Una premessa giuridica
Il Trattato di Istanbul, approvato in Italia nel 2013, pone una serie di obblighi a carico degli Stati “parti” della Convenzione. In primo luogo devono adottare politiche coordinate contro la violenza sulle donne e predisporre la raccolta di dati allo scopo di monitorare il fenomeno. Si devono poi impegnare nella prevenzione di questi crimini odiosi, eliminando “pregiudizi, costumi e qualsiasi pratica basata sull’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini, in particolare sostenendo campagne di sensibilizzazione, programmi scolastici adeguati, incentivando l’informazione e i mass media ad elaborare norme di autoregolamentazione che prevengano la violenza di genere e rafforzino il rispetto della dignità delle donne”.
In seguito a questo impegno formale e sostanziale, le Ministre Carrozza e Giannini hanno caldeggiato l’inserimento della raccomandazione suddetta all’interno della legislazione scolastica.
La buona scuola dice che…
Attualmente il comma 16 della L. 107/2015, meglio nota come “buona scuola”, recita “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’art. 5 della legge 119/2013”. Il riferimento è alla legge contro il femminicidio.
L’identità di genere
Parafrasando Simone de Beauvoir possiamo affermare che maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa. In altri termini l’identità sessuale è biologica, desunta alla nascita dalla lettura degli organi genitali. L’identità di genere invece è culturale. È un’identità che matura e consiste in un processo che va costruito ed accompagnato, al fine di raggiungere oggi delle identità il più possibile rinnovate e lontane dai vecchi stereotipi, di tipo sessista, ma anche critiche nei confronti dei modelli offerti dai media che rischiosamente vengono assorbiti a-criticamente dall’età più infantile. Possiamo citarne qualcuno dei più diffusi e deleteri: velina per le femmine, calciatore o tronista per i maschi.
Gli stereotipi sono processi di “economia cognitiva” che derivano dalla necessità di categorizzare il mondo, vengono assorbiti attraverso una cultura antropologica profonda, dalla propria comunità di appartenenza. Sono però generalizzazioni improprie. Quando contengono implicazioni emotive ed anche intenzionalità dispregiative diventano pregiudizi. L’antropologia culturale ci ha insegnato in che cosa consiste l’etnocentrismo culturale.
Gli stereotipi sessisti
Gli stereotipi sessisti sono ancorati profondamente dentro di noi e vengono assunti, possiamo dire, con il latte materno. Derivano già dai riti di accudimento, dai giochi infantili, dal tipo di emozioni che vengono legittimate o censurate a seconda del genere di appartenenza. Ancora oggi la paura per i maschietti e la rabbia per le femminucce, entrambe emozioni naturali appartenenti al genere umano, spesso vengono inibite a livello educativo familiare. E non solo.
Possiamo elencare qualche stereotipo un tempo molto radicato, oggi attenuatosi, spesso messo in discussione, non completamente scomparso.
Gli stereotipi sono duri a morire: a livello razionale e teorico fortemente criticati, sopravvivono a livello profondo ed emotivo. Il maschilismo, sebbene contrastato, alligna ancora e permea di sé in modo più ambiguo relazioni affettive ed ambienti di lavoro.
L’uomo storicamente è sempre stato considerato il sesso forte, orgoglioso, impavido, razionale, pieno di iniziativa e in grado di assumere decisioni e responsabilità, ecc. La donna, invece, è il sesso fragile, arrendevole, emotiva, acquiescente, sottomessa, destinata solo al lavoro di cura e a fare la casalinga ecc.
L’emancipazione delle donne
Sono state comunque le donne a contaminare questa dicotomia stereotipale per prime: uscendo di casa per sostituire gli uomini impegnati al fronte durante le guerre mondiali, si sono rese conto che sapevano fare le postine, le tranviere, le impiegate, e poi un po’ alla volta le professioniste, i giudici, ecc. ed insieme alle competenze lavorative sapevano prendere decisioni, assumere responsabilità ed essere razionali, ma soprattutto pensare con la propria testa.
Ora anche gli uomini, soprattutto attraverso l’esperienza della paternità, riescono a mettersi in contatto con la loro parte tenera, e spesso non rifuggono dal mostrarsi emozionati e perfino dolci.
Dall’uguaglianza al pensiero della differenza
All’inizio è stato il femminismo a rivendicare l’emancipazione della donna e gli stessi diritti degli uomini, puntando perciò sulla logica dell’uguaglianza. Successivamente è apparso però il pensiero della differenza, filosofia introdotta in Italia da Luce Irigaray, che ha provveduto a contestare il principio dell’uguaglianza, denunciandone pericolose derive assimilative, contemporaneamente facendosi paladina della differenza. Sia il femminismo che il movimento differenzialista si sono sviluppati però all’interno del paradigma culturale della linearità, che obbediva alla logica binaria (“o” questo, “o” quello). Abbiamo dovuto aspettare il paradigma della “complessità” per poter ideare il pensiero delle Pari Opportunità, che sposa la multi-logica e coniuga il valore freddo del diritto, che parla di uguaglianza, con il valore caldo dell’identità che parla di differenza: “e” questo “e” quello.
Oggi, a dire il vero, si parla di femminismo di quarta generazione: Kira Cochrane infatti afferma che soltanto con l’aiuto degli uomini potremo realizzare il sogno delle autentiche “pari opportunità”, superando il principio del separatismo.
Crescere le giovani generazioni verso le “pari opportunità” significa che sia i maschi che le femmine dovranno essere educati verso il doppio traguardo dell’autorealizzazione (un tempo garantito solo ai maschi) e della competenza relazionale (un tempo garantita solo alle femmine), che consiste nell’empatia e capacità di mettersi nei panni degli altri, molto funzionali al lavoro di cura di qualità, caratteristiche delle intelligenze personali investigate da Gardner. A questo proposito si parla di pari opportunità anche al maschile, perché i giovani uomini più sensibili oggi non vogliono giustamente perdersi l’opportunità di poter sviluppare le intelligenze multiple.
Per prevenire la violenza sulle donne fondamentale risulta poi l’alfabetizzazione emotiva precoce di bambini e bambine.