Verso un curriculum digitale
In attesa di vedere che futuro avrà il Piano Nazionale Scuola Digitale, quando a novembre ha compiuto un anno, il Ministro uscente Giannini lo aveva celebrato con queste parole, annunciando lo stanziamento di 100 milioni per il rafforzamento delle competenze digitali degli studenti, a partire dal pensiero computazionale: “Ogni studente imparerà a programmare: dal prossimo anno tutte le scuole primarie avranno la possibilità di fare 60 ore all’anno di coding. Un passo necessario per avere tra 10 anni una popolazione di giovani italiani perfettamente alfabetizzati in quello che si chiama il nuovo pensiero critico. Per questo obiettivo abbiamo destinato 100 milioni di euro“. Il comunicato precisa anche che di questi fondi 65 milioni andranno al I ciclo; altri 35 alla secondaria di II grado per lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti. Il coding si motiva come occasione centrale per realizzare il curriculum di cittadinanza digitale. Ancora il Ministro: “Il curriculum di cittadinanza digitale darà la possibilità ai ragazzi di capire come usare e come valutare gli strumenti digitali in modo attivo. Dobbiamo garantire loro la capacità di sviluppare il giudizio critico”.
I distinguo e le parole
I distinguo non sono mai piacevoli, ma l’introduzione del coding a partire dal PNSD (che lo cita nell’azione 17, all’interno della sezione curriculum) merita qualche riga di storia e definizioni. Banalmente si può tradurre con “programmazione”. Ma è qualcosa di diverso, almeno per come viene proposto dallo stesso MIUR con le lezioni di “Programma il futuro” (http://programmailfuturo.it/) la piattaforma che adatta al contesto italiano l’ambiente internazionale di diffusione e sviluppo del coding in collaborazione con il CINI (www.code.org).
Ciò significa che non stiamo parlando della programmazione professionale e professionalizzante, degli istituti tecnici e professionali che insegnano programmazione e sfornano programmatori. Ed infatti il coding è (anche nel PNSD) riferito molto alla scuola primaria. Quindi il “coding” è “informatica”? Una specie di aggiornamento di quanto già con la Riforma Moratti (allegato B al D.Lgs 59 del 2004) si sanciva come competenza digitale sulla base di una sorta di patente (per chi ha passione, sostanzialmente una ECDL ridotta), secondo un approccio molto procedurale e l’insegnamento/apprendimento delle principali funzioni degli applicativi da ufficio (scrittura, calcolo, disegno, ecc.).
Il coding senza PC?
Il coding non è nulla di questo, anche perché esiste anche un coding senza il PC, cosiddetto “unplugged”, che può utilizzare carta, pennarelli, “microrobot” con comandi meccanici, addirittura il corpo umano, il canto, la danza (sì, la danza: date un’occhiata all’Ode al codice http://codeweek.it/odetocode-video-contest/). Le indicazioni del 2012 in passaggi sfumati per la disciplina “tecnologia” richiamano il concetto di “programmazione”, ma chi scriveva pensava a “linguaggi” tipo HTML, Python, Pascal, forse (dico forse…) a Scratch…. In sostanza ad un approccio molto informatico.
Non è mia intenzione qui fare un glossario, anche perché in effetti quando si parla di coding si fa riferimento alla diffusione avvenuta in Italia sulla scorta di un movimento molto americano che aveva come testimonial addirittura il presidente Obama, e al fenomeno dei coder dojo (http://it.codemotionworld.com/, http://www.coderdojoitalia.org/): “palestre”, luoghi in cui volontari appassionati di tecnologie radunano ragazzi con genitori o nonni per imparare ad usare Scratch (il software di programmazione del MIT di Boston con comandi a blocchi e visuali https://scratch.mit.edu/). Anche in Italia da un paio di anni il fenomeno “informale” si è diffuso, anche con la proposta di campi estivi.
Il coding… prima del coding
Non va dimenticato, però, che i docenti appassionati e più accorti ricordavano esperienze simili: un esempio è Micromondi, versione italiana del programma inglese Microworlds, che utilizza il linguaggio Logo, pensato e sviluppato per la didattica da Seymour Papert con l’obiettivo di consentire agli studenti di costruire autonomamente animazioni e figure. Al centro una tartarughina-automa che obbedisce agli ordini del programmatore. Anche i bambini che ancora non sanno leggere possono utilizzare Micromondi Jr, dove tutti i comandi sono visuali e non è necessario scrivere niente. Ed ecco il nodo del problema: se già esisteva qualcosa di analogo, perché introdurlo in maniera sistematica? Che cosa aggiunge ai nostri curricola il pensiero computazionale? Novità o ribollita?
Ancora, per le parole “pensiero computazionale” andiamo alla fonte, cioè Jeannette M. Wing, in Computational Thinking (2006): “Dovendo risolvere un problema, dovremmo chiederci: quanto è difficile risolverlo? Quale è il miglior modo per risolverlo? […] Il pensiero computazionale significa riformulare un problema apparentemente difficile in uno che siamo in grado di risolvere, anche riducendolo, incorporandolo in altro, trasformandolo o simulandolo.”
Linguaggi, procedure, logica, creatività
Il pensiero computazionale si “fa” a scuola e nella scuola primaria oggi? Quali le parole che lo incarnano nella vulgata didattichese? Problem solving? Diagrammi a blocchi? Prove del 9? Proprietà delle operazioni? Risoluzione dei problemi?
Solo chi non conosce la scuola potrebbe dire che queste sono dimensioni non curate. È vero che forse sono eccessivamente legate alle procedure, ai libri, all’astrazione. Però esistono. In sostanza, tutto il mondo della programmazione a scuola potrebbe passare attraverso 4 approcci (le parole…): i linguaggi, le procedure, la logica, la creatività. Nella programmazione tradizionale si parte dall’imparare un linguaggio (pensate ad html); nella dimostrazione dei problemi i diagrammi o le prove sono spesso procedure routinarie; la logica e la creatività spesso sono parole agli antipodi nella didattica della primaria: la logica alla maestra di matematica, la creatività alla maestra di italiano. Ecco, allora, la novità che porta con sé il coding: creare mondi fondati sul ragionamento. Magari saltando i linguaggi (perché, per esempio, Scratch utilizza il linguaggio visuale e “salta” il problema dell’apprendimento di un nuovo linguaggio). Magari evitando le procedure, ponendo un problema sempre nuovo e pratico ad ogni esercizio.
Le sfide del pensiero critico
Se vogliamo trovare una nuova accezione (il PNSD parla di nuovo alfabeto), capirne gli elementi e perché concorrono allo sviluppo del pensiero critico (altra connotazione ispiratrice), dobbiamo pescare nelle categorie della didattica attiva, del fare, e magari del fare autonomamente. Non è un caso che il coding è sempre di più legato all’uso ed alla realizzazione di oggetti intelligenti, mischiando programmazione e costruzione di oggetti con svariati materiali. Ecco, allora, la classe che si anima, si muove, si alza… Rileggo miei vecchi articoli sulla LIM e scopro che i suggerimenti sono gli stessi. Didattica attiva, un po’ di caos, energie liberate… “andiamo alla LIM”… Cambiano gli strumenti ma le sfide restano le stesse. Guardate le centinaia di esperienze su youtube: tutte classi dove il banco ancorato si sbullona… Quanti sono disposti a farle diventare curriculum, cioè per tutti e in ogni dove?
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Altri riferimenti:
https://platform.europeanmoocs.eu/course_coding_in_your_classroom_now
http://forum.indire.it/repository_cms/working/export/6604/#/5