il 13 ottobre, n. 126[2] per risolvere l’ingarbugliata e un po’ paradossale vicenda, richiamata, tra l’altro, nei primi giorni di settembre, anche da una Nota del Capo Dipartimento.
La Commissione che ha elaborato la proposta di Ordinanza e Linee Guida, prevista dallo stesso decreto legge di aprile, ha potuto quindi completare i propri lavori solo dopo la correzione definitiva della normativa. Non si poteva considerare, la prima formulazione del decreto, solo come problema formale, perché la norma è sostanza: quella “disattenzione” avrebbe vanificato anche i propositi del legislatore.
Ripartire dai saperi delle scuole
Quindi in questa corsa contro il tempo, l’Ordinanza stessa ne affronta le conseguenze e inserisce all’art. 6 comma 1 il tema della progressività. Le Linee Guida ne ribadiscono il concetto affermando che le scuole dovranno e potranno mettere a frutto le proprie esperienze[3] applicando via via in modo più appropriato quanto previsto. Non si tratta quindi di considerare le nuove indicazioni come un adempimento da attuare in fretta, magari con qualche artificio che traduca i voti in giudizi (come traspare in qualche passaggio della nota n. 2158 del 4 dicembre[4]). Si tratta invece di intraprendere un percorso che in molti casi è già presente nell’expertise dei docenti: in molte scuole si è già opportunamente lavorato sui criteri e sui livelli riferiti ai voti. La strada è nota e la meta è, per lo più, condivisa, anche dal punto di vista formale. Nei pochi contesti in cui, per ragioni diverse, manca un sentire pedagogico comune, si può utilizzare questa opportunità per iniziare a riflettere insieme sulla valutazione. Si può partire dalla condivisione della scelta degli obiettivi di apprendimento e dei nuclei tematici delle discipline nelle Indicazioni Nazionali, per ricercare soluzioni, anche provvisorie, ma comunque coerenti con l’impostazione normativa e con le scelte docimologiche in essa contenute.
La difficile conciliazione tra valutazione formativa e voto
Questa normativa non nasce dal nulla, ma risolve la contraddizione insita nel decreto legislativo n. 62/2017. Qui, da un lato, si parla di valutazione formativa come strumento per migliorare e apprezzare i risultati di apprendimento, in una logica autovalutativa e di attenzione ai processi e alla identità personale, dall’altro, si fa la scelta di mantenere invariata la logica del voto in decimi. Un voto che però poteva e doveva già essere considerato come una specie di etichetta da riferire ai livelli di apprendimento. Quindi, a ben vedere, le scuole avrebbero già dovuto lavorare per definire da un lato il curricolo d’Istituto a partire dalle Indicazioni Nazionali e, dall’altro, i criteri e le modalità per valutare i diversi livelli di apprendimento delle discipline.
Di fatto, il voto non avrebbe dovuto essere utilizzato per la valutazione in itinere, sul quaderno, o magari inserito in registri elettronici che fanno automaticamente la media[5]. Allo stesso modo, oggi, non è pensabile che i quattro livelli indicati dalle Linee guida (avanzato, intermedio, base, in via di acquisizione) siano utilizzati per la valutazione in itinere e diventino essi stessi “voti”.
I quattro livelli non sostituiscono il voto
Come ben argomentato nelle Linee Guida, si tratta di giudizi che sintetizzano l’incrocio di dimensioni che caratterizzano l’apprendimento e che delineano gli aspetti da rilevare e osservare per comprendere come gli alunni hanno rielaborato conoscenze e acquisito abilità in determinate aree disciplinari. Nelle Linee Guida ne sono indicate quattro, le più rilevanti, a detta della ricerca pedagogica e docimologica, ma le scuole possono integrare le dimensioni proposte, e quindi le descrizioni dei livelli di apprendimento, in modo da renderle più adeguate al proprio curricolo, alle classi (dalla prima alla quinta) e alle discipline. Non si tratta quindi di sostituire i livelli dei giudizi descrittivi ai voti, ma di ricondurre ai livelli definiti per la valutazione le osservazioni raccolte, i prodotti realizzati, le prestazioni degli alunni in diversi momenti, con differenti modalità, per rispondere a richieste poste in contesti noti e non noti, ai livelli definiti per la valutazione.
La progettualità delle scuole e il rapporto con le famiglie
Al centro di questa operazione c’è quindi la progettualità delle scuole e quanto già previsto nei PTOF e nei curricoli di Istituto, cioè gli obiettivi di apprendimento, i criteri e le modalità di valutazione per poter arrivare allo scrutinio con un insieme di elementi utili a definire quale sia il livello di apprendimento raggiunto nelle diverse discipline.
Alle famiglie il passaggio va spiegato bene, a partire dal confutare la trasparenza insita nel voto. Basta dire, per esempio, che “il sei o l’otto in matematica” non fa capire cosa e come, ma nemmeno quanto, un bambino sappia di matematica, senza bisogno di aggiungere che il sei di una maestra non è il sei della collega della classe accanto e che il sei di matematica non è il sei di italiano. Va illustrato alle famiglie il significato e il valore di una scelta che aiuta a uscire dalla confusione tra misurazione e valutazione, allontana la coincidenza tra il voto e la percezione di sé, chiarisce i percorsi di apprendimento e i risultati raggiunti. Un passaggio da costruire con calma e coinvolgendo le famiglie in un dialogo costruttivo che aiuti a superare le incomprensioni che spesso la valutazione provoca.
Certo non basta sostituire il voto con un giudizio per cambiare la valutazione e nemmeno si può stravolgere tutto ora, a metà anno scolastico e a ridosso dello scrutinio, ma si può iniziare a ragionare su come ridare pieno significato a una valutazione coerente con le funzioni che le sono proprie: comunicare in modo chiaro qual è il punto a cui si è arrivati nel percorso di apprendimento, quali sono i punti di forza e quelli sui quali è necessario che la scuola progetti con strategie diverse[6] e più adeguate.
Progressività e sistematicità
Bisogna anche prevedere che non tutti i docenti siano pronti ad usare in modo proprio e con i riferimenti corretti le nuove modalità indicate. In questa fase può essere già utile la consapevolezza che la ricerca sulla valutazione stia ripartendo in tutte le scuole del nostro paese e che la scuola primaria sia il luogo privilegiato per riavviare il processo anche nelle scuole secondarie. Qui è importante il ruolo del dirigente scolastico: gli insegnanti, seppure sensibili e preparati, da soli non ce la fanno ad affrontare progressivamente e sistematicamente le questioni per portarle a buon fine: dalla valutazione si parte, si arriva e si riparte, ricordano le Indicazioni Nazionali. Ciò riguarda tutto il sistema scolastico, ma non si può non considerare la scuola primaria come punto nodale: è un primo passo che dovrà coinvolgere prioritariamente il curricolo verticale del primo ciclo d’Istruzione e poi l’intero sistema. Va superato, quindi, lo iato che esiste tra ordini di scuola e cicli scolastici; va ridimensionata, se non colmata, la frattura tra scuola primaria e secondaria di primo grado; va smentita, con la ricerca e il dialogo, l’idea sottesa (abbastanza diffusa seppure non da tutti dichiarata), che “alla primaria non si danno i voti perché gli alunni sono troppo piccoli!”.
Valutare per migliorare
La discussione sulla valutazione porta ad affrontare uno snodo fondamentale nelle preoccupazioni dei docenti, entra nella relazione con i genitori e soprattutto condiziona il modo in cui gli allievi comprendono il significato dello studio, il senso del sapere, il miglioramento di quanto sono in grado di fare, cosa e perché hanno fatto bene e, in ultima analisi, la loro autostima e la rappresentazione che hanno di sé sia come studenti che come persone capaci di imparare.
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[1] Convertito nella legge 6 giugno 2020, n. 41 – art. 1, comma 2-bis.
[2] Art. 32, comma 6-sexies.
[3] “In questa prima fase di applicazione della normativa che prevede i giudizi descrittivi, i docenti selezionano gli obiettivi essenziali oggetto di valutazione, associandoli ai livelli nelle modalità che l’istituzione scolastica ritiene di adottare. Progressivamente, l’istituzione scolastica troverà modalità via via sempre più coerenti con la valutazione di tipo descrittivo delineata dalle presenti Linee guida, collegando il momento della valutazione con quello della progettazione” (dalle Linee Guida).
[4] “Non è peraltro particolarmente complesso trasporre le valutazioni in itinere (in gran parte effettuate attraverso un voto numerico) nei livelli (a mero titolo esemplificativo, 9/10: avanzato; 7/8: intermedio, etc.), ma è opportuno sottolineare l’esigenza di sfuggire da semplicistici automatismi e rapportare le valutazioni in itinere e il complesso dei traguardi raggiunti dagli alunni ai descrittori”.
[5] Questo dei registri elettronici è certamente un problema da affrontare per evitare che siano i gestori a determinare le scelte delle scuole, come avviene nella maggior parte delle scuole secondarie di secondo grado. Il richiamo presente nei due documenti potrebbe da questo punto di vista essere poco chiaro. Nel parere del CSPI sia per questo aspetto che per quello relativo alla valutazione in itinere si chiedeva di chiarirlo meglio, nei seguenti termini: “La restituzione agli alunni e ai genitori della valutazione in itinere. Nel nuovo impianto valutativo, delineato dalle presenti Linee guida, le valutazioni in itinere sono espresse coerentemente con i criteri e le modalità di valutazione definiti dal Piano triennale dell’Offerta formativa e deliberati dal Collegio dei Docenti nel rispetto dell’autonomia professionale dei docenti ed evitando il ricorso alla terminologia utilizzata per i livelli di apprendimento nel documento di valutazione (Avanzato, Intermedio, Base, In via di prima acquisizione). Anche l’attività di documentazione alle famiglie del percorso di apprendimento di ciascun alunno si avvarrà degli strumenti ritenuti più adeguati dalle singole istituzioni scolastiche, tra cui il registro elettronico, strumento da utilizzare in coerenza con le scelte valutative deliberate dal Collegio dei docenti”.
[6] Art. 2 comma 2 del decreto legislativo n. 62/2017.