Si è fatta aspettare più del previsto la conferma della prosecuzione della sperimentazione della certificazione delle competenze nel primo ciclo, giunta nell’a.s. 2016-17 al suo terzo anno. Il fatto è che, in contemporanea, lo stesso tema (“valutazione e certificazione delle competenze”) è oggetto di discussione in Parlamento, perché inserito all’interno della delega legislativa di cui al comma 181, lett. i) della legge 107/2015. Era dunque opportuna una qualche cautela istituzionale, per non interferire con i lavori in corso nelle aule delle Commissioni Cultura di Camera e Senato. O meglio, per interferire nei modi giusti. Spieghiamoci meglio.
Le competenze, oggetto del desiderio
La certificazione delle competenze non nasce oggi, ma è frutto di un lungo percorso – con risvolti europei – interessato ad introdurre modalità comuni o comunque confrontabili nell’apprezzamento dei risultati dell’apprendimento conseguiti dagli allievi. Il concetto di apprendimento si allarga fino a comprendere esperienze non solo formali, ma anche informali e non formali, e dunque si intreccia con l’idea di un’educazione permanente che si distende lungo tutto l’arco della vita. Le frequenti transizioni tra formazione e lavoro, ma anche le plurime collocazioni professionali ed esistenziali rendono molto più dinamico e aperto l’approccio alle competenze. Sempre più spesso si parla di competenze per la vita, di soft skills, di competenze chiave, e l’Europa definisce degli specifici quadri di riferimento di competenze chiave.
È evidente che in ambito scolastico, e soprattutto nella scuola di base (elementare e media), la certificazione acquista un valore diverso, piuttosto di attestazione di competenze in fase di acquisizione, di valorizzazione di apprendimenti trasversali, di promozione del senso di fiducia nei propri mezzi. Rispettando questa prospettiva pedagogica il MIUR ha proposto nel 2015 (CM prot. AOODGOSV 1235, 13 febbraio 2015, n. 3) un modello nazionale di certificazione, adottabile sperimentalmente dalle scuole, tenute già a certificare le competenze, ma con libera adozione di modelli elaborati localmente.
Dunque non è il valore “legale” della certificazione l’elemento decisivo, ma la possibilità di ri-conoscere, descrivere, documentare il quadro delle competenze personali, sociali, cognitive frutto di un apprendimento in profondità, non inerte, non limitato all’acquisizione di sole abilità o strumentalità. Se è così, si rimettono in discussione molte pratiche valutative, perché diventa necessario adottare una pluralità di strumenti, dai compiti autentici all’autovalutazione, dall’osservazione alle prove strutturate, dalle biografie cognitive alle rubriche. C’è un indotto positivo anche sulle pratiche didattiche, perché si cercherà di contenere la prevalenza delle lezioni frontali per attivare metodi maggiormente partecipati, attivi ed operativi. Con le competenze non si trascurano abilità e strumentalità, ma le si collocano in uno scenario di senso, capace di attivare nuove energie e risorse degli allievi.
Cosa prevede la sperimentazione italiana?
Il rapido successo della sperimentazione, che ha coinvolto 1.477 scuole il primo anno e 2.183 il secondo, testimonia l’esigenza di disporre di strumenti in qualche modo validati a livello nazionale (a cura del comitato scientifico delle Indicazioni/2012), ma anche la rispondenza del modello ai presupposti pedagogici delle Indicazioni vigenti (ove un apposito paragrafo è dedicato al tema), oltre che la sua maneggevolezza. È pur vero che il modello era apparentemente semplice, tutto racchiuso in un formato A4 di una sola pagina, ma richiedeva operazioni non scontate: come rilevare le competenze? Come esprimerle? Come collegare gli apprendimenti (e le competenze) riferibili alle singole discipline a quelli più trasversali riconducibili al profilo complessivo dell’allievo? È probabile che alcune scuole abbiano trasformato l’operazione in una scadenza di ruotine da abbinare agli scrutini di fine anno. Tuttavia, dai riscontri effettuati anche attraverso monitoraggi qualitativi (ma anche contatti diretti con un campione limitato di scuole), è emerso che a seguito di questa sollecitazione si è messo in moto un notevole lavoro di ricerca e di formazione tra i docenti. Sono state adottate nuove modalità di rilevazione delle competenze (ad esempio attraverso compiti di realtà o autentici) e si è diffusa la pratica delle rubriche, cioè di condividere griglie di descrizione degli apprendimenti attesi e osservabili.
Le scuole hanno apprezzato il riferimento alle competenze europee, in combinata con gli enunciati del profilo di uscita degli allievi dal primo ciclo. Ha convinto molto il superamento dell’uso del voto in decimi, prescritto dalla legge 169/2008 e dal regolamento sulla valutazione (Dpr 122/2009), così come l’assenza di un livello negativo di giudizio, per segnalare il valore pro-attivo della certificazione nella scuola di base. Sono segnali importanti che testimoniano l’emergere di una diversa cultura della valutazione e della certificazione, e che meritano di essere raccolti ed ampliati.
Un’analisi più dettagliata dei dati emersi dal Rapporto di monitoraggio 2015-2016 consente di cogliere i punti di sicurezza delle scuole, ma anche le aree di incertezza, soprattutto per la questione decisiva del nodo discipline-profilo e della personalizzazione della certificazione, sia per apprezzare talenti e attitudini degli allievi, sia per considerare le specifiche esigenze della valutazione per bambini in situazione di disabilità o comunque portatori di bisogni educativi speciali.
Tab. 1 – Apprezzamento degli aspetti del modello sperimentale di certificazione (Scuole sperimentali 2015-16)
Quanto sono stati apprezzati i seguenti aspetti del modello sperimentale di certificazione? | Molto | Abbastanza | Poco | Per nulla | M |
---|---|---|---|---|---|
Riferimento al Profilo dello studente | 40,25%
605 |
55,89%
840 |
3,53%
53 |
0,33%
5 |
3,24 |
Riferimento alle competenze chiave europee | 65,60%
986 |
31,94%
480 |
2,26%
34 |
0,20%
3 |
3,63 |
Riferimento alle discipline più coinvolte nello sviluppo di ciascuna competenza | 30,27%
455 |
53,29%
801 |
13,11%
197 |
3,33%
50 |
3,10 |
Uso di indicatori di livello in luogo dei voti decimali per la valutazione delle competenze | 67,93%
1021 |
26,81%
403 |
4,52%
68 |
0,73%
11 |
3,62 |
Assenza di un livello negativo di competenza | 57,62%
866 |
28,81%
433 |
10,71%
161 |
2,86%
43 |
3,41 |
Presenza di uno spazio libero per segnalare competenze personali aggiuntive | 48,50%
729 |
35,66%
536 |
12,64%
190 |
3,19%
48 |
3,29 |
Fonte: MIUR, Monitoraggio per la certificazione delle competenze 2015-16, Roma, 2016 |
Gli esiti complessivamente positivi della sperimentazione hanno così spinto il MIUR a confermare il processo sperimentale, nell’attesa della generalizzazione obbligatoria dei nuovi strumenti, ma anche ad apportare al modello alcuni correttivi e semplificazioni. Tali strumenti sono ora posti all’attenzione delle scuole che intendono proseguire la sperimentazione avviata, o impegnarsi ex-novo nella loro adozione.
Quali sono le novità nel modello di certificazione?
La nuova versione del modello di certificazione appare in sintonia con gli esiti dei primi due anni di adozione sperimentale delle schede di certificazione, avviata con la CM 3/2015. Le scuole impegnate nel progetto, circa 2.200 lo scorso anno, hanno manifestato il loro gradimento per le innovazioni introdotte, ma hanno anche avanzato alcune istanze di semplificazione, che sono riportate nel documento di monitoraggio pubblicato dal MIUR nel novembre 2016 (Nota Dir.Gen.Ord. n. 40409 del 12-10-2016). Cosa chiedevano le scuole?
- Una semplificazione del linguaggio, considerando che i destinatari primi del documento sono i genitori, affinché la descrizione delle competenze e dei loro livelli fosse comprensibile;
- Una riduzione degli indicatori di competenze, in un primo momento definiti in numero di 12 perché desunti direttamente dal profilo del 14enne, contenuto nelle Indicazioni del 1° ciclo, ed il loro allineamento con le 8 competenze chiave europee (diventate ormai un oggetto assai popolare);
- Il superamento delle ambiguità contenute nel modello, là ove si chiedeva di mettere in relazione le competenze trasversali con gli apporti delle specifiche discipline di studio, perché considerato fonte di equivoco, quasi ripristinando un rigido collegamento tra competenza e disciplina.
Le scuole, invece, hanno espresso un sostanziale gradimento per la scelta di indicatori imperniati su competenze trasversali, l’indicazione di 4 livelli di acquisizione delle competenze (a partire sempre da un riconoscimento positivo), l’utilizzo di un codice letterale (A-B-C-D) al posto dei voti in decimi, il mantenimento di uno spazio aperto per indicare ulteriori competenze, esperienze, attitudini degli allievi.
In buona sostanza, le modifiche apportate al modello nazionale di certificazione (anzi, ai due distinti modelli per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo grado) raccolgono pienamente tali indicazioni, e quindi si può affermare che le scuole sperimentatrici hanno “stressato” il primo modello, e bene ha fatto il Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni/2012 (cui si deve l’elaborazione della proposta) a recepire nei suoi lavori i segnali giunti dalle scuole. Una volta tanto le innovazioni sembrano condivise anche dalla base.
Quali potrebbero essere i prossimi passaggi?
La prosecuzione della sperimentazione assegna un “tempo supplementare” alla scuola (e allo stesso MIUR), per ri-mettere a fuoco il nuovo modello “semplificato” di certificazione, esprimersi sulle modifiche apportate, partecipare in questo modo alla redazione definitiva del modello di certificazione che sarà allegato al decreto ministeriale applicativo della delega legislativa in via di perfezionamento. Possiamo dire che tutti i problemi sono risolti? No di certo, però avremo qualche traccia in più di quello che ci possiamo attendere per il futuro:
- nei prossimi mesi, anche a seguito del monitoraggio della sperimentazione in atto, sarà emanato il modello definitivo di certificazione che, con buona probabilità, diventerà obbligatorio per tutte le scuole del primo ciclo a partire dal prossimo anno scolastico;
- resta aperto il problema se “arricchire” le certificazioni con documentazione esterne (come le prime certificazioni linguistiche o informatiche, ma anche gli esiti delle prove Invalsi, ipotesi che è stata ventilata in sede di decreto legislativo in discussione);
- l’estendersi del Piano Nazionale di Formazione, dove una delle priorità riguarda proprio la didattica per competenze, può consentire di realizzare numerose iniziative di formazione sul tema (che però dovrebbero essere di qualità e impostate correttamente sul piano metodologico, facendo perno su una rete di tutor e di formatori ben preparati);
- le eventuali nuove modalità di valutazione degli apprendimenti (che fanno parte della delega in discussione in Parlamento) dovranno essere collegate anche alla certificazione delle competenze, per evitare un approccio troppo diverso che disorienterebbe i genitori;
- così pure diventa indispensabile un miglior coordinamento tra le diverse forme di certificazione che ormai si presentano lungo il percorso scolastico, nel primo ciclo, ma anche a 16 anni e al termine della scuola secondaria di II grado, pur nel rispetto delle diverse funzioni che essa viene ad assumere ai diversi livelli di età.
È evidente che il rafforzamento delle certificazioni delle competenze nel tempo potrà arricchire il valore delle valutazioni rilasciate dalla scuola. Al di là di un voto sulle singole discipline scolastiche o di un giudizio complessivo (espresso con un punteggio o con un aggettivo), diventerà possibile descrivere in forma più esplicita i risultati di apprendimento in termini di abilità, conoscenze e competenze e attestare il posizionamento di un soggetto rispetto ad alcuni standard previsti (in ottica formativa ed evolutiva nel primo ciclo, in ottica documentale e certificativa nel secondo ciclo). Ed è probabile che questi sistemi siano destinati a soppiantare i più tradizionali strumenti docimologici e amministrativi oggi in uso.