Al fotofinish il Consiglio dei ministri approva in prima lettura i testi delle 8 deleghe previste dalla legge 107/2015. Resta al momento in stand by la “nona” delega, il passaggio più complesso, quello relativo alla riscrittura del Testo Unico del 1994. La scadenza delle deleghe era posta a 18 mesi dall’approvazione della “Buona Scuola” (avvenuta il 15 luglio 2015). Ora ci sono novanta giorni di tempo per acquisire i pareri delle Commissioni parlamentari sui testi dei decreti e procedere alla loro approvazione definitiva (seconda lettura) da parte del Consiglio dei Ministri. Ci sono, dunque, dei passaggi tecnici assai stringati da rispettare ma, contemporaneamente, sarà doveroso ri-aprire il dibattito sui contenuti delle deleghe che si riferiscono ad aspetti qualificanti del funzionamento della scuola. Inoltre, è necessario costruire un maggiore consenso nella scuola (e nel Paese) attorno alle innovazioni previste dalla “Buona Scuola”, visto anche l’impatto assai critico che il provvedimento ha avuto nei mesi scorsi. Le deleghe non “coprono” tutte le questioni oggi in discussione, ma possono offrire spazi di dialogo importanti. Questo, d’altra parte, sembra lo stile dei primi atti del Ministro Fedeli.
I contenuti delle deleghe
I testi degli 8 decreti legislativi dovranno essere analizzati con molta attenzione, per coglierne l’impatto e l’incidenza sulla vita della scuola. È un impegno anche per l’intero gruppo redazionale della Tecnodid. Al momento si possono esprimere solo alcune sintetiche annotazioni.
Lo “zerosei”: bypassare la Sentenza della Corte
La delega per istituire un sistema integrato di servizi educativi e scuole dell’infanzia, dai 0 ai 6 anni, è fortemente “appetibile” perché promette una svolta “europea” nel sistema educativo rivolto alla prima infanzia. Siamo in forte ritardo per gli asili nido (0-3 anni) e la qualità delle scuole dell’infanzia (3-6 anni) è ancora troppo differenziata. Occorre dare regole e standard di qualità comuni, generalizzare la frequenza, abbassare i costi, qualificare gli ambienti, rafforzare la formazione di educatori e insegnanti. Il decreto impegna nuove risorse finanziarie in questa direzione (ci sarà un Piano nazionale di sviluppo) e preannuncia regolamenti attuativi. Tra i nodi da sciogliere: la configurazione dei poli infanzia 0-6 (di carattere sperimentale) e il consolidamento delle sezioni primavera. Corte Costituzionale permettendo…
La valutazione: esami di stato più coerenti
Sulla valutazione degli allievi, al momento, la scelta si indirizza verso una semplificazione delle prove d’esame (alle medie esce la prova Invalsi; alle superiori esce la terza prova strutturata), con un maggior peso attribuito al curriculum precedente dello studente nella valutazione finale. Le prove Invalsi vengono confermate nel loro valore conoscitivo, non si faranno in sede d’esame ma durante l’anno. Se ne introduce gradualmente una in lingua inglese. Per ora, bocce ferme in materia di voti, pagelle, schede di certificazione. Sarebbe assai opportuno, in questa materia, procedere con regolamenti e indicazioni operative, dopo aver sentito l’opinione degli operatori scolastici. Ad esempio è in corso un’ampia sperimentazione di modelli semplici di certificazione delle competenze “trasversali” nel primo ciclo, da cui si possono trarre utili spunti.
La formazione iniziale: training on the job
È diffusa la convinzione che la formazione degli insegnanti in Italia non possa essere affidata solo a curricoli accademici e a percorsi brevi di professionalizzazione (SSISS, TFA, CSA, ecc.) con sporadici momenti di tirocinio sul campo. Il nuovo modello prevede che per diventare insegnanti “secondari”, dopo la laurea, si sviluppi un percorso lungo (3 anni) in cui la specializzazione si configuri come un vero e proprio “praticantato” a scuola, ove i futuri docenti (già individuati per concorso al termine del percorso universitario) potranno progressivamente acquisire le competenze di insegnamento. Ci dovrebbe dunque essere un più forte intreccio tra teoria e pratica, con la scuola maggiormente coinvolta nella formazione e nelle scelte dei futuri docenti. Restano aperti il problema di un periodo di transizione non facile (tra precariato, graduatorie, diritti acquisiti o accampati), nonché le modalità della formazione dei maestri (scienze della formazione a ciclo lungo, quinquennale), che restano diverse da quelle dei “professori”.
L’istruzione professionale: Cenerentola non abita più qui?
L’istruzione professionale “soffre” da troppi anni di una percezione “debole” nel nostro sistema di scuole secondarie di II grado, quasi fosse un canale formativo di minor valore. È un settore che richiede maggiori attenzioni, il recupero di spazi di operatività e di laboratorio, una maggiore apertura alle innovazioni nel mondo dell’economia e delle imprese, una prospettiva di effettiva integrazione tra le diverse filiere formative. Ma il rilancio di immagine, magari sulla scia del “made in Italy” e della riscoperta del valore del lavoro, sarà sufficiente a rendere questa terza “gamba” dell’istruzione (oltre ai Licei e ai Tecnici) una scelta di qualità e non rivolta solo alla parte più fragile della popolazione scolastica? La delega può aprire un cantiere promettente, ma non possiamo farci troppe illusioni: le questioni in gioco sono più profonde.
Disabilità: dal sostegno didattico al progetto di vita
La scelta dell’integrazione degli allievi disabili viene confermata anche nel nuovo decreto. Anzi si vorrebbe rendere il sostegno didattico ancora più qualificato (attraverso una maggiore continuità di presenza e una formazione dei docenti specializzati più rigorosa). Occorre però, e il legislatore ne è consapevole, guardare oltre l’aula scolastica ove avviene l’integrazione, e proiettarsi verso il progetto di vita dell’allievo: i bisogni sono di sostegno didattico, ma anche di supporto all’autonomia dei ragazzi, di integrazione degli interventi, di semplificazione della documentazione. A partire dalla definizione degli interventi: non basta conteggiare le ore di sostegno in base alla gravità del singolo soggetto, occorre una “lettura complessiva” della condizione dell’allievo disabile (e del contesto in cui agisce) per costruire tutte le condizioni per una integrazione di successo. Servono competenze, sensibilità, risorse mirate.
La cultura “disinteressata”: le arti e la musica
Mentre tutti a parole invocano una maggiore attenzione e la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro paese, la scuola appare un po’ distratta: i suoi curricoli sembrano trascurare la mano sinistra, gli spazi di creatività e di espressione, l’incontro con le arti e la musica, e la cultura umanistica in generale. Non è facile intervenire nella rigidità dei nostri ordinamenti, ma il decreto immagina che attraverso maggiori spazi di autonomia, flessibilità, accordi con il territorio, uso integrato di risorse, sia possibile rafforzare questo indispensabile asse formativo.
Le scuole all’estero: presidiare la cultura italiana nel mondo globale
La società è alle prese con le sfide inedite della globalizzazione, che richiede però di salvaguardare identità, presenza, pluralità di lingue e culture. Le scuole italiane all’estero svolgono una funzione di presidio culturale dell’italianità. Ora vengono riorganizzate sotto il profilo amministrativo. Ma la strada dell’internazionalizzazione del nostro sistema educativo è ancora lunga. Andranno intensificati scambi, relazioni, partenariati, assecondando un processo che vede già la scuola italiana impegnata in molte esperienze.
Welfare dello studente: oltre i bonus
Gli interventi a supporto degli studenti richiedono una pluralità di azioni (borse di studio, card di credito, servizi di supporto, agevolazioni), perché oggi sono cresciute le difficoltà di frequenza scolastica, legate alla sfavorevole congiuntura economica e alle tradizionali differenze sociali tra i diversi territori del nostro Paese. Ad esempio, sta diminuendo il numero dei diplomati che poi si iscrivono alle università. Il problema va oltre la logica dei sussidi o dei bonus, perché chiede di prestare attenzione ai bisogni “materiali” degli studenti, ma anche di recuperare il “senso” e il “valore” dell’istruzione.
Il secondo tempo delle riforme
Anche solo scorrendo i titoli, il carnet delle deleghe appare ricco e promettente. È evidente che questa “buona scuola” non è immediatamente dietro l’angolo, perché si scontra con il problema delle risorse, della capacità della macchina amministrativa di sostenere i processi, della disponibilità degli operatori scolastici a sentirsi parte attiva di un processo che li deve vedere non destinatari ma protagonisti. Ecco perché le 8 deleghe si intrecciano con altri aspetti attuativi della legge 107/2015 su cui è necessario prendere decisioni (ad esempio, la mobilità dei docenti, i concorsi e il reclutamento, la questione del merito – meglio della valorizzazione dei docenti –, la formazione in servizio obbligatoria, l’alternanza, ecc.). Con i decreti approvati in prima lettura dal Consiglio dei Ministri si è chiuso il “primo tempo”; ora occorre che tutti gli attori (Ministro, Parlamento, sindacati, insegnanti, scuole) sappiano giocare un bel secondo tempo, perché i risultati si vedono solo alla fine della partita.