Uno sguardo più lungo
Era prevedibile che gli otto decreti legislativi sulla scuola, approvati dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 7 aprile nella loro versione definitiva, riproducessero i contrasti già vissuti al tempo dell’approvazione della legge-madre (la n. 107 del 13-7-2015) e, ancora più indietro, al momento del varo del progetto-manifesto sulla “Buona Scuola” (4-9-2014). Detrattori e “laudatores” si contendono le pagine dei social e delle rassegne-stampa, mentre la scuola si interroga sulla reale portata delle novità legislative, di cui al momento non sono disponibili i testi formali, ma solo schede informative ufficiali, comunque sufficientemente precise: http://www.istruzione.it/allegati/2017/La_Buona_Scuola_Approfondimenti.pdf.
Poiché i decreti hanno una loro tecnicalità (anzi sono così dettagliati da assumere le sembianze di Regolamenti piuttosto che di leggi essenziali), converrà farne – a bocce ferme – un’analisi più serena e puntuale. Sarà importante cogliere la qualità delle innovazioni introdotte ma soprattutto la “sostenibilità” operativa, cioè l’effettiva capacità di apportare concreti miglioramenti nella vita della scuola, nei tempi giusti e con le risorse adeguate. Per le grandi opere, come si sa, c’è sempre un problema di impatto ambientale.
Corsi e ricorsi storici
Infatti conviene ricordare che i processi di riforma della scuola sono processi lunghi e a volte imprevedibili. Le leggi “buone” si ricordano dopo 50 anni, quelle troppo fragili durano “l’espace d’un matin”. Che dire ad esempio della legge 820 del 1971 che riportava solo due striminzite righe per l’avvio del tempo pieno? Eppure dopo oltre quarant’anni continua a suscitare passioni in molti docenti. E chi ricorda – dopo appena dieci anni – i minuziosi decreti legislativi sui piani personalizzati con gli acronimi firmati dal prof. Bertagna (PECUP, OSA, UDA, OF)? Solo dieci anni fa. Mentre gli Orientamenti educativi per la scuola dell’infanzia (un semplice DM del 1991) sono ancora nella top ten dei curricoli…
Tra pochi mesi dovremo celebrare i 50 anni della legge 440 del 1968, che ha consentito di diffondere la scuola pubblica dell’infanzia al 95% della popolazione infantile (con lo Stato azionista di maggioranza con il 60% delle sezioni funzionanti), quando già all’orizzonte si appalesa il decreto “zerosei” con analoghe ambizioni, questa volta rivolte al segmento 0-3 anni, in cui il nostro Paese esibisce un ritardo non sopportabile (poco più del 15% del servizio garantito). Ecco, lavorando bene, facendo politiche giuste, si possono raggiungere grandi traguardi (il decreto punta al 33% di copertura del servizio). Dunque non bastano le leggi: per realizzare gli asili-nido fu varata la legge 1044 nel 1971, che poi è stata attuata in mille modi diversi, spesso asfittici (con regioni che offrono il 35% del servizio ed altre solo il 7%).
Così, quando si parla di valutazione ci si può idealmente ricollegare al 1977, l’anno della legge 517, che da un lato favoriva l’integrazione nella scuola di tutti e dall’altra aboliva il voto nella valutazione del primo ciclo. Come si vede, il dibattito di oggi (voto sì/voto no) era già presente tanti anni fa, forse allora con maggiore coraggio. Ma Don Milani era morto da soli 10 anni, invece tra qualche mese celebreremo i 50 anni della sua scomparsa.
L’attuazione dei provvedimenti: i tempi lunghi delle riforme
Dunque, al di là delle leggi, sono forse più decisive le policies (cioè quell’insieme di decisioni, provvedimenti, risorse, alleanze, visioni), che consentono di accompagnare processi di lunga durata e di sostenere l’impegno quotidiano di chi fa funzionare la scuola. Dunque c’è un problema di tempi. Molti provvedimenti hanno scadenze-obiettivo dilatate nel tempo: la nuova maturità decorre dal 2019; la formazione iniziale dei docenti partirà nel 2019 (quindi potrebbe produrre i primi effetti solo nel 2022); il nuovo ordinamento dei professionali vedrà la luce nel 2018-19 a partire dalle classi prime; per lo “zerosei” servono i tempi tecnici per gli indispensabili Accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali (per il Piano nazionale e il Piano finanziario), e così via. Questa tempistica in sé non è negativa, perché – quantomeno – ci sarà il tempo per studiare i cambiamenti, prepararsi ad essi, formarsi, reperire e mettere in moto le indispensabili risorse. Ogni buona riforma richiede un accompagnamento lungo, attività di formazione, azioni di supporto (la “mitica” riforma delle elementari ebbe il suo incubatoio nel 1981 e fu varata, con i nuovi programmi già applicati, solo nel 1990). Ci sarà dunque il tempo per fare le necessarie verifiche e apportare eventuali correttivi, nelle forme appropriate. Non dimentichiamo che c’è una “nona” delega in sospeso, quella del Testo Unico da riformare che potrebbe “riallineare” molte questioni oggi incerte. C’è però da ri-legittimare questa delega con una nuova legge di riferimento che ne espliciti i criteri guida, essendo scaduti i 18 mesi concessi dal comma 181 della legge 107/2015.
Cosa c’è ancora da fare
La fonte primaria (la legge 107/2015) ha già introdotto molte novità nei suoi 212 commi, alcune con effetti operativi a scadenze prefissate: si pensi alle migliaia di immissioni in ruolo dalle graduatorie permanenti, alla mobilità straordinaria del personale, alla definizione dell’organico di potenziamento, ai piani di sviluppo dell’edilizia e del digitale, alla CARD per la formazione dei docenti, alla definizione del PTOF. In altri casi l’avvio è stato sperimentale, come per il “bonus” per il merito, oppure – oggetto di forti conflittualità – come la “chiamata diretta” dei docenti. Infine, alcune innovazioni sono in fase di avvio e comunque da completare, come nel caso della “formazione obbligatoria, permanente, strutturale” dei docenti, per la quale è stato predisposto un apposito Piano triennale (DM 767/2016). La scacchiera della scuola è in movimento ed ora si aggiungono gli otto decreti legislativi, ma molti di essi richiedono la messa a punto di ulteriori passaggi amministrativi (decreti, direttive, linee guida, piani di sviluppo), per renderli effettivamente operativi. Ogni decreto prevede anche le coperture finanziarie necessarie per dare attuazione ai provvedimenti. Queste appaiono consistenti nel provvedimento relativo allo “zerosei” che implica stanziamenti a favore dei Comuni per diffondere e qualificare nidi e scuole dell’infanzia, così pure per il rinnovamento dell’istruzione professionale (con una prevedibile espansione di posti di insegnamento tecnico-pratico per le ore di laboratorio).
I decreti legislativi in estrema sintesi
- Reclutamento e formazione iniziale
Si prevede un percorso triennale post-lauream magistrale, che intreccia momenti di formazione e di pratica didattica e a cui si accede per concorso (previo possesso di crediti formativi). Una sfida per scuola e università, con rapporti da ridefinire. Sono previste norme transitorie per agevolare i docenti inseriti nelle graduatorie di fascia II e III, in possesso di particolari requisiti.
- Valutazione, certificazione competenze, esami
Nel primo ciclo c’è maggiore attenzione alle competenze (con una apposita certificazione), mentre la valutazione degli apprendimenti conferma i voti in decimi, ancorati però alla descrizione di livelli. La bocciatura viene limitata a casi eccezionali e sono previsti interventi compensativi. Alleggerimento degli esami di stato, con l’uscita delle prove Invalsi che, svolgendosi durante l’anno (con l’aggiunta della lingua inglese), assumono un carattere informativo. Se ne darà informazione ai genitori. L’esame di Stato nelle scuole superiori “perde” la terza prova pluridisciplinare ed il percorso scolastico avrà un maggiore peso.
- Inclusione scolastica
La certificazione sarà corredata da un profilo di funzionamento, sulla base dell’ICF, per rafforzare il Piano educativo individualizzato. L’assegnazione del sostegno vedrà la responsabilizzazione della scuola (attraverso una progettazione integrata degli interventi), dei gruppi di lavoro territoriali e dell’USR, mentre si prevede un rafforzamento dei percorsi formativi, iniziali ed in servizio, per i docenti (per cui si conferma la permanenza quinquennale sul sostegno). Una particolare attenzione è rivolta al personale ATA ed al coinvolgimento delle famiglie.
- Sistema integrato “zerosei”
I servizi educativi (0-3 anni) escono da una dimensione socio-assistenziale e accentuano la dimensione educativa, anche attraverso un maggior raccordo con le scuole dell’infanzia (3-6 anni). Si intende ampliare la quota di copertura dei nidi (fino al 33%) e generalizzare e qualificare la scuola dell’infanzia. Le strutture dovranno essere effettivamente accessibili a costi contenuti. Interventi riguardano la formazione del personale ed il coordinamento, la sperimentazione di poli infanzia (0-6), la stabilizzazione delle sezioni primavera (bambini dai 24 ai 36 mesi), il superamento dell’anticipo. Viene adottato un Piano pluriennale di sviluppo, con relative coperture finanziarie.
- Scuole italiane all’estero
Il provvedimento riordina il sistema delle scuole all’estero, estendendo le innovazioni previste dalla legge 107/2015, rafforzando la collaborazione tra MIUR e Ministero Esteri, aprendosi a più ampie sinergie tra le varie istituzioni culturali e linguistiche che devono promuovere la presenza e la “formazione italiana nel mondo”.
- Diritto allo studio
Oltre alla conferma e alla razionalizzazione delle attuali provvidenze sono previsti vari tipi di interventi: esoneri dalle tasse scolastiche per condizioni di basso reddito, attivazione di borse di studio, strumenti didattici per alunni con disabilità, fondi per il comodato dei libri di testo, interventi per alunni in ospedale. Incentivata l’adozione della carta dello studente per agevolazioni, cui può essere associato un “borsellino elettronico”.
- Istruzione professionale
Si intende rafforzare l’identità degli istituti professionali, con una migliore articolazione degli indirizzi, il potenziamento della dimensione laboratoriale e professionalizzante, la distinzione/integrazione rispetto ai percorsi della istruzione e formazione professionale di competenza delle regioni. Attenzione personalizzata agli studenti attraverso l’adozione di un progetto formativo individuale e la figura del tutor.
- Cultura umanistica
Il provvedimento intende incentivare la formazione artistica lungo tutto il curricolo scolastico, attraverso il potenziamento della musica, delle arti visive e dello spettacolo, anche nelle sue forme innovative. Molte delle scelte sono riservate all’autonomia della scuola (poli formativi, reti, percorsi curricolari ed extracurricolari), anche attraverso risorse dedicate (ad esempio una quota dell’organico potenziato). Incentivata la collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali e con i Conservatori.
Sarà vera riforma?
Anche da questa rapida esposizione si coglie la varietà delle situazioni che vengono prefigurate dagli otto decreti legislativi approvati dal Governo. La legislazione scolastica si arricchisce di nuove norme, alcune di più ampio respiro e di prospettiva (come per il nuovo modo di formare i docenti), altre più vicine al restyling e alla razionalizzazione dell’esistente (come per l’integrazione dei disabili), altre con una loro forza evocativa (come per lo zerosei), altre senza cambiamenti radicali nella situazione attuale (come nell’istruzione professionale e nelle scuole all’estero), altre con moderati cambiamenti nell’ordinamento (come per la valutazione e per la cultura umanistica). Tutte, però, con la preannunciata dichiarazione di mettere a disposizione degli operatori scolastici qualche opportunità in più per il miglioramento (es. la disabilità), risorse aggiuntive per arricchire l’offerta nei settori tradizionalmente più deboli (l’infanzia, l’istruzione professionale, il diritto allo studio, l’arte), suggestioni per stimolare la formazione e la ricerca (potrebbe essere il caso della valutazione).
I decreti alla prova della scuola
Sono innovazioni che vanno dunque messe alla prova, che vanno raccordate con il disegno iniziale della “buona scuola” (essa stessa di non facile definizione: un mix di maggiore autonomia, di flessibilità, di recupero di efficienza, di decisionismo), ma anche con lo stato d’animo prevalente nelle scuole: di sfiducia verso le grandi (o piccole) riforme, di stanchezza professionale, di marginalità percepita. Esistono oggettive difficoltà nell’educazione pubblica (nuovi stili di vita, nuove forme culturali, perdita di “futuro”) e non siamo di fronte solo ad una crisi di stagione. I legislatori sono consapevoli di questo diverso scenario? Occorre ripartire dalla ricerca di un nuovo senso da attribuire all’istruzione nel XXI secolo, ma nello stesso tempo non dismettere l’arte della manutenzione. Forse questo è lo spazio che i decreti – con umiltà – dovranno occupare, sapendo anche che c’è una scuola quotidiana che ha bisogno di rammendo quotidiano (la metafora di Renzo Piano non è di poco valore). Ci riferiamo alla semplificazione delle procedure burocratiche, alla copertura dei posti vacanti (in particolare dei dirigenti), al ripristino di funzionalità negli apparati amministrativi (le segreterie e non solo), al riconoscimento del valore e del lavoro di chi dedica il proprio impegno al buon andamento dell’istruzione pubblica. Tutto si tiene (leggi e decreti chiari, contratti di lavoro coraggiosi, azione amministrativa tempestiva, qualità e sicurezza delle strutture edilizie, dotazioni tecnologiche). Non sono possibili scorciatoie.