È stato presentato nei giorni scorsi ai rappresentanti degli UU.SS.RR. il rapporto di monitoraggio del MIUR sul secondo anno di sperimentazione dei modelli di certificazione delle competenze nel primo ciclo (5^ elementare, 3^ media). In questi giorni viene diffuso in rete. Si tratta di uno sguardo assai interessante sulle modalità di valutazione adottate dalle oltre 2.000 scuole che hanno introdotto queste innovazioni sulla base della CM 3/2015 e delle relative Linee Guida. L’interesse risiede in primis nell’ampio coinvolgimento di scuole, che testimonia la disponibilità degli insegnanti a confrontarsi con temi di assoluto rilievo come le competenze, la certificazione, i compiti autentici, lo sviluppo di didattiche operative. È poi evidente come questa sperimentazione abbia molto a che fare con la delega legislativa prevista dalla legge 107/2015 in materia di “valutazione e certificazione delle competenze” e di riforma dell’esame di Stato di terza media. Ci sono elaborazioni legislative in corso e certamente le scelte che potrebbero essere adottate troveranno una rispondenza con quanto molte scuole stanno già facendo da due anni. Vediamo allora quali sono i risultati in progress di questo ampio progetto sperimentale.
L’impatto degli strumenti di certificazione
In generale, le scuole che hanno provato i nuovi modelli esprimono un apprezzamento positivo, soprattutto perché ragionare di certificazione di competenze richiede di ripensare molte pratiche valutative (come osservare e documentare le competenze?), di interrogarsi sulle didattiche più efficaci (di taglio operativo, partecipato, collaborativo), di approfondire il significato del termine competenza (come si collega con le conoscenze che la scuola propone, con le abilità che vuole consolidare, con gli atteggiamenti civico-sociali che vuole sviluppare?). Partendo dalle competenze si può rimettere in moto una riflessione su un “fare scuola” che sia coerente con il progetto pedagogico delle Indicazioni/2012.
Poi ci sono gli strumenti, con la scelta delle competenze trasversali (cognitive, personali, sociali) desunte dal “profilo” del 14enne e collegate con le 8 competenze chiave europee. Si va oltre il voto in decimi, con la definizione di 4 livelli di progressione (A, B, C, D), ciascuno descritto con un’apposita rubrica e senza giudizi negativi (ogni competenza va documentata nella sua evoluzione in progress, anche ad un primissimo livello). Oltre le 12 competenze, è presente uno spazio aperto, in cui dare conto di aspetti specifici per ogni allievo, valorizzando un talento.
Il punto più problematico rilevato dal monitoraggio riguarda il raccordo tra competenze trasversali e apprendimenti disciplinari: non è un intreccio facile, ma necessario: le competenze non sono “altro” rispetto agli apprendimenti di conoscenze; si innestano su queste; ne permettono il consolidamento ed il ri-uso intelligente e consapevole in nuove situazioni.
Ecco perché la scuola deve affiancare all’ora di lezione (da trasformare in un’azione interattiva rispetto alla dinamica troppo spesso “trasmissiva”) anche situazioni più aperte, operative, in forma di progetti, laboratori, compiti autentici. Questo equilibrio si raggiunge trasformando l’aula, la classe, in un vero ambiente di apprendimento (fatto di spazi, tempi, relazioni, metodi, tecnologie).
I problemi aperti
Non basta certamente un nuovo documento di valutazione per realizzare una didattica “personalizzata”, ma questo passaggio può stimolare il lavoro collaborativo dei docenti, la ricerca, la formazione. È pur vero che gli strumenti di valutazione devono parlare anche ai genitori, agli stessi allievi. E su questo aspetto è giunta dalle scuole una pressante richiesta di semplificazione del modello (le competenze possono essere sfoltite e alleggerite nel linguaggio; la descrizione dei livelli più coerente ed esplicativa) per renderlo meglio leggibile ai genitori.
Si chiede anche una particolare attenzione per le situazioni di disabilità o per gli allievi con bisogni educativi speciali. La struttura “progressiva” e non classificatoria del modello di certificazione consente di tener conto delle diversità, ma in alcuni casi sarà necessario un adattamento della “rubrica” interpretativa dei livelli, per altri una più forte differenziazione con spazi aperti.
Nella scuola di base le competenze si stanno costruendo, con gradualità ed in forme diverse: ecco perché è necessario valorizzare la dimensione pedagogica dello strumento e non tanto quella giuridico-legale. La proposta è di cambiare anche la denominazione: da “certificazione” (che richiederebbe un punto di rilevazione esterno) ad “attestazione”, per documentare lo sviluppo delle competenze.
Cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi
L’indagine del MIUR è stata realizzata mediante un questionario rivolto alle scuole (circa 1.500 risposte) e con diversi focus in ogni regione con gruppi di docenti e dirigenti, che spesso hanno abbinato il lavoro sulla certificazione con la ricerca e la formazione sulle Indicazioni (le misure di accompagnamento sono giunte al terzo anno). Ora le scuole si interrogano sul futuro della sperimentazione: quali strumenti saranno adottati nell’a.s. 2016-17, visto che in parallelo si sta delineando anche un nuovo quadro normativo proprio in materia di valutazione e di certificazione.
I due percorsi sono strettamente collegati: ciò che emerge dalla sperimentazione è assai utile anche per mettere a punto la nuova normativa, visto che si vuole enfatizzare una valutazione di carattere formativo, andando oltre il voto, limitando la bocciatura a casi eccezionali, semplificando l’esame di terza media (da cui verrebbe tolta la prova Invalsi, da svolgere in corso d’anno).
I tempi, però, si allungano: nel migliore dei casi i nuovi dispositivi legislativi entreranno in vigore a far tempo dall’a.s. 2017-18. Pertanto il corrente anno scolastico potrebbe caratterizzarsi come anno ponte, in cui utilizzare una versione dei modelli di certificazione in uso, modificata e semplificata proprio per venire incontro alle esigenze segnalate dalle scuole. Questa adozione non sarà obbligatoria, ma lasciata alle scelte delle scuole, nell’attesa del modello definitivo che – riteniamo – non si discosterà di molto da quanto “provato” dalle scuole in materia di certificazione. Anche le scuole che erano in attesa potranno trarre profitto da questo percorso di rodaggio, adottando il modello-ponte, perché abbiamo visto che l’operazione “certificazione” non può essere solo formale (cambiato un pezzo di carta, se ne mette un altro), ma dev’essere utile per rinnovare l’azione didattica e valutativa in ottica formativa.